Alla Scala risuona la musica da camera francese

Damase, Jolivet, Debussy, Cras e un fuori programma di Peppe Vessicchio

Musica da camera alla Scala (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Musica da camera alla Scala (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Recensione
classica
Milano, Teatro alla Scala
Concerto di musica da camera
12 Giugno 2022

Parallelamente alla stagione d’opera e di balletto il Teatro alla Scala offre una serie di appuntamenti che mettono in luce singoli elementi dell’orchestra in veste di cameristi. Il concerto di domenica 12 giugno affiancava alla celebre Sonata per flauto, viola e arpa di Debussy, brani di Jean-Michel Damase, André Jolivet e Jean Cras in un programma pensato con gusto e raffinatezza musicale che ha messo in gioco arpa (Luisa Prandina), flauto (Marco Zoni), violino (Stefano Lore), viola (Giuseppe Russo Rossi) e violoncello (Marianna Sinagra).

Il filo rosso che lega queste musiche è la Francia, accumunate anche dai toni distesi e dal carattere pastorale, dalle qualità spiccatamente estive: son suoni che giocano a rimpiattino con la luce abbagliante di questo caldo mattino milanese che filtra dalle finestre del Ridotto dei palchi. Un secondo filo rosso è il confronto al passato: così Debussy, componendo il ciclo Six sonates pour divers instruments, inviduava in Rameau l’autentica tradizione francese a cui far ritorno, così il Chant de Linos rimanda alla cultura ellenica per il contenuto del programma e l’uso dei modi greci.

Musica da camera alla Scala (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Musica da camera alla Scala (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)

L’impaginazione evidenzia le qualità dei musicisti e delle musiciste in formazioni variabili: ora il virtuosismo del flauto di Zoni nel Chant de linos, pietra miliare del repertorio moderno di questo strumento, ora quello dell’arpa di Prandina in Damase, ora la formazione bilanciatissima di flauto, viola (Giuseppe Russo Rossi) e arpa amata da Debussy. Tutti i protagonisti del concerto si riuniranno infine nel Quintetto di Jean Cras: un organico peculiare che deriva dal Quintette instrumentale de Paris (fondato nello stesso 1922 cui risale il Quintetto di Cras) nato sulla scia delle sperimentazioni timbriche inaugurate da Debussy con la sua Sonata. È proprio in Cras che i cinque interpreti possono mostrare - oltre al talento del singolo - un affiatamento davvero non comune. Merito particolare va a questi virtuosi che hanno offerto al Teatro alla Scala e al loro pubblico, che affollava la sala del Ridotto, un pezzo di rarissimo ascolto, rivelando dunque anche una vocazione didattica, ovvero il dar corpo e suono a musiche che vanno oltre al repertorio consueto (e, forse, un po’ usurato).

Originale bis, appositamente scritto per questi musicisti e musiciste della Scala, è l’inedita Tarantina di Peppe Vessicchio. Il direttore, noto ai più come icona pop del Festival di Sanremo, affianca all’attività di direzione d’orchestra quella di compositore (pubblicato da Sonzogno e la cui musica avevamo già avuto modo di apprezzare al Festival Classica al borgo, a Guardia Perticara, l’anno scorso). Partendo da una suggestione minimalistica di grande efficacia, la Tarantina di Vessicchio, dalla forma tripartita, riveste di un suono ipnotico il celebre fenomeno del tarantolismo. Affetto del pubblico e lunghi applausi per una giornata particolare in cui si ritrova l’autentico piacere dello stare insieme godendo di bella musica ottimamente eseguita.

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