Greentea Peng, il sole nell’oscurità
Fra neosoul, trip hop e Giamaica, torna la cantante londinese

Quattro anni dopo Man Made, Tell Dem It’s Sunny segna il ritorno discografico della londinese Aria Wells aka Greentea Peng, esponente del neo-soul influenzato dalla psichedelia e dai ritmi giamaicani.
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Era più o meno la metà di giugno del 2021, da meno di due mesi erano state ripristinate le zone gialle e prorogato fino al 31 luglio lo stato di emergenza a causa del Covid, quando chiusi la recensione dell’album d’esordio di Greentea Peng, cantante tatuatissima proveniente da South-East London, con queste parole: «Tra jazz, hip-hop, sonorità dub, neo-soul e R&B psichedelico, in Man Made c’è molta carne al fuoco ma Greentea Peng riesce nel difficile compito di tenere tutto sotto controllo e realizzare un album d’esordio di grande coesione. Il suo è un nome da tenere assolutamente d’occhio».
Dopodiché, complice una gravidanza, la sua attività discografica si è diradata: qualche singolo, il mixtape Greenzone 108 sul finire del 2022 e una collaborazione con Lee Scratch Perry in un brano incluso in King Perry del 2024, quello che a tutti gli effetti dobbiamo considerare l’ultimo album inciso in studio dalla dub legend prima della sua scomparsa, senza dimenticare la sua prima volta in Italia con la partecipazione all’edizione dello scorso anno di Jazz:Re:Found.
Un nome da tenere assolutamente d’occhio dunque e questa volta ci ho azzeccato: le 14 canzoni di Tell Dem It’s Sunny danno vita a un disco sorprendente che segna la raggiunta maturità artistica di una cantante che si candida a essere uno dei nomi di punta di quella Londra culturalmente e musicalmente multi-etnica.
Il suo nome è stato spesso avvicinato al neo-soul (l’ho fatto anch’io) ma per questo disco si potrebbe usare la definizione di neo-trip hop, come ha fatto in maniera brillante la rivista Mojo nella rubrica All back to my Place, quella in cui i musicisti svelano i loro piaceri sonori.
Volete sapere quali sono quelli di Aria ?(Almeno, al momento dell’intervista, perché oggi potrebbero essere cambiati: per sua stessa ammissione lei è una persona volubile). Ella Fitzgerald, molta house music, Sun Ra, Beethoven, Maverick a Strike di FinleyQuaye e il singolo “Superstylin’” dei Groove Armada.
Se è sabato notte e si balla, lei perde la testa per “Moma Yendodo” del cantante ganense Ata Kak.
Dopo un sabato notte super-charged la domenica mattina reclama assolutamente del dub, per esempio l’extended mix di “Truths and Rights” di Johnny Osbourne.
Se avete letto la recensione di Man Made, ricorderete senz’altro l’assidua frequentazione di sostanze stupefacenti più o meno leggere da parte di Aria; bene la dichiarazione che segue, resa sempre alla rivista Mojo, è abbastanza singolare: «Fino a pochi giorni fa, avrei ascoltato Johnny Osbourne rollando un bel cannone e fumandomelo tutto, ma dopo 17 lunghi anni ho smesso, quindi dovrò pensare a qualcos’altro da fare la domenica mattina. La nostra è stata una bella relazione ma è il momento di un nuovo capitolo». Probabilmente la maternità ha avuto il suo peso in questa decisione: vedremo se e quanto durerà.
Tell Dem It’s Sunny è stato preceduto da ben quattro singoli: il primo, cinque mesi fa, fu “TARDIS (hardest)”, con quei versi «We move not backwards, only forward / From West Ham to Norwood / Wе channelling, we at the altеrs / Not the afters, we mash up regardless / Why you thinking you're the hardest? / We giving thanks for nothing's promised / I do this shit, I do it honest, uh / I do this shit, I do it honest» su un tappeto assolutamente trip hop.
Gran pezzo, qualcosa comincia a bollire in pentola, stai a vedere che… Ed eccola comparire per strada a Brixton, in mezzo al traffico e ai passanti, in compagnia di DJ AG e presentare qualche canzone nuova: ci siamo, sta finalmente per uscire il nuovo disco.
C’è anche “One Foot”, canzone che di lì a poco sarà pubblicata come nuovo singolo e che, a quanto riportato nel comunicato stampa, riflette la profondità piena di sentimento e l’emozione che sono diventati il marchio di fabbrica di Greentea Peng, immerse in un’atmosfera memore dei Morcheeba.
«Sono di nuovo un passo avanti e un altro indietro / Non dirmi che sarà così fino alla fine / Sto imparando a fare surf col mio amico / Su questi oceani infidi / Sono fottutamente sfinita, fuori di testa, stravolta / Le mie cose non sono sistemate / Prego il Signore, sì / È troppo tardi per me? / È troppo tardi per me? / Mi hai abbandonata? / È troppo tardi per me? / È troppo tardi per me?» - One Foot
È stata poi la volta di “Green”, canzone costruita intorno a un sample distorto di “Green Eyes” dell’amata Erykah Badu: «Io ti conosco, tu vuoi correre, lo so che lo fai / ma non c’è altro modo che andare senza fermarsi / oh, in questa vita c’è molta sofferenza / ma alla fine è ciò che ti modella».
Più o meno un mese prima dell’uscita dell’album c’è stato ancora spazio per un singolo, “Stones Throw”, canzone che non avrebbe sfigurato nel repertorio della compianta Amy Winehouse.
«Il tuo amore era troppo buono per me e io ero troppo inconsapevole per accorgermene. Sì, mi dispiace, piccolo, non ero davvero pronta» - Stones Throw
E allora “diteglielo che c’è il sole”, un album che riesce ad ammaliare e attirare l’ascoltatore dentro di sé. In una dichiarazione Aria ha aggiunto: «Ditegli qualsiasi cosa vogliate. L’esplorazione del vostro io politico, i fili che compongono questo patchwork chiamato vita, tutta la storia, i pensieri e le emozioni. Tutti i su, i giù, il flusso e il riflusso. Quest’album è un’onda che si unisce all’insenatura, un’espirazione, la chiusura di un libro. Pezzi dell’anima messi insieme che inseguono nuove pagine. "Diteglielo che c’è il sole” al di sopra del cammino coperto di nuvole dell’auto-inchiesta”.
Un album che vede Greentea Peng più espressiva e concreta di quanto lo fosse prima, al basso in molte canzoni e immersa più profondamente nel lato produttivo dell’elaborato finale, con l’aiuto del collaboratore di lunga data Earbuds, di Samo, Nat Powers e del duo irlandese con base a Londra St. Francis Hotel.
Come ha sottolineato Lisa Wright su The Guardian, il messaggio principale di questo nuovo disco è probabilmente racchiuso nel penultimo brano, “I Am (Reborn)”, con quel mantra centrale «non sono quella che ero ieri, non comportarti come se mi conoscessi», detto con forza sempre crescente, il punto culminante di un album che dà costantemente credito a questa affermazione.
“My Neck”, con la partecipazione del musicista di Brixton Wu-Lu, trova un terreno comune tra il lo-fi hip-hop e la fluidità di Aria Wells, prima di proseguire senza interruzioni, passando attraverso scratch provenienti direttamente dagli anni Novanta e chitarre per così dire brizzolate, dentro “Create or Destroy 432”, senza dubbio uno dei piatti forti dell’intera raccolta. Dal punto di vista sonico questo album è più scuro rispetto agli sforzi precedenti ma c’è anche parecchia luce, come nel synthpop di “Nowhere Man” che richiama alla memoria la Santigold di qualche tempo fa o nella già citata “Green”.
Come ha avuto modo di dire la stessa Greentea Peng, «questo suono è fisico, metafisico, mistico, sensuale, alchemico, è come una medicina. Adesso spalancate tutto e lasciatelo entrare». Seguite il suo consiglio, ne vale davvero la pena.
«Tutte queste nuvole si stanno dissipando, non sono rimaste guerre di cui discutere, non c’è più bisogno di mettere in mostra la forza, tutti i vostri bambini vivono in libertà, liberi dalla tirannia, tutta l’umanità si unisce in maniera decisa. È un giorno di sole» - Glory