Alla Monnaie rinasce Henry VIII di Camille Saint-Saëns

Bruxelles: regia di Olivier Py

Henry VIII
Henry VIII
Recensione
classica
Monnaie di Bruxelles
Henry VIII
11 Maggio 2023 - 27 Maggio 2023

Merito soprattutto del maestro Alain Altinoglu, del baritono Lionel Lhote e del regista  Olivier Py, esattamente in quest’ordine, se un’opera come l’Henry VIII di Camille Saint-Saëns è tornata a vivere, e a piacere molto, dopo essere stata lasciata cadere nell’oblio. Per fortuna il regista Olivier Py, a cui la Monnaie aveva chiesto per il 2021 di mettere in scena un’opera di Saint-Saëns in occasione del centenario della morte del compositore, infine ha scelto l’opera Enrico VIII invece della più nota Sansone e Dalila, riaccendendo così in riflettori su un lavoro che ai suoi tempi fu a Parigi un buon successo ma poi uscita dal repertorio. Oggi la sensibilità di un raffinato interprete della musica tardo ottocentesca qual’è  Alain Altinoglu ci ha consentito di apprezzare nuovamente tutta la leggera raffinatezza, ricchezza di spunti e suggestioni della partitura, data nella sulla integralità, con grande attenzione agli strumenti solisti, davvero anche solo l’esecuzione orchestrale vale il biglietto. Ma si scoprono anche bellissime pagine di coro, molto presente, e qui ottimamente istruito da Stefano Visconti, e tre parti vocali principali  pure di grande interesse con arie molto belle. A dominare il cast il baritono belga Lionel Lhote che centra in pieno l’interpretazione dei Enrico VIII, dopo essere stato recentemente anche un grande Hamlet nella nuova produzione dell’opera di Ambroise Thomas messa in scena a Liegi.  Lhote dimostra di avere raggiunto la piena maturità sia tecnicamente che come artista, qui tratteggia un re assai distinto, fermo nella sua elegante doppiezza, cortese nei modi quanto in realtà senza scrupoli per ottenere quello che vuole. Per lui  calorosi applausi dopo l’esecuzione dell’aria “Qui donc commande quand il aime?” nel secondo atto e poi sempre più un crescendo di apprezzamenti sino al trionfo personale finale meritatissimo. Il suo fraseggio è chiaro e preciso, sempre misurato e ben controllato in tutta l’estensione, la sua presenza regala sempre emozione, anche se è il cattivo della situazione. Le due parti femminili principali invece sono purtroppo mal attribuite, sopratutto quella di Anna Bolena affidata alla pur brava mezzosoprano Nora Gubisch che non riesce qui ad essere credibile per la parte, troppo matura, dalla voce un po’ troppo scura, presentata con i modi più di una zingara che di un’aspirante regina e poi sovrana. Caterina d’Aragona è poi affidata al giovane soprano francese Marie-Adeline Henry dagli acuti fendenti ma con durezza di toni, senza quei suoni morbidi che la dolcezza del personaggio pure richiederebbe, comunque brava e molto apprezzabile sopratutto nella seconda parte dello spettacolo dove la sua voce finalmente si ammorbidisce nel ricordare la Spagna natia e risuona giustamente potente contro l’ingiustizia che sta subendo.

Quanto alla messa in scena, se le prime foto circolate dello spettacolo avevano fatto temere il solito ambiente nero che caratterizza molti lavori di Py, e le scene di Pierre-André Weitz in effetti hanno di nuovo tale tonalità dominante, l’allestimento è pieno di idee, complesso ed intrigante. Anche troppo, nel senso che forse Py ha esagerato con gli effetti speciali, quali il vero cavallo in scena od il treno che irrompe dal muro di fondo per l’ultimo atto, quasi non avesse fiducia che quanto già fatto potesse bastare. Invece c’è già tantissimo, l’avere mescolato le due epoche, quella della vicenda originale e quella della composizione dell’opera; con i costumi bellissimi, pure di Weitz, che oscillano tra fine Quattrocento e fine Ottocento; c’è la scure e c’è la macchina fotografica; con quel corridoio-ponte che crea anche due livelli, pubblico e privato, ma anche il livello del racconto e quello dell’azione; c’è solo un re ma tanti amanti, che si intrecciano e si specchiano; e il nero laccato diventa infatti opportunamente specchio, ed il nero si confronta con il rosso, come lo Stato con la Chiesa; c’è una scenografia essenziale ma anche i bei quadri barocchi che inaspettatamente da un taglio verticale prendono vita; è un’opera ma è anche un balletto tanto i danzatori sono presenti, e mai a sproposito, sempre organicamente inseriti nella messa in scena dell’intrigo con le coreografie molto belle di Ivo Bauchiero, al suo debutto alla Monnaie che hanno contribuito in modo determinante, insieme alla bravura dei danzatori e di tutto il resto del cast vocale, al grande successo dello spettacolo.

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