Arabella a Berlino, sul passaggio tra le età

Convincente realizzazione musicale dell’ultimo capolavoro Strauss-Hoffmansthal

Arabella (Foto Thomas Aurin)
Arabella (Foto Thomas Aurin)
Recensione
classica
Deutsche Oper, Berlin
Arabella
18 Marzo 2023 - 06 Aprile 2023

Il teatro musicale di Strauss gode ormai di un consolidato favore, soprattutto nei Paesi germanofoni, dove anche le opere meno eseguite stanno diventato titoli ‘di repertorio’ (che nei grandi teatri tedeschi significa semplicemente ‘produzioni  riprese in anni successivi alla première’). Così, nel corrente marzo berlinese, tra Staatsoper e Deutsche Oper sono approdate sulla scena – con nuovi allestimenti – le più rare Daphne  e Arabella, più i riallestimenti di Salome ed Elektra con cui la DO ha contornato il secondo titolo. Ci si sofferma appunto su Arabella, non senza aver richiamato – nella sempre straniante regia di Guth per Salome – le straordinarie prove interpretative di Vida Mikneviciute e Thomas Blondelle. Con Arabella siamo, all’ultimazione della partitura (l’ultima su un libretto di Hoffmansthal), quasi trent’anni dopo il primo capolavoro straussiano per le scene: la materia drammatica è stavolta ‘comico-sentimentale’, il quadro compositivo internazionale è cambiato, anche il ductus di Strauss sta mutando un poco, ma la partitura conserva – in forme ovviamente differenti – molte delle qualità di scrittura centrifuga della Salome, soprattutto nelle articolazioni armoniche e tematiche, e nell’elasticità del tempo musicoteatrale, magistralmente oscillante tra garbuglio più o meno concentrato e scioglimento lirico. L’opera tiene dunque benissimo, pur con le sue digressioni episodiche, una tensione dell’audio-visione, ed è anche una vera gioia per l’orecchio, quando si tratta di pennellare l’orchestrazione. Certo, la lettura non va spinta troppo verso la pensosa, moderna riflessione sulla dimensione temporale del Rosenkavalier: in Arabella, gli elemento d’intreccio del travestimento/liminalità di genere, o del perdono amoroso, assunti in parte dalle Nozze di Figaro mozartiane, mirano più a un sentimento di passaggio tra due fasi esistenziali, innescata appunto da passioni fatali.

La lettura della regia di Tobias Kratzer sembra partire appunto da tale passaggio, che si rispecchia a metà secondo atto nell’abbandono dei costumi inizio Novecento per abiti casual-attuali, in parallelo alla scomparsa delle scenografie corrispondenti, e con l’inquietante irruzione a cesura delle immancabili SS. Il regista si gioca anche la carta della proiezione parallela di azioni, con risultati alterni: il bianco-e-nero della sequenza dell’incontro d’amore rubato con l’inganno da Zdenka a Matteo (che spasima per Arabella, e crede Zdenka un ragazzo), in corrispodenza del preludio al’’ultimo atto, allude chiaramente a codici da cinema muto, e forse funzionerebbe anche da solo, ma viene collegato a una complicata, faticosa, sostanzialmente malriuscita ripresa dal vivo delle azioni del primo atto, trasmesse in diretta su uno schermo calabile a celare l’altra metà complementare dello spazio domestico agito, senza che però ci sia sempre l’agio, l’angolo visuale (inquadratura continuamente impallata!), anche la materia visiva adatta a sostenere quello stesso codice. Ma la produzione è stata pensata pure per la destinazione home-video, sicché sarà interessante verificarne gli esiti gestiti nell’assai più controllabile post-produzione.

La sostituzione del ruolo del titolo, dopo la première, con la solida, vocalmente plastica Gabriela Scherer non ha pregiudicato l’ottima riuscita musicale della performance, in un lavoro che – nel concedere ariosi tutt’altro che secondari ai personaggi, soprattutto alla protagonista – predilige comunque la tramatura dialogica del canto: tutti bravissimi gli interpreti sulla scena, con menzione speciale per gli quelli più intensamente impegnati nell’intreccio principale, ovvero Elena Tsallagova, Russell Braun e Robert Watson. Donald Runnicles ha diretto con la consueta sagacia, fluidità e senso del fraseggio complessivo i complessi della Deutsche Oper. Molti applausi per tutti, però anche numerose poltrone vuote (poche invece nella Salome del giorno dopo); peccato, perché, al netto delle perfettibilità della regia e considerato l’ottimo livello dell’esecuzione musicale, resta il fatto che Arabella non è di sicuro un’opera minore…

 

 

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