Tutta la museca di Nando Citarella

Nuovo lavoro per Nando Citarella e i suoi Tamburi del Vesuvio, all'incrocio tra Napoli e il mondo

Nando Citarella Museca
Disco
world
Nando Citarella & Tamburi del Vesuvio
Museca
Alfa Music
2020

Quante volte, nel dibattito e nelle riflessioni sulle musiche di tradizione orale e popolari, oggi un po' trascurato nella Penisola ma in realtà presente come un'insistente e pervasiva nota di fondo, abbiamo sentito ribadire la necessità di non usare formule museali e regressive, per affrontare il problema della sopravvivenza di certi repertori? Troppe, forse. Giovanna Marini ha sempre sostenuto che, fin quando una canzone, un brano strumentale per la danza, un profilo melodico restano vivi nella memoria pratica di una civiltà (perché vengono nuovamente fonofissati, perché qualcuno ne dà una “versione”) quel frammento vivo di cultura non materiale, con significativi addentellati anche nella cultura materiale propriamente detta – si pensi alla costruzione, restauro e conservazione degli strumenti tradizionali – non muore.

Ne deriva che, essendo i repertori popolari nati, cresciuti e diffusi in momenti storici, e non mitici, in una presunta fissità fuori dal tempo cronologico, chi anche oggi torna a visitarli ha ragione a non porsi problemi di stretta (e perlopiù supposta) filologia. Traduzione e tradizione hanno la stessa radice, si ricordi.

Questa riflessione è venuta fuori all'ascolto del formidabile Museca (musica, come la pronunciava il Principe Antonio De Curtis in arte Totò), nuovo capitolo in studio di Nando Citarella con i suoi Tamburi del Vesuvio. Museca è un viaggio all'ombra del Vesuvio, ma che prevede parecchi visti culturali sul passaporto, come in fondo è giusto che sia per un luogo che nei secoli è stata non solo luogo di partenza per altre terre, ma anche crocevia, snodo, perno dei flussi di persone che parlavano lingue diverse e portavano, appunto, “tradizioni” diverse. A volte con la forza bruta, a volte con la forza del confronto e del dialogo.

Ecco allora che Museca fa una straordinaria doppia manovra: proponendo un pugno di brani che possono anche sembrare più che consueti e abusati, per lo specialista (ma non per il neofita, o per chi si avvicina a queste note ora, non è il caso di inalberare snobismi fuori luogo), accostando a essi, in un incastro che pare ovvio ma è assai meditato, diverse composizioni originali, compresa quella che intitola il disco e dà senso al tutto, e proponendo spericolate ma non temerarie “contaminazioni”. Esattamente come è contaminata nella sua più profonda essenza la musica campana e partenopea, traversata di mille flussi di civiltà, e che parla una koinè musicale neppure bisognosa di troppe spiegazioni tecniche.

Qui dunque troverete tra l'altro la celeberrima "Rumba degli scugnizzi" di Viviani che incorpora conga, tumba, quinto, guiro e trombone come in una palpitante session per le strade dell'Havana Vieja, "Un futuro a Sud" di Mario Salvi che riannette il pulsare funk e duro dei Napoli Centrale e degli Zezi, "Makam por una estrela" che offre oud e fiati oltre alle voci e al marrranzano, come se fossimo in una corte arabo-andalusa. E poi la "Suite garganica" (la “tarantella del Gargano”, per capirsi) che mette in conto sulla cucitura di versi tradizionali pugliesi sequenze ritmiche campane sul tamburo, una coda tutta al femminile, e una seconda coda che è parafrasi del Primo movimento della "Settima sinfonia" di Beethoven non a caso definita da Wagner “apoteosi della danza”, come ben ricorda Maurizio Agamennone, uno degli studiosi ed etnomusicologi qui chiamati a commentare e ricostruire il senso di questo straordinario viaggio, assieme a Ciro De Rosa, Luigi Cinque, Riccardo Tesi, Felice Liperi, Imad Zebala, Lucilla Galeazzi, Ettore Castagna, Luciano Bellini.

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