Le radiazioni cosmiche di Marissa Nadler
New Radiations è il decimo album della cantautrice statunitense: un gioiellino opaco che piacerebbe a David Lynch

La fisionomia da bellezza ombrosa esibita nella foto di rappresentanza corrisponde alla natura della musica di cui è artefice Marisa Nadler, cantautrice statunitense ora quarantaquattrenne: un folk crepuscolare modulato in varie gradazioni nell’arco di dieci album. Distante 21 anni dall’esordio, New Radiations dà l’impressione di volersi riconnettere all’essenzialità formale di allora, scarno com’è in confronto al precedente The Path of the Clouds: intorno alla sua voce da mezzosoprano, la strumentazione è qui ridotta al minimo indispensabile.
Al tono sommesso si combinano tuttavia contenuti emotivamente intensi: in “Bad Dreams Summertime”, ad esempio, la leggerezza del canto dissimula il carattere allarmante della messinscena (“Mi ha svegliato un fragore assordante, la terra tremava”).
Un contrasto analogo caratterizza l’episodio che dà titolo alla raccolta: l’andamento languido è scandito da un’inquietante sequenza d’immagini, dove la protagonista si ritrova “bloccata dentro uno schermo sbiadito”, dovendo affrontare l’“oscurità cosmica nella quale viviamo” e “un esercito di spettri”.
“È il mio disco più triste e indolente”, ha detto presentandolo. Del resto, non poteva essere diversamente, visto che – in termini narrativi – al centro dell’attenzione stanno sovente relazioni giunte al capolinea. Ecco dunque – sottolineato dai miagolii di una steel guitar – lo spleen da abbandono provocato da una “signora chiamata Camelia” (“Sembra passata una vita da quando se n’è andata sotto la pioggia”), l’ammonimento rivolto a un ex amante (“Non lasciare che lei ti distrugga come ho fatto io”) nel narcotico blues catacombale di “Smoke Screen Selene” e infine il malinconico epilogo intonato con grazia in “Sad Satellite” (“Ho viaggiato nel tempo solo per dirti buonanotte, come un satellite triste”).
Culmine drammaturgico dell’opera è non a caso la murder ballad “Hatchet Man”, che dopo aver citato il giovane Scorsese di Alice non abita più qui descrive il presagio di un destino avverso: “La sagoma del mio boia sulla porta era illuminata dalla luce alle sue spalle”.
Eppure, cercando un filo conduttore, bisogna guardare altrove. Partiamo dalla canzone d’apertura, “It Hits Harder”: “Volerò attorno al mondo per dimenticarti”, annuncia con voce soave – insidiata dal twang minaccioso della chitarra elettrica – un’aviatrice a bordo di un Cessna, personaggio ispirato – ha spiegato Nadler – alla cosmonauta sovietica Valentina Tereškova, prima donna nello spazio.
In “Weightless Above the Water” poi, a dispetto di un’ambientazione tipicamente country, si dipana la vicenda di un astronauta alla deriva: “Questa astronave è diventata casa mia”, ma “stanotte ho perso il contatto”. E fra le righe della successiva “To Be the Moon King”, ballata folk a gravità zero, viene rievocato l’eccentrico pioniere americano della missilistica Robert Goddard, un tizio che “costruiva razzi dietro casa sua”. Il senso di New Radiations scaturisce appunto dalla tensione dialettica fra mitopoiesi retrofuturista e umore musicale d’impronta tradizionale, da cui discende il fascino schivo di un gioiellino opaco che senz’altro David Lynch avrebbe apprezzato.