Che fine hanno fatto gli intellettuali?

Il mancato rapporto dell'intellighenzia italiana con la musica

Recensione
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In un recente contributo uscito sulla webzine "Giudizio Universale" ho ripreso la questione del (mancato) rapporto tra gli intellettuali italiani e la musica, sollevata da Mario Gamba sul primo numero di "Alfabeta2", intitolato Intellettuali senza.
La questione è quella del ruolo degli intellettuali di fronte a “un’emergenza culturale, antropologica e politica [...]. Anche se al giorno d’oggi appaiono – e sono – marginalizzati, precarizzati, destituiti di mandato e funzione, sta ancora e malgrado tutto ai bistrattati intellettuali esercitare la scomoda funzione di segnavento: segnalatori d’allarme e indicatori di nuove tendenze".

Evidentemente la riflessione sulla musica del presente ha perso la capacità di cogliere organicamente gli sviluppi delle tendenze più innovative. Difficile pensare oggi un nuovo Fase seconda (fondamentale saggio di Mario Bortolotto pubblicato nel 1969), o un intervento dell’autorevolezza di Opera Aperta di Umberto Eco, dove si tentava di delineare un quadro complessivo delle arti, musica compresa, in un periodo di straordinario fermento neoavanguardista (la prima edizione è del ’62, la seconda, ampiamente riveduta, del ’67).
Difficile anche immaginare oggi da parte dei compositori una riflessione analitica e intima della profondità di quella messa in atto da Franco Donatoni, o così straordinariamente anticipatrice come è stata quella di Paolo Castaldi. Entrambe originate da un contesto di dibattito critico ormai distante da noi più di 30 anni.
Per dirne ancora una, è evidente che in Italia la spartizione degli studi musicali rispetto a quelli umanistici (vedi la quasi totale assenza della musica nel curriculum scolastico delle discipline umanistiche, ad eccezione del DAMS, e nello stesso tempo la separatezza specialistica degli studi musicali) non ha favorito l’integrazione delle conoscenze.

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