La redenzione di Buju Banton

Upside Down è il nuovo disco di Buju Banton, al rientro dopo un'assenza di 10 anni (di cui 8 passati in carcere)

Buju Banton
Disco
pop
Buju Banton
Upside Down
Roc Nation
2020

Dopo dieci anni di assenza Mark Anthony Myrie, conosciuto col nome di Buju Banton, pubblica un nuovo disco, Upside Down: venti canzoni, dieci per ricordare ogni anno di assenza e dieci per portarci avanti – come diceva Jacob Miller, «forward ever, backward never».

Dallo stato dell’arte della dancehall al classico roots reggae, dall’R&B alle collaborazioni “poppeggianti” con John Legend, Pharrell Williams e Stefflon Don, il tutto attraversato dal filo rosso della “commanding voice” di Buju.

Randy's - Giamaica reggae
Randy's

I Wailers, all’epoca ancora un trio vocale, incisero “Duppy Conqueror” allo Studio 17, nel retro del negozio di dischi Randy’s aperto nel 1962 da Vincent e Pat Chin: la produzione fu affidata al genio di Lee Scratch Perry. Era il 1970 e Bob Marley e Peter Tosh affidarono a questa canzone la loro gioia per la riconquistata libertà di Bunny Wailer dopo diciotto mesi di prigione per possesso di ganja. «Yes mi friend, we deh pon street again», Bunny è tornato, la conquista del mondo può ricominciare.

Dopo otto anni passati in un carcere statunitense per traffico di cocaina e un ritorno trionfale a Kingston nel 2018, non stupisce che Buju, in compagnia di Stephen Marley, abbia deciso di riproporre questa canzone all’interno di Upside Down, rinominandola “Yes Mi Friend”. Nelle interviste concesse in questi ultimi due anni Buju non ha parlato volentieri della sua esperienza carceraria, preferendo che fossero le sue canzoni a parlare, come “Buried Alive”, anch’essa inclusa nel nuovo lavoro.

«86 mesi di catene sono finalmente finiti. Ho scelto deliberatamente di osservare il silenzio per poter osservare coi miei occhi cosa stava succedendo, non solo localmente ma globalmente… Io sono pronto per voi, voi lo siete per me? Abbiamo molte cose di cui parlare». Buju Banton, febbraio 2019 sul suo profilo Instagram

Sono passati trent’anni dagli esordi, dal successo di brani come “Batty Rider” e soprattutto “Boom Bye Bye”, con le conseguenti accuse di omofobia culminate nella cancellazione del suo nome dal cartellone del festival Womad e che misero in pericolo la sua carriera, costringendo Buju Banton a scusarsi pubblicamente e a prendere le distanze, non si sa quanto sincere, da tali posizioni. Dal 1994, dopo essersi avvicinato alla religione Rasta come conseguenza dell’uccisione del suo amico Garnett Silk, il baricentro musicale di Banton cominciò a spostarsi dalla dancehall, senza tuttavia abbandonarla completamente, al roots reggae, e iniziarono a uscire album di grande successo come ‘Til Shiloh e Inna Heights, la cui promozione lo portò per la prima volta in un Italia per un memorabile concerto al Leoncavallo di Milano (a cui il vostro cronista era presente).

Nel 2010 uscì Before the Dawn, Grammy Award come miglior album reggae dell’anno, e poi, come già detto, l’arresto, grazie alla testimonianza di un informatore pagato dalla DEA, e la conseguente condanna dopo due processi. Un personaggio controverso dunque ma contemporaneamente un artista di levatura superiore, il cui ritorno discografico non può che farci piacere.

Upside Down è un album che ha la pretesa di accontentare tutti ma non sempre ci riesce, e che comunque riesce a spaziare con eleganza tra i vari Buju a nostra disposizione: chi preferisce quello “classico” troverà soddisfazione con “Steppa” – subito numero uno in Giamaica e riddim richiestissimo – , “Blessed”, prodotta da Dave Kelly, “Beat dem Bad”, “Trust”, riddim minimalista come impone la moda giamaicana dell’ultimo anno, e la trascinante “Cheated”; gli amanti del lovers rock apprezzeranno, è il caso di dirlo, “Appreciated”, costruita sul riddim di “Waterhouse Rock”, gioiello senza tempo di King Tubby, “Good Time Girl”, a ricordarci che l’estate è arrivata, e “Moonlight Love”; chi invece cerca la consciousness non rimarrà deluso da “400 Years” e “Rising up”, con il suo sapore Nyabinghi  e un testo anticipatore del movimento BLM, e da “Helping Hand”, forse l’ultima produzione del grande Bobby Digital, scomparso improvvisamente lo scorso 21 maggio all’età di 59 anni.

L’attesa è terminata, Buju è tornato e Upside Down, pur non essendo il suo album migliore, è comunque in grado di intercettare la voglia di cambiamento che da alcuni mesi è tornata ad attraversare l’aria.

«Spero che questo album sollevi il vostro spirito, renda serena la vostra giornata, apra i vostri occhi, vi faccia innamorare, vi faccia pensare a cose nuove, vi faccia ballare e sentire l’essenza di come mi sono sentito mentre creavo queste canzoni». Buju Banton

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