All’Opéra Comique torna la figlia di Madame Angot
Ambientazione anni Sessanta per l’operetta di Lecocq
La fille de Madame Angot è leggera e briosa, come deve essere un’operetta, ma non a tutti è piaciuta la scelta del regista Richard Brunel di ambientare la storia della figlia della famosa pescivendola parigina negli anni Sessanta invece che alla fine del Settecento, com’è nella vicenda originale.
Una storia conosciutissima in Francia, declinata in diversi lavori di prosa e poi trasformata in operetta da Charles Lecocq, l’erede di Offenbach, nello stile dell’opéra comique, quindi con alternanza di dialoghi parlati e parti cantate, ma la prima avvenne a Bruxelles nel 1872, al teatro Fantaisies-Parisiennes, per poi conquistare Parigi, fare il giro del mondo tradotta in più lingue, per finire per essere dimenticata nel secondo dopoguerra.
L’Opéra Comique, ne ha proposto adesso, dopo 85 anni di assenza dalla Sala Favart, un nuovo allestimento molto colorato, solo una punta politicizzato, solo qualche striscione con slogan che invitano ad essere padroni di se stessi e ad assecondare i propri desideri.
La messa in scena strizza più l’occhio al famoso film Les Demoiselles de Rochefort di Jacques Demy, con Catherine Deneuve e sua sorella Françoise Dorléac, che al Sessantotto e alle sue barricate. Cosi il mercato delle Halles diventa la catena di montaggio di una fabbrica di automobiline, deliziose, ed i suoi operai allevano la piccola, innocente Clairette, orfana di Madame Angot, come se ne fossero tutti mamma e papà, come ne La Fille du régiment di Donizetti. E gli combinano pure un bel matrimonio con il creatore di parrucche Pomponnet. Solo che Clairette è innamorata di un’altro ed è figlia di sua madre, quindi si rivela ribelle, combattiva e piena di risorse per seguire la sua strada e non il volere altrui.
La musica fluisce gaia e piacevole sotto la direzione di Hervé Niquet alla testa dell’Orchestre de Chambre de Paris e del coro Le Concert Spirituel, l’ensemble fondato dallo stesso Niquet. Particolarmente apprezzabili e curate le fresche piccole sinfoniette che aprono gli atti, i dialoghi sono stati tagliati e attualizzati, ma Ange Pitou, il poeta reazionario di cui è innamorato Clairette, è vestito alla moda settecentesca con stivali lunghi e camicia con les ruches e un tale mélange di stili non funziona bene.
Più che la contestualizzazione negli anni Sessanta a non convincere è il modo in cui tale attualizzazione è stata realizzata, quindi le scene ed i costumi di Bruno de Lavenère.
Quanto al cast di interpreti, la riproposizione del bel lavoro di Lecocq avrebbe meritato delle scelte più oculate: non appaiono adatte ai ruoli le due protagoniste femminili, il soprano canadese Hélène Guilmette come Clairette Angot, che sin dall’inizio sembra più una Carmen che una fanciulla innocente che prende coscienza di sé, e Véronique Gens come Mademoiselle Lange, troppo signora raffinata per essere credibile nella parte. Le due donne inoltre sono molto, troppo, diverse tra loro mentre dovrebbero essere delle ex compagne, comunque il loro duetto stile Demoiselles de Rochefort è tra i momenti più applauditi dello spettacolo.
Più centrati i personaggi maschili, assai divertenti il Pomponnet del giovane tenore belga Pierre Derhet dal ben timbro sonoro; e il Larivaudière, il banchiere amante di Mademoiselle Lange, del baritono-basso Matthieu Lécroart, caricaturale con elegante misura, senza mai strafare; mentre il bel seduttore poeta Ange Pitou è interpretato dal tenore Julien Behr con qualche difficoltà a brillare nella parte.
Buona prova del coro, compatto e preciso. In coproduzione con Palazzetto Bru Zane, Opéra Nice Côte d’Azur e Opéra Grand Avignon.
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