La raffinatezza e l’ironia di Canino e Ballista
Alla IUC di Roma un concerto prezioso, raffinato e perfetto, ma anche scatenato e divertente, dell’inossidabile duo pianistico

Entrano sul palco dell’Aula Magna dell’Università “Sapienza” con passo lento ma sicuro, vestiti impeccabilmente – completo scuro, camicia bianca, cravatta – e questo fa pensare che non appartengano all’ultima generazione di pianisti e nemmeno alla penultima. Ma, quando loro dita cominciano a scorrere sulle tastiere dei due Steinway, si pensa che le apparenze ingannino e che siano proprio giovani. È così: quando Bruno Canino e Antonio Ballista sono seduti al pianoforte si potrebbe credere che ottantanove anni sia la somma delle loro età, non che abbiano ottantanove anni ciascuno. E allora non vogliamo parlarne come due “vieillards prodiges” che stupiscono per la loro età ma come due grandi musicisti, due eccellenti pianisti che quando sommano le loro doti e suonano in duo hanno ancora oggi pochi rivali.
Attaccano la Sonata in re maggiore K 448 per due pianoforti di Mozart con precisione e chiarezza assolute e un totale equilibrio tra i due pianoforti, dando ad ogni nota il giusto peso e rendendo perfettamente la trama complessa delle parti, che rinvia e reminiscenze orchestrali. Il dialogo tra i due pianoforti nell’Andante centrale è una meraviglia: a turno i due pianisti si scambiano i ruoli, uno cantando una dolce melodia ricca di fioriture e l’altro accompagnandolo con un delicato sfondo di quartine. Questo dialogo e questi scambi continuano nel movimento finale, ma cambia totalmente il carattere: il ritmo diventa brillante e impetuoso per dare a questo rondò il suo carattere di frizzante divertimento. Insomma questi due ragazzi colgono tutta la ricchezza di questa musica e i caratteri specifici dei tre movimenti, rendendo così piena giustizia a un capolavoro che appartiene al periodo d’oro della musica pianistica mozartiana ma che non si ascolta molto frequentemente.
Si volta pagina. Ora Canino e Ballista siedono gomito a gomito davanti alla tastiera dello stesso pianoforte per offrirci una latro capolavoro di raro ascolto, le Otto Variazioni in la bemolle maggiore su un tema originale op. 35 D 813, che Schubert compose nel 1824 per due sue aristocratiche allieve, quindi con finalità di mero intrattenimento, che però sono completamente trascese da questa musica. Queste variazioni hanno infatti qualcosa di nobile e grandioso, che fa pensare a Beethoven, e allo stesso hanno la libertà e lo struggimento romantici dell’ultimo Schubert: questi due aspetti apparentemente contraddittori sono resi perfettamente dalla sensibilità del cuore e delle dita dei due pianisti..
Dopo l’intervallo si volta pagina. Canino e Ballista fanno un salto avanti nel tempo e soprattutto passano a composizioni brillanti, che rispecchiano la loro predilezione per la musica giocosa, ironica, dissacratoria. Certamente sono dissacratori i Souvenirs de Munich di Emmanuel Chabrier, una fantasia in forma di quadriglia sui temi di Tristano e Isotta di Wagner. Si dice che Chabrier ammirasse sinceramente Wagner ma certamente aveva voglia di divertirsi alle spalle dei “bidelli del Walhalla” quando rielaborò i temi del capolavoro di Wagner in forma di quadriglia e diede ai vari movimenti titoli come Pantalon, una maschera della commedia dell’arte, e Poule (gallina), un animale non particolarmente sublime. Canino e Ballista erano perfettamente a loro agio in questo Wagner riletto in chiave ironica e divertente.
Anche il Concertino per due pianoforti op. 94, composto da Dmítrij Šostakóvič per il figlio sedicenne, è giocoso e scherzoso, ma vi si può a tratti cogliere quell’umor nero, malinconico e quasi sinistro, che era nel carattere di Šostakóvič e che indubbiamente era stato accentuato dal cupo periodo stalinista. I nostri due ragazzi non si sono certamente fatti sfuggire questi due aspetti. Poi si sono gettate alle spalle il pessimismo di Šostakóvič e si sono tuffati in Scaramouche di Darius Milhaud, una suite formata da tre brani eterogenei ma tutti e tre scatenati e scanzonati, che passano da inserti politonali a stilemi jazzistici, da tributi alla canzone francese di quegli anni (era il 1937) ai travolgenti ritmi della samba del finale, non per nulla intitolato Brazilera. Chiaramente i due ragazzi che sedevano ai due pianoforti si sono divertiti a suonarlo, così come si è divertito il pubblico della IUC – Istituzione Universitaria dei Concerti, che ha manifestato con calorosissimi applausi la sua ammirazione, simpatia e affetto per questi due artisti, che si rifiutano di diventare due testimoni del passato da ossequiare con rispetto e continuano ad essere vitali, attivi e dinamici. E come bis anno fatto brillate i colori fantasiosi e preziosi di Laideronnette imperatrice des pagodes da Ma mère l’Oye di Ravel.
Vi chiederete: possibile che non abbiano sbagliato neanche una nota? Sì, forse due o tre, giusto per dimostrare che non sono un’intelligenza artificiale, dubbio che invece sorge ascoltando tanti giovani leoni della tastiera, dalle dita sensazionali ma privi di personalità e di sentimenti umani.
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