Il festival di Spoleto apre con Hadrian di Rufus Wainwright

Un’opera a sfondo dichiaratamente omoerotico del cinquantaduenne songwriter americano-canadese

Hadrian (Foto Andrea Veroni)
Hadrian (Foto Andrea Veroni)
Recensione
classica
Teatro Nuovo di Spoleto,
Hadrian
27 Giugno 2025 - 29 Giugno 2025

La serata inaugurale del sessantottesimo Festival dei Due Mondi si è svolta al Teatro Nuovo di Spoleto, dove è stato rappresentato in prima italiana un “Grand Opera in 4 acts” di Rufus Wainwright, personaggio notissimo (ma non ai frequentatori delle sale da concerto e dei teatri d’opera né ai giovani di venti o trent’anni) che viene talvolta definito sbrigativamente “cantautore”, mentre sul suo sito è presentato in modo meno generico e riduttivo come “one of the great male vocalists and songwriters of his generation”, apprezzato per la sua “genuine originality”. Ha scritto anche musical, musica da concerto, musica da film. E due opere: è del 2009 Prima Donna,  rappresentata in varie città nordamericane ed europee, mentre quella vista a Spoleto, ovvero Hadrian,  ha avuto la prima assoluta nel 2018 a Toronto (Wainwright è nato a New York ma ha preso la cittadinanza canadese: chissà quali dazi gli applicherà Trump) e poi è stata rappresentata al Teatro Real di Madrid e al Festival di Perelada nello stesso allestimento visto ora a Spoleto.

L’autore l’ha definito un “grand opera” ma è bene chiarire che non ha nulla a che vedere con l’omonimo genere operistico francese infarcito di momenti spettacolari, cori e danze. Al contrario si potrebbe dire che Hadrian  ha poco o nulla di spettacolare ed è quasi un oratorio: i cantanti sono seduti su una dozzina di sedie disposte in fila sul palcoscenico e leggono la loro parte sullo spartito, che non viene affatto celato ma vistosamente esibito, come per dimostrare che sono meri esecutori che stanno facendo il loro compito. Non c’è dunque alcuna ricerca di realismo. Nella sua presentazione il compositore scrive che si tratta di “un viaggio onirico attraverso il tempo e lo spazio, un intreccio di eventi reali e invenzioni assolute”. Afferma anche che “vasti capitoli della vita e dell’eredità di Adriano [sono] stati deliberatamente cancellati”, riferendosi in particolare al suo amore per Antinoo. Possiamo aggiungere che sulla sublime bellezza di questo giovane - anzi giovanissimo, poiché morì a diciannove anni - non ci sono certezze, nonostante le innumerevoli statue giunte fino noi lo raffigurino come un novello Apollo. Ma si tratta chiaramente di un’idealizzazione di quel giovane divinizzato dopo la sua morte per volere di Adriano stesso, che volle anche che fosse identificato con una stella.

Al contrario di quel che afferma il compositore, quest’amore non ha però nuociuto alla buona considerazione di cui ha sempre goduto Adriano, la cui aureola di imperatore saggio e benefico non è stata offuscata né dall’omosessualità né da un fatto ben altrimenti terribile quale la strage degli ebrei da lui ordinata per porre fine alle loro continue rivolte. Questo breve excursus storico non è una divagazione, perché tutto questo ha molto rilievo nel libretto di Daniel MacIvor, pregevole per molti aspetti ma poco “operistico”, a causa non tanto di una certa prolissità, che affligge soprattutto i primi due atti, quanto della sua indeterminatezza, che è voluta, perché Hadrian - lo abbiamo già detto - vuole essere “un viaggio onirico”. Quindi è giusto che la regia di Jörn Weisbrodt si limiti a pochissime azioni e a pochi gesti. 

Il vero spettacolo lo fanno le fotografie di Robert Mapplethorpe, che vengono proiettate su un grande schermo posto dietro le sedie e i leggii dei cantanti. Ovviamente, dato l’argomento, prevalgono i nudi maschili più o meno integrali, che sono le foto che hanno reso celebre il fotografo newyorchese e sono diventate icone del mondo gay; ma sono molti anche i nudi di donne e le immagini (anch’esse erotiche) di fiori. Per definizione le foto sono immobili e quindi non possono contribuire ad animare la pressoché inesistente azione teatrale di Hadrian, tranne che in due momenti cruciali. Sono le due scene d’amore tra Hadrian e Antinoo (e certamente non si tratta di amore romantico), nella prima delle quali si alternano e si sovrappongono vorticosamente lacerti di corpi umani, creando il corrispettivo dell’intrecciarsi degli amanti nell’ebbrezza erotica; nella seconda scena si succedono invece poche foto, che si potrebbero definire oscene, se Wainwright - e non solo lui - non adducesse ragioni ben motivate per sottrarle all’ambito della pornografia. 

Queste scene d’amore fisico, ma non per questo meno sublime, sono accompagnate dalla sola orchestra, che le avvolge in un’atmosfera mobilissima di ritmi e timbri continuamente cangianti: indubbiamente Wainwright sa come maneggiare l’orchestra per inchiodare alla sedia gli spettatori nei momenti culminanti. È infatti l’orchestra a regalarci le pagine migliori di Hadrian,  anche al di fuori di queste due scene, che per il loro esplicito erotismo non hanno confronti nel teatro d’opera. Qualche problema Wainwright lo ha semmai nel trattamento delle voci. Antinoo esprime il suo amore - questa volta un amore romantico - in una romanza basata su una banale melodia tenorile che, per darne un’idea al lettore, potrebbe essere stata scritta da Umberto Giordano, se così dicendo non si offendesse il compositore foggiano, le cui melodie sono incomparabilmente più belle quelle di Wainwright.

Il trattamento delle voci è il vero handicap di Hadrian. Per il 99.99% dell’opera il canto è a pieni polmoni, rigido e stentoreo, e non sembra avere nulla a che vedere con le succitate atmosfere oniriche. Almeno che con “onirico” non s’intenda - potrebbe anche essere così - qualcosa di astratto e gelido, lontano dalla vita e dalle sue passioni, dai suoi dolori e dalle sue gioie. I cantanti sono encomiabili per la capacità di resistere a un tale tour de force senza dare cenni di stanchezza. Accomuniamo tutti nell’elogio ma vanno nominati almeno i due protagonisti, ovvero il baritono Germán Enrique Alcántara (Hadrian) e il tenore Santiago Ballerini (Antinoo), nonché Ambur Braid (inflessibile e temibile Sabina, moglie di Adriano), Sonia Ganassi (che interpreta Plotina con rari segni di stanchezza e con la sua indistruttibile classe) e Christian Federici (il potente prefetto del pretorio Turbo).  Tutti i quattordici cantanti meriterebbero la citazione ma citiamo, uno per tutti, il giovanissimo Markos Bindocci, sorprendentemente spigliato e preciso.

Abbiano già evidenziato il ruolo determinante dell’orchestra, che a Spoleto era ottimamente sostenuto dalla Malta Philharmonic Orchestra diretta da Johannes Debus, che era su podio anche la sera della prima assoluta di Hadrian  e perciò è un interprete garantito dal compositore stesso, che era presente in teatro. 

Il pubblico sembrava provato dopo i primi due atti, che sono stati riuniti a Spoleto in un solo atto di lunghezza wagneriana. Ma alla fine dei due ultimi atti, effettivamente i più coinvolgenti, sono scoppiati applausi travolgenti per tutti gli interpreti e per il compositore stesso, presente in sala.

 

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