Da Scarlatti a Rossini

Daniela Barcellona in cd e al Rof di Pesaro

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In attesa di scoprirla nell'Adelaide di Borgogna che il 10 agosto inaugura il Rossini Opera Festival, Daniela Barcellona è protagonista del cd che inaugura la collana L'opera italiana del Settecento (The Baroque Project) di Sony Music. Nata dall'incontro del musicologo Mario Marcarini e di Marcello Di Lisa, alla guida del Concerto de' Cavalieri, la collana ha in programma l'incisione di pagine inedite di autori italiani, solo recentemente portate alla luce e poco o mai eseguite prima. Apre il percorso Alessandro Scarlatti Opera Arias. Del compositore palermitano vengono presentate arie dalle inedite Marco Attilio Regolo, Telemaco, Tigrane, Carlo re d'Allemagna, Cambise. La voce di Daniela Barcellona, spogliatasi dalle tinte rossiniane, si avventura in un universo per lei insolito. Da dove nasce quest'avventura? «Amo affrontare cose nuove e ho accolto con grande piacere la proposta. Scarlatti è molto complicato. Non c'è una linearità armonica scontata, sono frequenti cambi di direzione imprevisti. Ci sono passaggi ritmici ardui. Poi c'è il problema dell'interpretazione. Come tutti i compositori dell'epoca barocca, Scarlatti va affrontato con un rigore ritmico che per esempio non è richiesto in Rossini. Ma questa è la sfida che dona quel pizzico di pepe in più. La principale difficoltà è riuscire a dare espressività e vita musicale all'interno di questo rigore. Talvolta l'emozione si identifica con un passaggio veloce, con una moltitudine di note in velocità che, nelle parti lente di alcune arie, sviluppa l'interiorità e la duplicità di molti personaggi scarlattiani». Le piacerebbe interpretare queste opere sulla scena? «Mi piacerebbe molto. Il barocco si può fare bene anche oggi, anche se ha bisogno di un "aiuto". Uno degli aspetti che rendono il pubblico attuale restio a seguire un'opera barocca è la lunghezza. Ma non sempre i tagli sono dannosi. Poi non bisognerebbe avere paura di sfruttare gli "effetti speciali" che, in certo modo, potrebbero ricreare il teatro della meraviglia barocco». Ama le regie spregiudicate? «Ciò che non mi piace di alcune regie moderne è il tradimento del testo musicale. Il voler a tutti i costi sconvolgere il messaggio contenuto nell'opera stessa. Non amo quando si va fuori tema, o quando si cercano soluzioni "spettacolari" fini a se stesse. Io ho partecipato anche ad allestimenti "moderni", chiamiamoli così. Ma mi sono sempre assicurata che ci fosse un pensiero coerente del regista. Se alla base si costruisce insieme un dialogo, si possono percorrere strade anche trasgressive per sviluppare un'idea presente nel testo originario». È in grado di fare un bilancio delle prerogative del suo stile? «Alla base di una carriera c'è sempre grande studio, grande rigore, anche di vita. Si è sempre in continuo divenire, musicalmente e umanamente. Io mi sento un tramite tra l'inchiostro sul pentagramma e il pubblico, e tale traduzione si basa sull'espressione e sull'emozione. Ma esse possono manifestarsi solo se c'è uno studio che permette di assimilare la tecnica per poi liberarsene». (Maurizio Corbella)

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