Chovanščina post Apocalisse alla Scala

Milano: successo con Gergiev sul podio e la regia di Martone

Chovanščina
Chovanščina
Recensione
classica
Milano, Teatro alla Scala
Chovanščina
27 Febbraio 2019 - 29 Marzo 2019

Un felice ritorno quello di Chovanščina alla Scala, sul podio lo stesso Valery Gergiev che qui la diresse ventun anni fa, in un nuovo allestimento firmato da Mario Martone con le scene di Margerita Palli, che hanno illustrato l'intricata parabola sul potere proiettandola in un futuro, forse anche improbabile, e in un luogo che forse non ci sarà. Evitando così la banalità dell'attualizzazione, ma rispettando la tensione epica voluta da Musorgskij e infondendo una carica visionaria a tutto lo spettacolo. L'ambientazione è prevalentemente monocromatica, ghiaccio, neve e grigio, evoca le atmosfere stralunate di Blade Runner di Ridley Scott o dei Palazzi Celesti di Kiefer. In questo mondo sopravissuto a qualche apocalisse, ma sempre teatro di scontri fra caporioni politici, religiosi, militari, si muovono i dannati di Musorgskij; loro destinati a essere annientati da un altro sovvertimento epocale, noi a chiederci se il popolo abbia davvero bisogno di una guida. Martone ha inventato delle apparizioni dell'elegante reggente Sof’ja, coi due fratellini, uno dei quali destinato a diventare Pietro il Grande, ma c'è poco da rallegrarsi. Lo conferma il finale perché il pianeta in avvicinamento, ispirato a Melancholia di Lars von Trier, diventerà con bellissimo effetto un rogo per il suicidio dei Vecchi Credenti ma ha tutta l'aria d'essere destinato all'intera umanità. Di certo, prima del botto finale, ridotta ad analfabetismo di ritorno, se ancora prospera lo Scrivano che legge i giornali a una folla incapace di farlo. Forse un presagio involontario per l'Italia di oggi. A parte l'affascinante impostazione generale, creata dall'estro di Margherita Palli, Martone ha risolto brillantemente le situazioni statiche in palcoscenico, vedi i dialoghi del secondo atto, con una gran cura della recitazione. Con qualche piccola pecca, i troppi cellulari che risultano inutili, come pure l'intromissione casuale di una troupe televisiva che riprende il coro delle contadine. Se accogliamo l'invito a giocare ai visionari, i richiami alla realtà consueta risultano fastidiosi. Non troppo riuscita nemmeno la sutura fra il secondo e il terzo atto, col velario che scende a nascondere il coro e l'allestimento da montare. (La tanto vantata tecnologia scaligera per i cambi di scena sembra inesistente, considerati i due intervalli della serata che durano complessivamente un'ora.) Né troppo fortunata la sostituzione delle schiave persiane con alcune impacciate pornostar di periferia che dovrebbero allietare le ultime ora di Ivan Chovanskij.

Dal punto di vista esecutivo non si può che prendere atto che Valery Gergiev in questo repertorio è insuperabile per precisione ed energia, la sua è una direzione a dir poco sontuosa, ottimamente assecondato dall'orchestra scaligera attentissima in ogni suo volere e soprattutto dal coro che ancora una volta ha dato prova di eccellenza. Tra i trionfatori della serata il maestro Bruno Casoni è indubbiamente al primo posto. Il cast scelto da Gergiev è quanto di meglio si possa sperare per Chovanščina, con l'esperta Ekaterina Semenchuk nei panni di Marfa, la interessantissima Evgenia Muraveva in quelli di Emma e alcune star della lirica russa come Mikhail Petrenko (principe Ivan), Stanislav Trofimov (Dosifej), Sergey Skorokhodov (principe Andrej), Maxim Paster (Scrivano), Alexey Markov (il boiaro Šaklovityj). Con al loro fianco molti allievi dell'Accademia della Scala in inizio di carriera.

 

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