Cinico è il jazz

A Roccella Ciprì e Maresco fanno storia

Recensione
jazz
Paolo Damiani, direttore artistico del Roccella Jazz Festival, compositore di progetti e coltivatore di talenti musicali, ha intitolato la sua trentesima edizione “Memorie future”: cosa ricordare, pensando contemporaneamente? Qui hanno fatto i loro primi passi Paolo Fresu e Anouar Brahem, che tornano da star a farsi risentire da chi li aveva accolti esordienti. E qui vengono a incrociare il jazz attori, cineasti, astrologi snob come Marco Pesatori, ballerine, scrittori come Flavio Soriga e Stefano Benni, perché il jazz è alimento che si nutre. Anni fa Ciprì e Maresco, quelli di “Cinico Tv” e di “Blob”, fecero già qui un video con Enrico Rava e Salvatore Bonafede che suonavano live. Stavolta, in prima italiana dopo l’esordio al festival di Locarno, Franco Maresco ha portato il suo straordinario doc sul clarinettista Tony Scott, italo-americano grandissimo nei Cinquanta negli Usa e poi pateticamente in declino dai Settanta in una Italia che Maresco vede già candidata alla conseguente volgarità irriconoscente dei decenni trucidi e brutali del berlusconismo. Il siciliano Maresco, che si è avvalso della brillante consulenza musicologica di Stefano Zenni, vede nell’originario di Salemi un fratello inafferrabile ribelle e irriverente, imbarazzante e geniale.
La conferenza-spettacolo “Cinico jazz, ovvero il jazz secondo Ciprì e Maresco”, vede Maresco sul palco a raccontare nel suo clichè comico-tragico una storia del jazz fatta da italo-americani come Nick La Rocca, Frankie Laine, e ovviamente Anthony Joseph Sciacca a.k.a. Tony Scott. La Palermo cupa e disperata è sempre lì, ventre molle di un male universale e incurabile, parlata dallo scrittore Franco Scaldati. “Giocoso come un bambino” per Maresco, Scott ha suonato e capito Ben Webster, Charlie Parker, Bill Evans e soprattutto la grande amica Billie Holiday (“l’unica donna che non mi abbia mai fatto del male, con mia nonna” dice l'ormai anziano musicista dalla lunga barba di guru scoppiato). Maresco dice che l’Italia non ha capito questo genio, quando se ne è venuto qui nei Settanta dopo la sorprendente stagione orientale e zen, in cui ha davvero precorso la world music successiva. Ma non è questo che ci resta di Tony Scott, morto nel 2007 a Roma, a 86 anni e sepolto provvisoriamente nel cimitero di Salemi. La sua parabola declinante e goffa non ha futuro, ma ci resta in testa la testimonianza di un talento formidabile dell’era libera e sovversiva del jazz, restituita con mano memorabile dal tocco di Maresco, in questo caso involontariamente non cinico.


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