I contrasti tra luci e ombre del Trovatore

Successo di pubblico per il nuovo allestimento dell’opera verdiana andata in scena al teatro Ponchielli di Cremona

"Il trovatore" ( foto Federico Zovadelli)
"Il trovatore" ( foto Federico Zovadelli)
Recensione
classica
Cremona, Teatro Ponchielli
Il trovatore
18 Novembre 2021 - 20 Novembre 2021

È tutto un gioco di contrasti Il trovatore verdiano andato in scena al teatro Ponchielli di Cremona, realtà capofila di questa nuova produzione realizzata dai teatri del circuito OperaLombardia che riprende un allestimento dell’Ente Concerti Marialisa De Carolis di Sassari del 2019 e che abbiamo seguito nella seconda recita di sabato scorso.

Contrasti che si sono materializzati nella visione scenica espressa dalla regia di Roberto Catalano, per il quale «siamo in un luogo dove qualcosa è successo. Un luogo dove il fuoco ha distrutto ogni cosa. La fiamma ha attraversato la bellezza che un tempo vi dimorava e ne ha ucciso ogni possibile testimonianza. Resta l’ossame di quel mondo e l’immagine del vecchio progetto, ciò che doveva essere quel mondo prima del disastro, lo scheletro su cui costruire il nostro luogo da abitare».

"Il trovatore" ( foto Federico Zovadelli)
"Il trovatore" ( foto Federico Zovadelli)

Così la pianta del progetto architettonico di un palazzo in trasparenza ci accompagna palesandosi ti tanto in tanto lungo tutta l’opera, con le sue fughe verso un orizzonte ideale ma lontano da una realtà andata ormai in cenere. Un materiale, la cenere appunto, che diviene elemento narrante, concreto e simbolico assieme, che viene continuamente raccolto in secchi e rovesciato, ora osservato ossessivamente ora gettato lontano a manciate, continuamente attraversato in vario modo dai personaggi che paiono vagare alla ricerca di qualcosa che apparitene a un racconto, a un arcano passato ma che ora non è più.

In questo quadro il gioco di contrasti viene costruito sia sulla contrapposizione di diversi piani scenici, tra proscenio e sfondo, sia sul confronto visivo tra luci e ombre, tra bianco e nero, da un buio che avvolge la narrazione nella penombra del ricordo e una luce che, anche se rara, può divenire abbagliante, come nel caso della fatidica “pira”, un sovraccarico visivo che ha mimetizzato in qualche modo l’inevitabile retorica del momento.

"Il trovatore" ( foto Federico Zovadelli)
"Il trovatore" ( foto Federico Zovadelli)

Una lettura alla quale hanno contribuito con funzionale coerenza le scene di Emanuele Sinisi, i bei costumi di Ilaria Ariemme e le luci Fiammetta Baldiserri riprese da Oscar Frosio, e che ha trovato i momenti di maggiore efficacia nell’uso delle ombre – per esempio, quelle di Manrico e Azucena proiettate sullo sfondo del duetto della parte seconda – o ancora nei contrasti tra bianco e nero.

Ma il gioco di contrasti tra luci e ombre si è ritrovato anche sul versante musicale, a partire dalla lettura di Jacopo Brusa, segnata da una netta contrapposizione tra il passo generale, tratteggiato con adeguata incidenza, e i momenti più lirici rappresentati dalle arie dei protagonisti, dilatate a tratti in maniera decisamente marcata. Una scelta interpretativa che, se da un lato ha in qualche modo messo in risalto i diversi momenti solistici, dall’altro ha esteso le arcate melodiche in maniera oltremodo originale, come nel caso – tra le restituzioni più marcate in questo senso – rappresentato da “Il balen del suo sorriso” del Conte di Luna.

"Il trovatore" ( foto Federico Zovadelli)
"Il trovatore" ( foto Federico Zovadelli)

Una direzione che, se è stata seguita con efficace reattività dall’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano e dal Coro OperaLombardia – quest’ultimo preparato da Diego Maccagnola –, non ha evitato alcuni scompensi tra buca e palcoscenico negli assiemi, e ha soprattutto impegnato una compagine vocale che, nel complesso, è riuscita comunque a cresce in sicurezza ed efficacia nel corso della serata: di solidità crescente Matteo Falcier nei panni di Manrico e Leon Kim in quelli del Conte di Luna, Marigona Qerkezi ha restituito una Leonora che ha privilegiato la presenza vocale rispetto a quella scenica mentre l’Azucena di Alessandra Volpe, pur un poco esposta nei passaggi di registro, è parsa una delle figure meglio tratteggiate della serata. In linea con la parte anche il Ferrando di Alexey Birkus e la Ines di Sabrina Sanza, mentre completavano il cast Roberto Covatta (Ruiz), Riccardo Dernini (Vecchio Zingaro), Davide Capitanio (Messo).

Decisamente caloroso il successo attribuito a questo spettacolo dal pubblico che riempiva il teatro, particolarmente entusiasta per soprano e tenore, ma che ha riservato convinti applausi anche per la direzione e per il resto degli artisti impegnati.

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