Il cavaliere si giudica in televisione 

L’Oper Frankfurt presenta Dalibor di Smetana in un discutibile allestimento 

Dalibor 
Dalibor 
Recensione
classica
Oper Frankfurt
Dalibor 
24 Febbraio 2019 - 30 Marzo 2019

A volte capita che un regista finisca per impiccarsi alla propria (cattiva) idea di partenza. Perché questo accada è difficile da dire ma probabilmente esiste una specie di debito di coerenza nei confronti della propria (debole) ispirazione o perché la lunga “filiera produttiva” non consente ripensamenti radicali alla prova del palcoscenico. Sia come sia, sembra proprio quello il problema di Florentine Klepper che firma un allestimento a dir poco bizzarro per il nuovo Dalibor di Bedřich Smetana andato in scena all’Oper Frankfurt. Abbandonata la Boemia del XV secolo e i suoi inquieti cavalieri, Klepper pensa piuttosto a un futuro prossimo distopico e probabile, in cui la giustizia è amministrata nello studio televisivo della Tv-Tribunal in nome di un popolo plaudente o fischiante a comando. Non è proprio come nella nostrana Forum, dove al massimo si arriva a giudicare litiganti da condominio o amori finiti male. Qui si fa sul serio e si pretende di decidere se le accuse di omicidio rivolte da Milada a Dalibor meritano una condanna. Nel frattempo una folla di no global è in fermento davanti allo Studio 19 per difendere non si sa bene quale causa, poiché non c’è alcun dubbio che Dalibor sia colpevole, per sua stessa ammissione, mosso da spirito di vendetta. Se l’improbabile intreccio concepito dal librettista Josef Wenzig aiuta poco, l’ambiente televisivo unico (disegnato dallo scenografo Boris Kudlička) aiuta ancor meno a dare una versione che abbia almeno un minimo requisito di consequenzialità. E infatti le raffazzonate insensatezze si inseguono una dopo l’altra dal secondo atto fino al confuso finale con l’assalto allo Studio 19 in stile guerriglia urbana fra fumi e fiamme. 

Resta su binari più classici, invece, la lettura musicale: in una partitura bicefala che ha un’anima wagneriana soprattutto nell’orchestrazione fosca e brumosa e un’anima italiana nel melodismo spinto e nel canto solare soprattutto dei due protagonisti, il direttore Stefan Soltesz sembra preferire decisamente la seconda tenendo fin troppo a freno la Frankfurter Opern- und Museumsorchester, in buona forma come sempre. La scelta direttoriale premia specialmente una distribuzione vocale nel complesso ben assortita, con due appassionati protagonisti come Aleš Briscein, un Dalibor squillante meno risolto sul piano scenico, e Izabela Matuła, una Milada funzionale sul piano vocale ma di scarsa personalità. Più riuscite le prove di Gordon Bintner, istrionesco Vladislav e giudice imbonitore in stile predicatore tv, e di Angela Vallone, che dà una buona prestazione vocale ma è davvero mal servita dalla regia. Completano il cast Simon Bailey, trucibaldo Budivoj, Thomas Faulkner, un bonario Beneš, e Theo Lebow, focoso Vítek. 

Pubblico folto alla prima, caldi applausi e molti meritati fischi al team registico. 

 

 

 

 

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