Fischi per il Rigoletto (affatto) scandaloso di Vick

Grande compattezza drammaturgica per il Rigoletto di Vick, accolto da fischi e applausi in egual misura. Piuttosto deludente la compagnia di canto, mal sostenuta dalla direzione di Carignani.

Recensione
classica
Teatro Massimo Palermo
Giuseppe Verdi
11 Dicembre 2001
Tanto rumore per nulla. Sembra questo il risultato, al termine della prima italiana, al Massimo di Palermo, del Rigoletto per la regia di Graham Vick che tanto scalpore aveva suscitato a Madrid. Lo spettacolo, è vero, ha un paio di fellatio e poco più altro di davvero pruriginoso; ma è uno spettacolo forte, intelligente, drammaturgicamente coeso. Le scene (di Paul Brown) sono semicerchi mobili di estremo minimalismo, dove vengono ora sospese le amanti del Duca, ora vi appaiono invece gli spioncini da cui la vil razza dannata dei cortigiani spia gli amplessi. La casa di Sparafucile rispetta questa struttura, ma su un piano inclinato che dà la misura del precipitare della storia, fino alla nudità totale della camera scura finale. Qui e là, però, Vick si perde: ora trasformando le urla di vendetta di Rigoletto in un semplice svuotare l'armadio del Duca dei suoi abiti, ora facendo cinguettare Gilda su un albero del giardino. Lo scandalo, tuttavia, c'è stato: fischi a Vick, qualche buare isolato per i cantanti, una claque maleducata zittita da una parte del pubblico. Lo scandalo vero era solo ed esclusivamente musicale. Un Lucio Gallo irriconoscibile, al suo debutto in Rigoletto, arrancava con fatica, con voce a tratti fibrosa e spesso con intonazione calante (a lui è andata una piccola parte dei malumori del pubblico); una Maureen O'Flynn che incarnava una virginea Gilda (rapita dai cortigiani con una mela in bocca per farla star zitta: metafora?) in cui non sapevi distinguere il confine sottile tra i suoi trilli ed il suo vibrato; e poi, Marcelo Alvarez. Un Duca in stile coatto (la sua comparsa in scena coincide con una sonora pulizia di caccole dalle narici), il cui atteggiarsi mescolava assieme Tano da morire e Presley versione Little Tony (colpa anche di certi giubbottini in plastica verde); il canto, che pure ha sortito meraviglie (le note staccate in La donna è mobile, certi eterei pianissimi), s'è spesso arenato in un fraseggio distratto, bullesco, in linea forse col personaggio, ma non certo con il dettato verdiano. Né Paolo Carignani, dal podio, ha sempre coniugato scena e fossa; chè, anzi, qui e là il canto s'è perduto sul tempo, e mal nuocevano certi rallentando, soprattutto nel sostenere Alvarez. E poi, dov'erano gli abbandoni paterni? dove la spavalderia libertina? Carignani dipingeva il tutto in una dimensione orchestrale monocromatica. Inaccettabile poi che, ad onta dell'edizione critica curata dall'Università di Chicago, Carignani abbia permesso le puntature solo ad alcuni degli interpreti. Una menzione, tuttavia, totalmente positiva, per lo Sparafucile di Mario Luperi (il più applaudito nella passerella finale), per la Maddalena di Tea Demurishvili (con un gusto d'antan, nella voce come nel fisico), per la bella prova del coro (diretto da Franco Monego). Fischi e applausi in egual misura. Ma si è visto di peggio.

Note: nuovo all.

Interpreti: Alvarez / Secco / Vieira, Gallo / Antonucci / Inverardi, O'Flinn / Vyskvorkina / Giordano, Luperi / Martirossian / Palmieri, Demur-shvili / De Mola, Gentile / Parisi, Svab / Lo Piccolo, Patalini / Bellavia, Feltracco / Caltagirone, Ricci, Passerello / Lo Cascio, Tarantino, Bellome / D'Anna

Regia: Graham Vick

Scene: Zack Brown

Costumi: Zack Brown

Orchestra: Orchestra del Teatro Massimo

Direttore: Carignani/Martinenghi

Coro: Coro del Teatro Massimo

Maestro Coro: Franco Monego

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