Aria nuova al Maggio

La presentazione del nuovo Maggio di Cristiano Chiarot fa ben sperare per il futuro

Recensione
classica

Certo che sono cambiate un bel po' di cose in questi mesi, al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Dopo la lunga e quasi ventennale sequela di sovrintendenti frutto delle scelte dei precedenti sindaci Domenici e Renzi – sovrintendenti-professori-prestati-al-teatro, sovrintendenti-fini-intellettuali, sovrintendenti-apprendisti le cui note d'apprendistato dovrebbero fruttare, a parere di chi scrive, uno stop definitivo a tali ambizioni (ma siamo in Italia, e allora chissà ?), o semplicemente sovrintendenti-amici-di-qualcuno – che ha prodotto una marea di licenziamenti mal condotti e conseguenti, costose cause di lavoro e risarcimenti, un management troppo affollato e troppo pagato, conflittualità permanente con alcune sigle sindacali, debito fuori controllo e un mortificante retrocedere nella graduatoria dei teatri italiani, ecco che un sovrintendente di mestiere, Cristiano Chiarot, ha raccolto la sfida. Chiarot ha lasciato un teatro che andava bene, la Fenice, per un teatro che, come abbiamo più volte raccontato in questi anni, andava decisamente male (ma chi anche nella precedente gestione aveva lavorato bene a dispetto di tutto, il direttore artistico Pierangelo Conte, è rimasto al suo posto). L'aria è cambiata e sembra diffuso un ottimismo impensabile all'inizio del 2017.

Lo si sentiva nell'affollata conferenza stampa di presentazione della stagione 2017-2018 e anticipazioni del festival del Maggio 2018, che costituiva anche un'occasione di incontro con la città per Fabio Luisi, il nuovo direttore musicale. Questo teatro farà un sacco di cose. Sommando stagione e ottantunesimo Maggio, sono trentasei programmi concertistici e ventitré titoli fra opera e balletto, con moltissimi nuovi allestimenti tra cui tutti e cinque i titoli inscenati all'ottantunesimo Maggio del 2018: Cardillac, La battaglia di Legnano, un progetto nel giardino di Boboli, Tenebra di luce di Adriano Guarnieri e Il prigioniero di Dallapiccola, che Zubin Mehta ha voluto abbinare ai Quattro pezzi sacri verdiani, con una drammaturgia e messinscena affidata a Virgilio Sieni (e come chiusura un Macbeth in forma di concerto che Riccardo Muti dirigerà a luglio in occasione del cinquantesimo anniversario del suo debutto a Firenze).

Nuovi allestimenti, il che significa, tra le altre cose, rimettere al centro il laboratorio scenografico e quelle componenti del lavoro teatrale su cui ci si era precedentemente accaniti. Fra i nuovi allestimenti citiamo almeno la pucciniana Rondine, per la prima volta a Firenze a cento anni dalla prima di Montecarlo (a ottobre, direttore Valerio Galli, regìa, scene e costumi di Denis Krief), e la Carmen (a gennaio, direttore Ryan McAdams, regìa Leo Muscato).

Si sta gestendo molto bene, sul piano artistico ma anche sul piano comunicativo, questo che poteva essere un passaggio non facile da un direttore all'altro, Zubin Mehta – Fabio Luisi, accordando l'amore del pubblico fiorentino per la grande bacchetta indiana, adesso “direttore emerito a vita”, con il subentrare di una figura nuova nella veste di direttore musicale che, dice Chiarot, sarà molto presente. Ma anche Mehta c'è, eccome, e prima del Prigioniero al festival si riserva nell'aprile una finestra sinfonica di quattro concerti dedicati al binomio russo Čajkovskij-Stravinskij, proseguendo nel festival con tre concerti in cui fra l'altro ritornerà al suo caro Brahms (i due concerti pianistici con Andras Schiff).

Ecco un altro segnale: una stagione sinfonica che, ci sembra, ritorna ad essere tale, e non una sorta di riempitivo d'obbligo tra un evento operistico e l'altro. Ed è un riprendersi una tradizione, perché è come orchestra sinfonica che nel 1928 nacque la Stabile Fiorentina, nucleo del futuro Maggio. Fra ottobre e giugno, sia la stagione sinfonica sia la parte sinfonica del Maggio vedono il ritorno di direttori che mancavano da un po', come Ivor Bolton, Oleg Caetani e James Conlon, e il tutto trova una sua continuità e coerenza di progetto grazie a ben intrecciati fili conduttori. Per esempio il ciclo Šostakovič, veramente molto bello e molto ben disegnato, aperto da Fedoseev a ottobre e chiuso da Mehta a fine festival, in cui tutte le sinfonie del compositore russo sono accostate al grande repertorio, a compositori a lui contemporanei o quasi come Casella, Dallapiccola, Respighi, Ghedini, Bernstein, De Sabata, il ritrovato Giovanni Salviucci, a rarità, a riscoperte come i due pezzi per flauto e archi di Ottorino Respighi recentemente riemersi, a prime assolute e commissioni.

A Firenze il problema di sempre, o se vogliamo il vanto di sempre, è la doppia identità, stagione e festival del Maggio. Ci vuole un grande equilibrio per definire le necessarie differenze ma anche le forme di continuità fra ciò che è offerta di un servizio “ordinario” al pubblico soprattutto locale e regionale, e ciò che deve essere eccezionale per richiamare appunto il pubblico cosmopolita dei festival. Così sul versante lirico Luisi si fa davvero sotto in tutte e due le direzioni. Titoli meno frequentati anche in stagione e opere da festival, e cioè, a febbraio, una Favorite donizettiana nell'originale francese, e in apertura di Maggio Cardillac di Hindemith (regìa di Valerio Binasco, nuovo allestimento), ma intanto Luisi fa a settembre la Trilogia Popolare verdiana, date concentrate e regìa di Francesco Micheli per tutte e tre le opere, insomma un pacchetto attraente nel periodo turisticamente giusto, e nello stesso periodo c'è anche un “pacchetto Puccini” Bohème-Tosca-Butterfly, che fa da battistrada alla Rondine (l'invenzione a Firenze di questi pacchetti è dovuta a un sovrintendente, Francesco Giambrone, atipico rispetto alla sequela che dicevamo prima e a conti fatti il migliore fra quelli). Altre opere oltre a quelle citate: La sonnambula, L'elisir d'amore, Il Barbiere di Siviglia.

Chiarot parla senza reticenze e un po' di tutto. Aver chiuso Maggiodanza “è una ferita aperta”, ed è importante non solo che si continui a fare da approdo ai grandi complessi e étoiles ospiti, ma anche che si sappiano individuare le realtà e i riconosciuti artisti che sono già qui, come il Balletto di Toscana Junior per una Bella Addormentata e, come detto, Virgilio Sieni, noto e acclamato ovunque ma finora sistematicamente ignorato da questo teatro. Che invece si era già accorto, anche se un po' tardivamente rispetto ad altre realtà musicali italiane, che a Firenze c'era Federico Maria Sardelli, che oltre a essere nuovamente fra i direttori del Ciclo Mozart nella Sala Bianca di Pitti dirigerà, a marzo, un Alceste di Gluck che riprenderà un famoso spettacolo di Pier Luigi Pizzi, e poi al Maggio farà un progetto nel giardino di Boboli ancora da definire. Chiarot sembra avere ben presente ciò che Boboli e/o il sottostante cortile di Palazzo Pitti hanno significato nell'albo d'oro del Maggio. Non c'è bisogno di andare indietro ai mitici spettacoli di Reinhardt e Visconti, basta risalire agli anni Ottanta, a un magico, inarrivabile Shakespeare più Purcell ossia Sogno di una notte di mezza estate con i masques di The Fairy Queen di Purcell, affidato al genio di Ronconi e all'ottimo Roger Norrington per la parte musicale (1987), per rendersi conto di cosa può significare un luogo come Boboli per tutto un repertorio di riscoperte e reinvenzioni, fra barocco e contemporaneo, soprattutto per gli incroci tra teatro di parola e musica. Per ora, e già dall'anno scorso, sotto la collina di Boboli è il cortile di Palazzo Pitti a ospitare una stagione estiva di opere di repertorio (quest'anno Barbiere, Traviata, Elisir, Cenerentola) e concerti, dai risultati alterni, ma con qualche regìa di notevole interesse, qualche bella giovane voce e qualche bacchetta da mettere alla prova, a cui i fiorentini e i turisti sembrano rispondere complessivamente bene, ma certo Boboli sarebbe un'altra cosa.

Ritrovare un rapporto con la città, valorizzare le realtà e le personalità artistiche che qui a Firenze ci sono, riospitare il teatro di parola, d'invenzione, di fantasia: erano aspirazioni che anche qualcuno fra i precedenti sovrintendenti aveva fatte proprie, ma la speranza è che adesso ci sia l'energia e le capacità per realizzarle. Un vero applauso si leva quando, additando il logo, Chiarot ci mostra come il nome del Maggio Musicale Fiorentino (e dunque: Teatro del Maggio Musicale Fiorentino), cioè quello conosciuto in tutto il mondo, sia ritornato al suo posto, in luogo della generica e insignificante dizione Opera Firenze imposta dal precedente sovrintendente Francesco Bianchi e dai suoi “comunicatori”. Bene, un nome carico di storia è ritornato al suo posto. Ma non lasciamoci troppo andare alla nostalgia: è ora, dice Chiarot, che la città sostenga di nuovo il suo teatro, e che anche tanti aficionados del vecchio Comunale (è così che si chiamava il teatro di corso Italia ora dismesso e diversamente destinato) tornino a farsi vedere nel teatro nuovo, che, dice Chiarot, ha pregi e difetti, ma insomma ora è il nostro teatro, fra poco sarà anche in funzione un parcheggio più funzionale... insomma, niente più scuse per restare a casa!

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