Falcone e Borsellino in prima al Regio

Successo per l’opera di Marco Tutino a Torino

L'eredità dei giusti (Foto Andrea Macchia)
L'eredità dei giusti (Foto Andrea Macchia)
Recensione
classica
Teatro Regio Torino
L'eredità dei giusti
27 Maggio 2022 - 28 Maggio 2022

Non capita molto spesso di partecipare a una serata in teatro il cui tema sia un fatto storico relativamente recente, di cui s’è fatta esperienza e del quale si ha memoria. E, penso, non accadrà nell’immediato futuro d’ascoltare un’opera che intona fatti che hanno cambiato la storia del nostro Paese. Gli storici e le storiche sono consapevoli che gli avvenimenti hanno sempre bisogno di decantare per essere studiati. E questo vale – forse ancor di più – per la loro messa in musica. Una certa quantità di tempo, (anche) psicologico, deve trascorrere affinché i fatti diventino storia e siano manipolabili da una distanza critica. Soprattutto quando vivono testimoni e superstiti che quella tragedia l’hanno esperita nelle loro carni, cuori e anime. Ciò – credo – sia valso anche per il compositore Marco Tutino e la drammaturga e regista Emanuela Giordano. Ma c’è, in questo caso specifico, di più.

C’è l’assenza di colpevoli: un doppio crimine restato impunito. La ferita aperta è l’assassinio di Giovanni Falcone e del magistrato Francesca Morvillo, sua moglie, e degli agenti che li seguivano come angeli custodi Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani; e poi, a pochi mesi di distanza, l’assassinio di Paolo Borsellino e di cinque dei sei membri della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. Ci sono le immagini dei telegiornali, che tutti abbiamo ancora negli occhi, delle bombe che squassarono prima l’autostrada, e poi via d’Amelio, e - al contempo - lacerarono la storia d’Italia. C’è dunque un prima, il 23 maggio e il 19 luglio 1992, e c’è un dopo.

Lavorare su una materia ancora incandescente sembra dunque tutt’altro che facile. Alcuni rischi all’orizzonte erano: la retorica, l’essere didascalici, il ridicolo (come dichiara lo stesso compositore in un’intervista, sarebbe stato assurdo metter in scena Falcone e Borsellino a cantare). La commissione/sfida è nata su duplice proposta di Rosanna Purchia, all’epoca Commissaria straordinaria del Teatro Regio di Torino, e di Nicola Campogrande, Direttore artistico di Mito Settembre Musica, per celebrare i trent’anni della morte dei due giudici.

L’“opera”, o meglio il racconto in musica, è diviso in tre: Le stragi, La reazione, Il presente. È un grande affresco civile: un genere musicale ibrido le cui parti sono 50% recitazione dai cinque attori e attrici del Piccolo Teatro di Milano (Jonathan Lazzini, Anna Manella, Marco Mavaracchio, Francesca Osso, Simone Tudda), 30% interventi del coro del Teatro Regio, istruito come sempre a puntino da Andrea Secchi, 20% è costituito dal canto affidato a Maria Teresa Leva, ottimo soprano. Le sezioni sono “cucite” assieme dalla musica di Marco Tutino e dalle immagini e dai video, a cura di Pierfrancesco Li Donni e Matteo Gherardini, proiettate sullo schermo, sotto la superivisione di Antonio Stallone, direttore dell’allestimento.

Il racconto in musica (lo chiameremo d’ora in poi impropriamente opera, solo per brevità) inizia in medias res quando la prima tragedia (l’uccisione di Falcone) è già avvenuta. Il tessuto sonoro impalpabile introduce gli attori che offrono i tanti punti di vista della gente comune, di coloro i quali stavano conducendo nelle loro case una vita normale, apparecchiando la tavola o celebrando il compleanno della figlia. Le stragi è dunque impostata sul melologo, fatta apposta per accogliere il parlato degli attori e delle attrici. Le parole sono (anche) quelle del poeta e scrittore Gesualdo Bufalino e di Rosaria Costa, moglie di Vito Schifani. Nella seconda parte La reazione Tutino cita, con qualche modifica, il proprio Libera me, intonato con bella voce da Maria Teresa Leva, e dal coro che invoca la pace. Il Libera me era già contenuto nel Requiem per le vittime della mafia (1993, su testo di Vincenzo Consolo, un lavoro multiautoriale, dei compositori Lorenzo Ferrero, Carlo Galante, Paolo Arcà, Matteo D’Amico, Giovanni Sollima, Marco Betta oltre che dello stesso Tutino). L’inserto, come uno sguardo al passato, dalla scabra e minimalista efficacia “alla Glass”, porta avanti il racconto e rievoca per un’ultima volta quei momenti che suonano ormai lontani nel tempo. Grande applauso chiude La reazione, quasi a stemperare il coinvolgimento emotivo che in sala è chiaramente percepibile. La terza parte Il presente ha una funzione di testimonianza (e qui, qualche volta, si cede forse al timore: “I ragazzi devono sapere” viene ripetuto più volte. Ma i ragazzi delle numerose scuole presenti in sala sembrano aver capito assai bene che cosa la drammaturgia e la musica stanno raccontando loro: a loro che non c’erano). Che cosa resta di noi, L’eredità dei giusti e Non mi lasciare solo (poesia in dialetto siciliano di Ignazio Buttitta) sono le tre sottosezioni in cui si suddivide Il presente. Con estrema pregnanza son soprattutto le parole affidate alle attrici, le quali rappresentano quelle donne che mostrarono la schiena dritta e il coraggio di dire la verità, pubblicamente, a loro rischio e pericolo, ad avere un impatto drammatico esplosivo.

Alessandro Cadario dirige un’Orchestra del Teatro Regio in forma con partecipazione emotiva, slancio, precisione: concerta ottimamente i molti protagonisti di Falcone e Borsellino, mettendo al suo posto ogni tassello che compone quest’affresco, nel quale ogni singola parte trova un suo significato nel quadro generale. L’opera di Tutino ha riscosso un successo di pubblico in un Teatro Regio stracolmo che non sarebbe improprio definire trionfale. Soprattutto per un’opera contemporanea in prima assoluta.

 

 

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