Berchidda: terra, luci e ombre

Il racconto del festival di Paolo Fresu, in cui hanno brillato Ahmad Jamal e la Traoré

Rokia Traoré (foto Massimo Schuster)
Rokia Traoré (foto Massimo Schuster)
Recensione
jazz
Time in Jazz Berchidda
12 Agosto 2011
Un festival con luci ed ombre, l’edizione 2011 di Time in Jazz a Berchidda: il tema della “terra”, terzo dei quattro elementi naturali, è stato il motivo conduttore di una rassegna forse un po’ affetta da horror vacui tra i tanti eventi, e che si è illuminata solo a tratti: con le esibizioni di Rokia Traoré e Ahmad Jamal, mantendendo alto il livello delle proposte con Pierre Favre e, in parte, Bojan Z. Davvero un successo, il 12 agosto, la performance del quartetto di Ahmad Jamal: l’ottantunenne pianista, tra i grandi del jazz degli anni Cinquanta, ha conquistato il pubblico del festival con un concerto ancora di buon livello nel quale si sono riascoltati diversi classici e qualche omaggio (all’amato Gillespie) sulle ben note coordinate di un jazz “classic blend” giocato sull’alternanza di esposizioni tematiche minimali - suonate in punta di dita - e aperture su ostinati/pedali, a forzare le maglie del chorus, dove si stratificano riff dal forte incedere percussivo. Jamal ha governato la musica per mezzo di una esplicita segnaletica, controllando gli interventi dei suoi sotto ogni aspetto, dalla durata al tipo di dinamica. Ha convinto meno, il giorno seguente, il mélange flamenco-jazz dello spagnolo Chano Dominguez le cui doti di pianista non hanno riscattato l’opacità del progetto “piano ibèrico” (la “jazzificazione” di alcune pagine di Rodrigo, Albeniz e altri, e materiali tradizionali) e dei suoi sodali, spesso semplici spettatori delle sue prolisse digressioni improvvisate. Altro musicista di fama, il settantasettenne brasiliano João Donato, tra i padri della bossa nova, ha chiuso la serata con una manciata di sue deliziose composizioni, cantate con vocina incerta - data l’età - ma ancora affascinanti; peccato che alla lunga sia affiorato un certo sopore nonostante l’intervento apparentemente “salvifico” di Paolo Fresu a fine concerto. Il giorno successivo (14 agosto) la maliana Rokia Traorè ha tenuto un concerto di rara concentrazione ed emozione: le sue lunghe ballate acustiche in bambar eseguite con coro femminile e una strumentazione con ngoni e kora protagonisti accanto alla sua chitarra Gretsch, cullano e ipnotizzano, capaci di sospendere il tempo per merito di una voce tra le più toccanti dell’odierno panorama africano. Spettacolare il concerto dell’ensemble di Pierre Favre, alle prese con le pietre sonore di Pinuccio Sciola, generatrici di un suono inquietante e fascinoso condotto attraverso complesse trame ritmiche. Chiusura il 15 agosto con la tetraband del serbo Bojan Z, ospite Gianluca Petrella, che ha proposto con peculiare filtro etno un jazz muscolare, vivo e ricco di spunti sebbene, a tratti, dalla grana non proprio fine.

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