Firenze, Fluxus al museo

Con Flash Fluxus!, maratona-concerto di quattro ore, si è chiusa al Museo del Novecento Firenze Suona Contemporanea 2019

Flash Fluxus Firenze
Andrea Cavallari (foto di Paolo Carradori)
Recensione
oltre
Museo del Novecento, Firenze
Flash Fluxus!
27 Ottobre 2019

Forse era ipotizzabile che un evento Fluxus pensato per un museo avrebbe funzionato così così. In fondo un museo, che sia del Novecento, bello e architettonicamente aperto e coinvolgente, come quello di Firenze, ha comunque la funzione di contenere l’Arte. Termine, soprattutto concetto, che la filosofia fluxer ha sempre rifiutato e combattuto.

Il movimento, che nasce nel 1962 a Wiesbaden e poi si diffonde nel mondo sulle sollecitazioni visionario-dadaiste del lituano-americano George Maciunas, sposa subito parole d’ordine come «la parola Arte distrugge la vita intera!», «No more art, demolish culture», oppure «L’art est inutile rentrez chez vous». Dick Higgins afferma «Fluxus è un modo di vivere e di morire», e gli fa eco Allen Bukoff: «Fluxus è più grande dell’arte». Insomma, per capirci, è forte il rifiuto di ogni aspetto specialistico dell’arte, di separazioni e inquadramenti disciplinari. L’azione, l’happening, l’oggetto quotidiano dei fluxer, in un libero processo interdisciplinare anti-artistico e anti-commerciale, rovescia scardina, categorie e parametri tradizionali. 

Potrebbe risultare, questa sulla location, una riflessione bizzarra ma qualcuno ricorda l’indimenticabile no-stop live performance del giugno 2010 – Musica Esposta dedicata a John Cage – che si svolse a Palazzo Vecchio e voluta dallo stesso direttore artistico Andrea Cavallari. Lì si respirava una bella tensione che al Museo del Novecento non è scattata. Eppure gli ingredienti ci sono tutti: oltre venti artisti, tra musicisti, performer, danzatori, attori distribuiti negli spazi del museo a diretto contatto con le opere e il pubblico. Anche qui, il compositore americano la fa da padrone perché del movimento è sicuramente un precursore (insieme a Marcel Duchamp), non a caso il festival Fluxus del 1962 aveva come titolo Aprés Cage.

Tutto comincia da lì. Ce ne accorgiamo subito nella Sala Duel dove Vincenzo Pasquariello scolpisce sui tasti Piano Music n.3 e Cheap Imitation dove la serenità cageana, la filosofia zen filtra in una poetica filigrana luminosa, sospesa. Intorno a lui il silenzio colorato e grumoso delle opere di Wang Yuyang, grandi tele, dove l’artista ipotizza i colori possibili della luna in un altro universo. 

Cage anche al primo piano dove Luisa Valeria Carpignano è alle prese con la complessità di Sonate e Interludi per pianoforte preparato. L’alterazione del suono ottenuto attraverso l’inserimento di oggetti diversi (viti, bulloni, gomma…) fra alcune corde determinate trasfigura in una timbrica inusuale, statica, con una forte valenza ritmica che trascina in una fascinosa ragnatela estraniante. In una sala non lontana il violino di Viola Innocenti regala un Cheap Imitation etereo, quasi spirituale nel suo andamento astratto ma contemporaneamente profondo e struggente. Poco vicino a lei si tiene quasi un rito, così potremo chiamare la performance Cut Piece di Yõko Ono. Una donna è seduta a terra al centro della sala, è vestita di nero, ha accanto un paio di forbici, chiunque del pubblico può avvicinarsi e tagliare un lembo del vestito. Eseguita per la prima volta sulla stessa Ono nel 1965, azione che oggi è più che mai attuale nella sua provocatoria riflessione sulla fragilità della donna.

Cut Pieces
Foto di Paolo Carradori

Fuori, sotto il loggiato, c’è un piano verticale e Chiara Saccone che ci offre un repertorio che conosce bene quello del fiorentino Giuseppe Chiari – forse l’unico compositore italiano assimilabile al movimento Fluxus – con Gesti sul piano e Metodo per suonare il pianoforte. Chiari quello di l’arte è facile, la musica è facile…, estraneo a ogni banalizzazione, ha aperto nuove strade, invitando tutti alla libertà di partecipare, creare senza pregiudizi. I due lavori degli anni Sessanta sono un mix sorprendente di gesti, suoni, provocazioni che ci svelano dello strumento insospettabili possibilità comunicative distribuite come in un rito su tutte le parti della struttura. Intanto, sotto, nel corridoio d’ingresso del museo si esegue Radio Music, sempre di Cage, musicisti maneggiano più radio accese e posizionate su stazioni diverse, cambiando frequenze e giocando sui volumi in un caos sonoro. 

Flash Fluxus
Foto di Paolo Carradori

L’evento finale, tra le molteplici altre proposte, suoni, parole, gesti, dislocate qua e là ma spesso dispersive, a volte sovrapposte, è stato quello dedicato da Andrea Cavallari a George Maciunas al centro del cortile, che praticamente chiude Firenze Suona Contemporanea 2019. Piano piece N.13 è tra gli happening più noti nella sua violenza gestuale come nei suoi significati possibili. Se Henry Cowell già negli anni Venti metteva le mani nella cordiera, prima che Cage venti anni dopo pensasse di prepararlo Maciunas nel 1962 pensa che il pianoforte (simbolo dei salotti borghesi dell’Ottocento?) vada silenziato, inchiodando i tasti in una performance di notevole impatto. In frac, elegantissimo, Cavallari si presenta con chiodi, martello e inizia con molta energia a inchiodare tasto per tasto, mentre i colpi secchi rimbombano nell’aria, qualche corda vibra, schegge volano intorno. Mi faccio aiutare per una possibile lettura da Achille Bonito Oliva: «La distruzione dell’oggetto, violino, pianoforte, è contraria all’idea tradizionale dell’arte che tende a rendere funzionale l’oggetto attraverso la sua conservazione e il suo uso, il suono…».

«La distruzione dell’oggetto, violino, pianoforte, è contraria all’idea tradizionale dell’arte».

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