Cenerentola senza tempo

Successo alla Scala per la riproposta dell'allestimento di Ponnelle che era stato diretto da Abbado

La Cenerentola (Foto Brescia /Amisano Teatro alla Scala)
La Cenerentola (Foto Brescia /Amisano Teatro alla Scala)
Recensione
classica
Teatro alla Scala, Milano
La Cenerentola
10 Febbraio 2019 - 05 Aprile 2019

A cinque anni dalla morte di Claudio Abbado, la Scala lo ricorda riproponendo un suo titolo rossiniano di grande successo nell'allestimento firmato da Jean-Pierre Ponnelle (scomparso nel 1988). Il podio è ora affidato all'esperta bacchetta di Ottavio Dantone e il rinnovamento della messa in scena a Grischa Asagaroff. Spesso questo genere di riprese sono rischiose perché denunciano impietosamente il trascorrere del tempo, figurarsi a quarantasei anni dalla prima, ma non è stato questo il caso. Lo spettacolo ha ribadito vitalità ed eleganza, utilizzando la sua arma migliore, l'incontenibile complicità dello spettatore che non può opporre resistenza di sorta. Lo si percepisce già all'ouverture col falso sipario dipinto coi drappeggi in bianco e nero, un chiaro invito a divertirsi insieme; sono gli stessi colori dei teatrini in palcoscenico, il focolare di don Magnifico e la reggia del principe di Salerno con la fuga di quinte a perdita d'occhio. È indubbio che là dentro i personaggi possano soltanto giocare all'opera, merito di Ponnelle che spesso inventava ed estraeva le gestualità dalla partitura stessa più che dalla drammaturgia.

La direzione di Dantone è stata autorevolissima nell'equilibrare le sezioni orchestrali e pronta a slanci imprevisti. Protagonista assoluta Marianne Crebassa nei panni di Cenerentola, per garbo, grazia e sicurezza vocale, un felicissimo ritorno alla Scala. Ottimamente contrastata dal don Magnifico di Carlos Chausson, disinvolto manigoldo, capace di grande autoironia. Maxim Mironov come Don Ramiro ha mostrato un perfetto physique du rôle e una curata voce rossiniana, ma talvolta di volume insufficiente per la vastità della sala. Tsisana Giorgadze e Anna-Doris Capitelli hanno dato alle due sorelle una sgangherata perfidia, pur sempre controllata. Mentre Nicola Alaimo come Dandini è un corpacciuto fanfarone, vocalmente disinvolto. Erwin Schrott è stato un misuratissimo Alidoro, deus ex machina e al termine anche fotografo che ha immortalato il cast finalmente rappacificato.

Applausi calorosissimi e lunghissimi a tutti al termine della serata, al maestro Casoni compreso, direttore del coro maschile.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Napoli: per il Maggio della Musica

classica

Nuova opera sul dramma dell’emigrazione

classica

Un'interessantissima lettura della Nona