Classica e post-classica

Dibattiti e innovazione sul destino di un genere musicale, in Usa

Recensione
classica
Negli Stati Uniti, da dove scrivo, il progressivo ma ormai inesorabile calo di popolarità dei concerti classici è fatto accertato (secondo le ultime statistiche del National Endowment for the Arts, il pubblico Americano del 2008 è calato grosso modo di un terzo rispetto al 1982), e si corre ai ripari. La discussione sulla 'crisi della musica classica' è aperta, specie sotto la spinta della recessione economica che ha fatto tremare l'intero settore e ha portato al fallimento recente più di un’istituzione musicale. «Secondo un trend iniziato negli anni Novanta, la musica classica dal vivo sta attraversando una progressiva e insostenibile combinazione di costi crescenti, diminuzione del sostegno economico, invecchiamento del pubblico e declino di partecipazione» scrive il "Denver Post" in una lunga e preziosa analisi, reperibile sul sito del quotidiano e che raccomando ai lettori anglofoni ("Hanging by a string: can classical music adapt?" “Appesi a un filo: riuscirà la musica classica ad adattarsi?”, e relativa risposta in un secondo articolo dal titolo "Classical music is going new places to lure new faces", “La musica classica va in posti nuovi a cercare volti nuovi”).
La programmazione e il rapporto col pubblico è uno dei fronti più interessanti dell'evoluzione in atto: «Sono finiti i giorni in cui i musicisti classici potevano eseguire Mozart e Cajkovskij ad alto livello e aspettare che il pubblico venisse ad ascoltarli» prosegue il critico del "Denver Post". Lo scorso giugno il "Wall Street Journal" ha pubblicato un articolo che ha fatto arrabbiare le orchestre americane, dal titolo "Zero options. Do regional orchestras still make artistic sense?" (“Nessuna scelta. Hanno ancora senso le orchestre regionali dal punto di vista artistico?”), che commentava il fallimento della Pasadena Symphony e proponeva possibili soluzioni in termini di programmazione. Detto brutalmente, la questione sollevata in quella sede era: diversamente dall’esperienza unica di un museo, o da quella altrettanto diversificata del teatro di prosa, perché dovremmo seguitare ad andare a sentire un programma di classici ritriti che possiamo ascoltare e vedere nelle migliori esecuzioni gratuitamente a casa nostra?
Tramontata l'era del disco e del compact disc, siamo entrati infatti in quella della navigazione online, di YouTube, della playlist, dello shuffle e del mashup (giustapposizione di brani diversi secondo un arbitrario sistema di ricerca, "adagio", "b", "pianoforte" etc.) così come descritta da Matthew Cmiel sul "San Francisco Classical Voice" in un articolo dal titolo "How IPod changed listening classical music" ("Come l'IPod ha cambiato il modo di ascoltare musica classica"). Si sgretolano insomma, anche per la musica, quelle barriere di genere già ampiamente in disuso in tutte le altre arti, dall'architettura al cinema. Ma soprattutto perde terreno l'equazione 'musica colta' uguale 'musica classica', scatenando una rivoluzione che nel 2010 è stata la vera novità del fervore musicale newyorkese.
Compositore residente a Carnegie Hall, dopo Louis Andriessen, è ora Brad Mehldau, famoso per le sue incursioni pop e classiche. Il pianista jazz ha presentato musiche eseguite con il mezzo-soprano Anne Sofie von Otter, con la Saint Paul Chamber Orchestra e, il 26 gennaio, si è esibito in un recital con brani originali a fianco di altri di Brahms, Bach, Fauré, Radiohead, Lennon e McCartney. Sul fronte operistico, il Metropolitan Opera House ha già annunciato per il 2012-2013 una novità di Nico Muhly, il giovane che ha collaborato con Björk, Philip Glass e la band indie-folk rock Grizzly Bear. Il Lincoln Center ha ridotto la sua stagione classica Great Performers, uno dei maggiori appuntamenti nel suo genere, da 76 concerti nel 2008-2009 a soli 33 nel 2010-2011, proponendo in sostituzione due rassegne tematiche. Una di queste, "The White Light Festival", è già stata presentata a novembre con tutto esaurito. Dedicata alla spiritualità nella sua accezione più ampia, la manifestazione ha portato concerti in spazi inusuali della città mettendo insieme generi e tradizioni musicali diverse, da Bach alla musica indiana. Il ben noto progetto di Jan Garbarek con l’Hilliard Ensemble in una grande chiesa su Park Avenue, tanto per intenderci, è stato uno degli eventi in programma. L'avamposto di un modo nuovo di concepire la musica colta continua però ad essere Le Poisson Rouge, un club downtown che mescola avanguardia, indie rock, dj, jazz e quant'altro, dove Hélène Grimaud e il Quartetto Arditti suonano a incasso pur di raggiungere un pubblico curioso e frizzante.
Sul fronte discografico, chi cavalca l'onda nuova, già da qualche tempo, è l'etichetta, sempre newyorkese, Nonesuch (Steve Reich, John Adams, Björk, Brad Mehldau per l'appunto, David Byrne, John Zorn, Gidon Kremer, Laurie Anderson...) molti dei cui brani si comprano in esclusiva su iTunes. Il suo illuminato direttore Bob Hurwitz, ex ECM, iniziò a traghettare la compagnia verso qualcosa di diverso già negli anni Ottanta: «Avevo ereditato un'etichetta rinomata per la sua ricca tradizione classica, quando un bel giorno incontrai un musicista pop vero come Caetano Veloso - racconta in un'intervista che si trova su www.nonesuch.com - In un certo senso, lui non rientrava in nessuno dei criteri della casa discografica eppure artisticamente era a un livello pari agli altri musicisti che avevamo a quel tempo. Questo buttò giù un bel muro, e la Nonesuch cessò di essere un'etichetta di ‘musica classica’. Improvvisamente si aprirono una miriade di nuove possibilità. Anni dopo, sentendo Lorraine Hunt Lieberson cantare "Tradicão" di Veloso nello stesso modo incantevole con cui interpretava Bach e Haendel, Lieberson o Adams, capii che il mio istinto aveva visto giusto».
Ecco dunque un modo diverso di intendere, interpretare e ascoltare il repertorio classico. In questa direzione, la percezione passiva che il pubblico profano (se ha ancora senso usare questo termine) del concerto classico ha di sé, di spettatore escluso per mancanza di competenze tecniche, si ribalta in quella di ascoltatore attivo e curioso di novità musicali, che scopre e giudica nel confronto fra artisti, generi e tradizioni diverse. Aumenta lo spazio, e il rischio, della programmazione artistica su cui grava il peso di un percorso creativo avventuroso, che non può più affidarsi ai centenari e bicentenari dei soliti noti ma sulla cui intelligenza il pubblico deve poter contare ciecamente. Ma quale dunque, a questo punto, il pericolo di eseguire Haendel accanto a Caetano Veloso, Brahms insieme ai Radiohead, Garbarek con Perotino?

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