Il bolero fantascientifico di Lucrecia Dalt

¡Ay!, nuovo album dell’artista colombiana Lucrecia Dalt, trasporta la memoria nel futuro

Lucrecia Dalt
Disco
oltre
Lucrecia Dalt
¡Ay!
RVNG Intl.
2022

Nata in Colombia, María Lucrecia Pérez López, in arte Lucrecia Dalt, si era allontanata dal paese tanto in senso geografico (vive a Berlino dal 2013) quanto in termini espressivi, instradando il proprio cammino creativo nell’alveo del suono elettronico, agli esordi in chiave quasi pop e di recente viceversa in area sperimentale.

Ora, all’età di 42 anni, nel nuovo album ¡Ay!, ottavo da solista e terzo per l’indipendente newyorkese RVNG Intl., rivendica invece le proprie radici culturali ponendole al centro dell’opera. Lo si percepisce nitidamente nella scelta dei codici musicali, riferiti ai canoni del folklore locale, benché sia straniante il contesto: un racconto di natura avveniristica. Intervistata da “Pitchfork”, ha spiegato: «Mi sembrava interessante mescolare una storia di fantascienza con la memoria di tutte le musiche che ascoltavo da piccola».

«Mi sembrava interessante mescolare una storia di fantascienza con la memoria di tutte le musiche che ascoltavo da piccola».

In due parole, la vicenda narra le vicissitudini di Preta: entità aliena composta di “forfora epidermica” che approda su un picco montagnoso nell’isola di Maiorca (là sono stati girati i video complementari) e divulga messaggi man mano che prende coscienza di sé. Apre la sequenza “No Tiempo”, introdotto da un organetto d’epoca e decorato con clarinetto e flauto su un ritmo pigro di bolero, dove la voce angelica della protagonista dice: “Sfondando il mio portale ghiandolare vi offro una visione atemporale, uscendo dal terriccio sono entrata in un clima gradevole dallo strano odore di ozono”.

Si sofferma poi sul luogo dell’atterraggio, “El Galatzó” (“un cosmologico fossile elettromagnetico”), assecondata da contrabbasso pizzicato e percussioni laconiche: “Adesso so cosa si prova ad avere chilometri cubi di acqua increspata nella mia visione periferica”. Arriva a quel punto una prima sentenza: “Non obbedisco alla tua verità lineare”. L’identità della creatura comincia a definirsi nel successivo “Atemporal”: “Mi riconosco in quella roccia senza tempo”, afferma avvolta in un’atmosfera nostalgica che rievoca l’effetto di “Quizás, Quizás, Quizás” cantata da Nat “King” Cole durante In the Mood for Love, mentre descrive “lacrime di xenocristalli e di zirconi adeani”.

A proposito di suggestioni cinematografiche: l’autrice ha ammesso di essere stata influenzata da L’uomo che cadde sulla Terra di Nichoals Roeg e Love Streams di John Cassavetes, quest’ultimo rievocato espressamente attraverso la primattrice “Gena” Rowlands, al cui nome corrisponde il titolo di una traccia dall’ambientazione enigmatica, fra dub e jazz.

Ancora più fitto è il reticolo degli ascendenti musicali, riprodotto nella playlist tematica da lei compilata per “The Wire” in coincidenza con la cover story dedicatale dal magazine britannico: da Harry Belafonte a Tom Waits passando per Lee “Scratch” Perry e Alice Coltrane. Un brano che testimonia in maniera eloquente la simbiosi fra tradizione e contemporaneità è “La Desmesura”, con i suoni organici filtrati da un’interfaccia sintetica fino al collasso nell’entropia conclusiva. E lo stesso accade in “Dicen”: conga e tromba emergono da un bordone artificiale, quando Preta “pensa di essere Circe di Eea o la Sfinge o Medea”.

A dispetto dell’intrinseca complessità concettuale, all’ascolto ¡Ay! risulta piacevolmente affascinante ed è perciò un disco davvero stupefacente.

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