Dante e gli animali in musica
A Narni Vox in bestia con Laura Catrani
Percorsi ferragostani encomiabilmente non disimpegnati, e attenti alla creatività contemporanea, hanno transitato per Narni, grazie a un vivace festival (“Luci della ribalta”) giunto all’undicesima edizione incrociando corsi di perfezionamento per giovani musicisti e concerti. Nella magnifica cittadina umbra, è approdata una performance di Vox in bestia, ciclo vocale nato da e per Laura Catrani, partendo da luoghi della Divina Commedia segnati da immagini metaforiche legate al mondo animale; il bestiario derivato dai passi danteschi si è espanso quindi in un ‘commento’, o meglio un contro-testo in prosa, firmato da Tiziano Scarpa, e – naturalmente – in brani musicali per voce sola (e qualche percussione agita dalla stessa performer) affidati alla penna di tre compositori assai differenti sul piano della poetica e della generazione estetica: Fabrizio de Rossi Re (Inferno), Matteo Franceschini (Purgatorio), Alessandro Solbiati (Paradiso).
Verrebbe da pensare, ma in una chiave creativa anziché ‘interpretativa’, ai piani del senso suggeriti da Dante stesso nella XIII Epistola: dimensione letterale, ripensamento allegorico dispiegato nella narrazione di Scarpa, e infine la sublimazione anagogica nella musica. Se non fosse che il progetto prevede anche una componente visiva (di Gianluigi Toccafondo), animazioni da fondale scenico, intermittenti, imprevedibili nel loro materializzarsi in rapporto ai pannelli verbali e vocali, visionari e perturbanti. Il risultato è dunque un ipertesto, forse memore dei codici miniati – nei quali lettera, chiose e immagini si spartivano lo spazio di scrittura – ed esteso al suono organizzato, non vincolato peraltro all’intonazione integrale del testo dantesco, ma alla sua reinvenzione compositiva.
Vox in bestia è approdato a Narni in una versione leggermente liofilizzata, nella riduzione sia ad unica voce parlante-cantante (altrove lo stesso Scarpa ha letto i suoi testi, e inserti alla chitarra elettrica realizzati dal liutista Peppe Frana hanno farcito le fasi dello spettacolo), sia dei numeri musicali: tre brani per ognuna delle tre cantiche (il ciclo completo ne prevede cinque per tre). D’altra parte, rilevato che la versione mono-vocale è quella che ha dato alla luce radiofonicamente il ciclo (la si può ascoltare sul podcast di Radio3), la serata è stata arricchita da una doppia prolusione, in cui Barbieri ci ha opportunamente segnalato (dopo le sacrosante osservazioni di Donatello Santarone sul rapporto tra Dante e la cultura arabo-islamica) come le effettive caratterizzazioni sonore delle tre cantiche guardino alla tripartizione musicale sancita da Severino Boezio nel De istitutione musica: il ricorrere della scansione ternaria, insomma, non è certo fuori luogo...
Né il sacrificio di alcuni episodi ha pregiudicato il risaltare delle diverse personalità compositive entro la trama complessiva della performance. I pannelli di de Rossi Re si basano su un principio di ‘montaggio’ degli elementi: che la disgiunzione, l’eterogeneità, perfino la degenerazione (nella vocalità) appaia la modalità relazionale prevalente, non esclude che la logica del montaggio costruisca rapporti multiplanari, direzioni di svolgimento, ricorrenze, e anzi de Rossi Re è sempre abilissimo nel farli affiorare senza calcarli troppo. I brani di Franceschini appaiono all’ascolto i più ‘discorsivi’, anche quando – I botoli – si reggono su un’alternanza contrastiva strettamente binaria: vi si riconoscono vere e proprie formazioni motiviche, pure sul piano ritmico. La musica di Solbiati ha da sempre innestato sull’idea di ‘figura’ un interesse per il suono in quanto tale, che negli ultimi anni sembra essersi acuito da un lato, e dall’altro ha portato a una maggiore flessuosità e plasticità nel ductus delle figure: mentre le cellule sonore conservano l’apertura e l’imprevedibilità di evoluzione, insieme a un comportamento metrico leggibile ma non periodico, il loro orientamento emerge chiaro quanto coinvolgente, sui piani espressivi e simbolici, come in Il colubro e L’augello.
Laura Catrani è stata interprete ineccepibile dell’impegnativa esecuzione: concentrata, precisa, scolpita nella vocalità, ha retto benissimo quasi un’ora di performance tra lettura e canto, valorizzando i diversi approcci stilistici e compositivi tra differenti autori e singoli brani, meritandosi il caloroso plauso del pubblico presente.
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