Bolzano: l’elisir d’amore è un elisir d’infanzia

Lo spettacolo di Catalano diretto da Bonato in scena per la Fondazione Haydn

LS

08 novembre 2025 • 4 minuti di lettura

L'Elisir d'amore (Foto Andrea Macchia)
L'Elisir d'amore (Foto Andrea Macchia)

Teatro Comunale, Bolzano

Elisir d'amore

07/11/2025 - 09/11/2025

La stagione 2025/2026 della Fondazione Haydn di Trento e Bolzano è arrivata, il 7 novembre, al suo primo appuntamento operistico: un nuovo allestimento de L’elisir d’amore di Donizetti, firmato da Roberto Catalano e realizzato in coproduzione con il Maggio Musicale Fiorentino. A Firenze lo spettacolo ha già debuttato a luglio, all’aperto, nella Cavea del Teatro del Maggio: nel passaggio al Teatro Comunale di Bolzano, la produzione ha mantenuto due cantanti, Hae Kang (Belcore) e Roberto de Candia (Dulcamara), e il direttore Alessandro Bonato, alla guida dell’Orchestra Haydn.

La regia di Catalano riambienta la vicenda nel parco d’una città in un periodo imprecisato, ma, a giudicare dagli eleganti costumi di Ilaria Ariemme, probabilmente tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Nella scena unica di Emanuele Sinisi, fatta di altalene, panchine, recinti colorati e strutture su cui arrampicarsi, pattuglie di sorveglianza prendono il posto della guarnigione e impiegati in completo grigio prendono il posto dei rustici. Nel Preludio vediamo accadere l’evento traumatico che segnerà la piccola Adina facendo di lei un’adulta diffidente per il resto dell’opera. Cedere infine all’amore di Nemorino, con in mezzo le vicende note dell’elisir, del matrimonio per ripicca e dell’eredità, significa in realtà superare quel trauma. L’elisir d’amore è infatti un elisir d’infanzia e ciò che Dulcamara vende agli adulti è la capacità di giocare, di vivere la loro faticosa esistenza con la leggerezza di quando erano bambini. Questo il concept. Ora, l’Elisir è tra le opere che meglio s’adattano ai cambi di ambientazione (certo, qualche frizione c’è sempre, ma non inficia tutto). In questo caso l’idea funziona molto bene, perché coglie quella tendenza alla semplicità tipica della musica di Donizetti, che può apparire come il grado zero della scrittura ed è disseminata di raffinatezze. La stessa vita di Donizetti, poi, è un’infilata di disgrazie: nella regia di Catalano il compositore sarebbe il primo cliente di Dulcamara; e, in fondo, pezzi elementari come il Marziale di Belcore o la Barcarola sono per il supremo musicista i vari giochi da bambini che gli adulti fanno al parco. I movimenti che Catalano prescrive sono precisi e modellati sulla musica, le azioni sfruttano al meglio lo spazio, e ci sono anche tocchi di coreografia appropriati alla scena più incantevole dell’opera, quella di Giannetta col coro e il successivo Quartetto (lì è merito anche di Felice Romani: quanta conoscenza del cuore umano, quanta economia di mezzi per esprimerla). Unico lieve difetto, a nostro avviso, è il cedimento alla tendenza, purtroppo diffusa, a riempire il palco di controscene e gag che son belle quando durano poco, e qui durano tanto. Ma sono poche gocce nel mare.

Bonato ha diretto con un’attenzione scrupolosa a tanti dettagli della partitura su cui talvolta si rischia di passare senza accorgersi, in particolare dinamici e agogici, portati splendidamente alla luce dall’orchestra; ma la qualità che più di questo direttore ci piace è l’atteggiamento di semplicità con cui si pone al servizio della musica, da un lato, e dello spettacolo nel suo insieme dall’altro. Per descrivere le magie che ha fatto Bonato occorre, in questo caso, descrivere le magie che ha fatto Donizetti, che a loro volta vanno nella direzione della naturalezza, della semplicità e della mimesi con i discorsi e i tempi emotivi della commedia: insomma, non te ne devi accorgere. Come sempre, è una trasparenza che richiede sforzo, e non possiamo neanche immaginare la concentrazione in cui il direttore è immerso per far fraseggiare insieme il canto e l’orchestra in «Una furtiva lagrima» o in altre pagine dalla scrittura altrettanto filiforme.

Non resta che fare cenno ai cantanti e al coro, brevemente perché il livello era alto e quando gli interpreti giocano (to play) fra loro in modo così affiatato le classifiche hanno ancora meno senso del solito. Il coro, ossia l’Ensemble Vocale Continuum diretto dal maestro Luigi Azzolini, era compatto, sicuro, trasparente nei piani, mobile nel fraseggio e i suoi membri erano in grado - rara avis - di recitare senza sembrare dei tralicci dell’alta tensione. Quanto ai solisti, erano Lucrezia Drei (Adina), Matteo Roma (Nemorino), Gabriella Ingenito (Giannetta) e i citati Kang e De Candia. Ognuno ha sfruttato al meglio ciò che la natura e la tecnica gli permetteva per arrivare al risultato, dal punto di vista e vocale e scenico. De Candia era il veterano del gruppo e ha portato avanti con gusto, spirito, eleganza e inventiva la gloriosa tradizione del basso buffo; fra gli altri interpreti ci piace poi menzionare Ingenito perché Giannetta è sempre un personaggio trascurato o delegato a cantanti di seconda categoria, mentre qui la sua personalità spiccava alla pari con gli altri (e poi era agghindata come Shirley Jackson, il che ce la rende ancora più cara). 

Varie chiamate al proscenio e lunghi applausi per tutti da un pubblico partecipe. Per chi volesse un sorso del magico liquore, la replica è il 9 novembre alle 16:00.