Bruckner e Mahler per l’inaugurazione della stagione sinfonica di Santa Cecilia

Pappano accosta il Te Deum e Das Lied von der Erde di due musicisti così vicini e così diversi

Il concerto inaugurale dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Il concerto inaugurale dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Recensione
classica
Sala Santa Cecilia del Parco della Musica, Roma
Concerto Pappano
16 Ottobre 2020 - 18 Ottobre 2020

 Doveva essere Lohengrin ad inaugurare questa stagione di concerti dell’Accademia di Santa Cecilia ma per mantenere il distanziamento degli esecutori sul palco è stato necessario sostituirlo con il Te Deum di Bruckner e Das Lied von der Erde di Mahler, che pure non scherzano affatto quanto a vastità degli organici. Peccato per il Lohengrin, che all’Opera di Roma manca da circa mezzo secolo (allora fu cantato in italiano!) mentre abbiamo ancora nelle orecchie quello, bellissimo, diretto da Christian Thielemann a Santa Cecilia nel pur sempre lontano 1996. I due pezzi scelti da Antonio Pappano si eseguono invece con relativa frequenza, ma a mia memoria era la prima volta che li ascoltavo l’uno dopo l’altro, anzi era la prima volta in assoluto che ascoltavo Bruckner e Mahler in uno stesso concerto. Si deve credere che questo accostamento non fosse casuale ma sia stato stato voluto da Pappano per mettere a confronto due capolavori risalenti agli ultimi anni della vita dei due compositori, spesso giudicati vicini sulla base di alcuni elementi esteriori – erano wagneriani e composero entrambi sinfonie di grande ampiezza e per organici enormi – mentre in realtà le distanze tra loro sono abissali.

Bruckner, profondamente cattolico, nutre certezze assolute, granitiche e inscalfibili e mette in musica il Te Deum, testo simbolico della Ecclesia triumphans, preferito anche dai sovrani assoluti per celebrare incoronazioni e vittorie militari. Mahler è invece il musicista del pessimismo e del dubbio e sceglie testi di antichi poeti cinesi che cantano la fragilità dell’uomo e la transitorietà del tutto.

Ma è proprio così? Crepe si aprono nella solennità trionfale del Te Deum di Bruckner, che non è affatto dogmatico e grandioso e compatto come solitamente si dice. Inizia, è vero, con un solenne fortissimo di coro e orchestra, che conserva il sapore arcaico del canto medioevale (in effetti nella parte corale è riconoscibile, per quanto trasposta e modificata, la melodia gregoriana originale). Ma poi tale grandiosità torna solo a tratti. Il testo d’altronde, sebbene venisse generalmente scelto per solennizzare eventi fausti, ha frequenti richiami alla morte, con relative suppliche alla divinità perché soccorra i poveri mortali e dia loro la vita eterna. Sia in tali pagine tormentate dalla consapevolezza della miseria umana e dalla paura dell’aldilà sia in quelle che celebrano solennemente la grandezza e la clemenza divine, traspare “l’ossessione di Brucknerı […] di riuscire a tenere insieme i pezzi di una mente inquieta e a rischio di smarrirsi”, come scrive Oreste Bossini nel programma di sala.

La splendida interpretazione di Pappano ha dato il giusto rilievo ai momenti trionfanti e gloriosi ma ha anche pienamente valorizzato tali momenti di dubbio, di timore, di supplica e di meditazione, che in altre interpretazioni diventano poco più che delle parentesi per riprendere fiato in attesa del prossimo fortissimo. Le restrizioni stesse imposte dal distanziamento favorivano la lettura di Pappano. Infatti gli organici di coro e orchestra non erano sterminati come di consueto e per di più coro e orchestra erano posti su due piani diversi e sia i coristi che gli strumentisti erano molto distanziati tra loro, così da rendere il suono molto più aereo e trasparente rispetto alle compatte sonorità da organum plenumtipiche di Bruckner. Il coro, istruito da Piero Monti, e l’orchestra meritano una lode incondizionata per essere stati perfetti anche in queste difficili condizioni logistiche. Veramente ottimi anche i solisti, che erano quattro elementi del coro, il soprano Donika Mataj, il contralto Daniela Salvo, il tenore Anselmo Fabiani e il basso Antonio Vincenzo Serra.

Più normale l’esecuzione de Il canto della terra mahleriano, che pure offrirebbe maggiori spunti agli interpreti, non sempre raccolti da Pappano e soprattutto dai due cantanti solisti. Indubbiamente si è ascoltata un’esecuzione di buon livello, ma non particolarmente rivelatrice. La direzione di Pappano è analitica e fa onore all’orchestrazione di Mahler, che mette una cura da miniaturista nell’estrarre preziosi colori da un’orchestra sterminata. Il contralto Gerhild Romberger non ha un timbro particolarmente ricco ma la sua interpretazione è concentrata e intensa. Il tenore Clay Hilley è un wagneriano piuttosto rigido ed inespressivo, non all’altezza alle sottigliezze che Mahler richiede ai suoi interpreti.

I mille e duecento ascoltatori – non pochi per questi tempi di restrizioni alla capienza delle sale - hanno applaudito a lungo e giustamente Pappano ha condiviso gli applausi, facendo alzare ad una ad una le prime parti e le intere sezioni dell’orchestra.

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