Manuel Zurria, il flauto nel labirinto della ripetizione

Zurria in Again & Again (Ants) esplora il panorama minimalista-ripetitivo dai maestri americani ai nuovi interpreti

Manuel Zurria
Manuel Zurria
Disco
classica
Manuel Zurria
Again & Again
Ants
2020

Ci sono, direi per fortuna, musicisti che trasmettono attraverso le scelte repertoriali di un concerto o di un cd un messaggio culturale, il perché di una scelta di campo, l’intenzione di farci riflettere su qualcosa che va oltre l’esposizione delle loro capacità interpretative, di lettura di quei materiali. Processo che, consciamente o no, arricchisce quel documento sonoro di un valore aggiuntivo.

Questa la sensazione dopo l’ascolto di Again & Again (Ants) del flautista siciliano Manuel Zurria. Due cd zeppi di stimoli, visioni, che documentano ampiamente aspetti conosciuti o meno di quelle correnti musicali definite minimaliste, ripetitive, più recentemente process music, anche se tutte queste etichette c’è chi le considera non equivalenti, chi sovrapponibili.

– Leggi anche: Per un Glass ritrovato, altri da dimenticare

Potremmo definire Zurria un "recidivo". Già nel 2007 infatti con Repeat! (triplo cd per Die Schachtel) e nel 2011 con Loops4ever per Mazagran il flautista intendeva «creare una mappa di musicisti collegati dal filo invisibile della ripetizione» (sue parole dal booklet). Sta qui lo scarto, quel valore aggiunto di cui sopra. Un amore per la ripetizione non semplicemente documentato ma vissuto come sollecitazione, necessità culturale di disegnarlo all’interno di una cornice più ampia.

Su questa linea Again & Again ampliando il panorama della ricerca ai protagonisti del Minimalismo americano, proponendo anche compositori meno noti provenienti dall’est europeo, non solo risulta di notevole interesse e piacevole ascolto ma assume il carattere di testimonianza preziosa su uno spaccato della musica del Novecento e di oggi. Ma Zurria aggiunge un elemento in più a questo panorama di per sé già ampio. Adatta, rielabora, trascrive molte composizioni nate per altri strumenti, le adatta alle proprie esigenze creative, ai propri flauti, in questo modo dilata il proprio ruolo di interprete, si trasforma in qualche modo in autore. In fine si potrebbe anche dire che Again & Again, anzi il trittico completo, esaltando il valore comunicativo, compositivo e sperimentale della ripetizione, suona anche come sveglia per buona parte della critica musicologica spesso arenata a vecchi stilemi eurocentrici che legge ancora con fredda sufficienza questo pezzo di storia della musica contemporanea. 

Il confronto ravvicinato tra i padri del Minimalismo americano (Philip Glass, Terry Riley, Steve Reich) e compositori che vengono dalla Lituania, l’Ungheria, la Slovacchia che sviluppano in modo sorprendente quelle tracce trasportando la filosofia minimalista da tutt’alta parte è molto stimolante. Le due Dances #2 e #4 entrambe del 1979, originariamente per organo, e In Again Out Again (1969) scritta per due pianoforti, ci ricordano il Glass giovanile, la sua avvolgente matematica dell’estraniazione alla quale Zurria aggiunge la leggera ironia dei giocattoli. Una spasmodica ricerca di nuovi spazi musicali sul piano del linguaggio, del senso del tempo, dei timbri ma anche l’esposizione dell’esigenza di instaurare un diverso rapporto con chi ascolta. Dorian Reeds di Riley è del 1965 nata per sassofono, si caratterizza per una maggiore e sinuosa mobilità degli elementi e sfalsamenti interni in una predisposizione poetica e rituale che evoca l’oriente. Notevole la trascrizione per tre flauti e percussioni giocattolo che Zurria realizza su Red Phase (1966) di Steve Reich (l’originale è per sassofoni e nastro). Il timbro brillante del flauto piccolo rende ancora più etereo, sognante, frizzante l’intero percorso del brano che se ti lasci andare ti trascina in un vortice incontrollabile. Quando arriva il silenzio è come precipitare in caduta libera da un grattacielo.  

Tra le sedici composizioni proposte non poche sono le sorprese, soprattutto riguardo ai compositori dell’est europeo che raramente incontriamo. Lo slovacco Adrián Democ con il breve Canon (2017), che Zurria trascrive mirabilmente per quattro flauti, incanta per profondità e leggerezza. Il primo cd si chiude con Bagatelle (1985) dell’inglese Howard Skempton. Nella brevità del brano si evoca non solo la particolare forma musicale generalmente concepita da camera ma viene esaltata anche una trama, una filigrana di grande fascino ed eleganza nella quale Zurria si esalta per misura, timbro e agilità.

Il secondo cd apre con un sorprendente Számezene II-instrumental version, in LA (1995) dell’ungherese Laszló Sáry per sette flauti e percussioni giocattolo, da un marcato carattere ritmico, ludico, ironico e obliquo, ci trascina in un mondo semplice e incantato. Ma sorprende ancora di più Water -Wonder (1981-83) di Tibor Szemzö, anche lui ungherese, per quattro flauti, che si snoda in una esaltante polifonia, incroci-scontri dei fiati che creano un muro di suoni densi e sinuosi, dove emerge uno spiccato senso compositivo tra movimenti, gioco di volumi. Ma il secondo cd contiene i due brani che più ti rimangono dentro sfuggendo anche ad una rigida classificazione nel panorama minimalista-ripetitivo. Si tratta di Kalno Sutartinè (VII) (2015) per 72 flauti del lituano Ricardas Kabelis e Harmonium #1 (1976) per 12 flauti e onde sinusoidali dell’americano James Tenney. Composizioni che trascinano in una trance infinita, lunghe vibrazioni sonore che rimandano a ritualità, serenità, una musica che pare ferma ma dove in realtà tutto si muove. Materiali dove Zurria si esalta non solo sul piano strumentale ma anche su quello della elaborazione, reinvenzione, dilatazione degli spazi sonori. 

Again & Again è un vero scrigno di suoni sorprendenti, situazioni inusuali tra conferme, riscoperte, stupori e visioni. Una cosa è certa, Manuel Zurria ci dimostra in centocinquanta minuti che, se è vero che nessuna musica è mai stata estranea alla ripetizione, nell’universo contemporaneo questa ha rappresentato e rappresenta in tutte le sue forme evolutive e sperimentali una svolta radicale sia nella filosofia compositiva come nella prospettiva di fruizione. In fondo, per dirla con Robert Ashley: «brevi idee ripetute massaggiano il cervello».

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

PODCAST | Early Music Stories #49

“L’opera del Re” di Lully splende a Versailles in forma di concerto

Paolo Scarnecchia
classica

PODCAST | Early Music Stories #46

Aria di Natale nel Barocco latino-americano dall’Europa del Nord

Paolo Scarnecchia
classica

PODCAST | Early Music Stories #45

I Concerti grossi di Corelli nel cuore dell’Accademia Bizantina

Paolo Scarnecchia