A Filetta, corsi "corsari" con Fresu e Di Bonaventura

Danse Mémoire, Danse è il nuovo disco dell'ensemble corso A Filetta con Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura

A Filetta Paolo Fresu Daniele Di Bonaventura
Disco
world
A Filetta/Paolo Fresu/Daniele Di Bonaventura
Danse Mémoire, Danse
Tûk Music
2018

Danse Mémoire, Danse, il nuovo disco di A Filetta con Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura.

“Raccontare, raccontare finché non muore più nessuno. Mille e una notte, milioni e una notte”. 

Così scriveva l'Elias Canetti del Libro contro la morte, volume incompiuto, epigrammatico, “disordinato” e “minimo”, eternamente in fieri, scritto per i morti, di cui noi tutti inevitabilmente viviamo, per salvarli o sottrarli, ancora per qualche istante, dalle fauci ingrate dell’oblio; un libro scritto in buona parte per opporsi alla prevaricante violenza del potere, che afferma se stesso, annientando gli altri. 

E raccontare, ricordare, rievocare, è proprio uno degli obiettivi di questo mirabile Danse Mémoire, Danse ad opera dello straordinario gruppo vocale polifonico corso A Filetta, di nuovo in collaborazione, dopo lo splendido e fortunato Mistico Mediterraneo (ECM Records, 2011), con il sempre più poetico e misurato Paolo Fresu alla tromba, al flicorno e agli effetti, oltre che alla produzione (lirici, luminosi, radianti e fantascientifici i suoni dei suoi calibrati ottoni), e l’ottimo Daniele Di Bonaventura alle orchestrali morbidezze màntiche (non nel senso dell’antica arte della divinazione) del suo bandoneón. 

Già, perché a essere ricordate qui sono due figure di isolani dall’alto profilo morale (distanti solo in apparenza), che “il mare non è riuscito a trattenere nelle reti di coloro che non sanno vedere l’altro”, entrambi molto affezionati alla propria terra natia e al contempo alle sorti del mondo intero. Uomini del rifiuto, oppositori generosi di tutte le sofferenze inflitte ai più deboli, strenui denunciatori del colonialismo e del capitalismo predatore (quello che ha plasmato il nostro sfasciato, sconvolto presente), che da secoli frantuma uomini e civiltà. 

Il primo dei due è Aimé Césaire (1913-2008), straordinario poeta surrealista e drammaturgo martinicano, discendente antillano caraibico di schiavi africani, politico importante – militante del Partito Comunista Francese, cha lascia dopo i fatti d’Ungheria del 1956 (c’erano già le condizioni per capire), deputato all’Assemblea Generale Francese, sindaco di Fort-de-France (capitale della Martinica) per quasi sessant’anni –, grazie al quale la Martinica diventerà nel 1946 un Dipartimento d'oltremare della Francia, così entrando a tutti gli effetti a far parte dell'Europa; autore di emblematici drammi e poemi, che hanno raccontato (come nel più noto Diario del ritorno al Paese natale del 1939) la drammatica sorte e le lotte degli schiavi nelle colonie francesi d’oltremare; ideatore (tra le due guerre) con il celebre politico ed intellettuale senegalese Leopold Senghor (il primo Presidente del Senegal libero e indipendente), conosciuto all'École Normale Supérieure di Parigi, del fondamentale concetto di “negritudine”, nozione che voleva comprendere e valorizzare, soprattutto agli occhi dei giovani studenti neri, i tanti valori spirituali, artistici, filosofici dell'Africa nera, continente dalle immense ricchezze storiche e culturali, non certo culla di una sorta di specie subumana, ma semmai terra ancestrale di tutti noi. 

Un nobile tentativo, quello della “negritudine”, di mettere in evidenza tutta una serie di meriti e pregi (artistici, morali, intellettuali, culturali) specifici della razza nera (purtroppo si ragionava ancora in questi termini, o vi si era costretti), da contrapporre con orgoglio, ma senza spirito di rivalsa (in una logica di apertura tra i due mondi), al denigratorio ed ipocrita sguardo bianco. 

Il secondo dei due è invece Jean Nicoli, che negli anni Venti del secolo scorso fu “semplicemente” un maestro elementare nell’Alto Senegal (l’odierno Mali), prima di tornare in Corsica (sua terra natale) e diventare uno dei capi della resistenza durante la seconda guerra mondiale. 

Una meritoria attività “banditesca”, la sua, per la quale viene giustiziato il 30 agosto 1943 dall’occupante fascista, non prima di aver lasciato ai figli queste ammirevoli parole: "alle quattro verrò fucilato. Abbiate in mente un papà felice e sorridete con orgoglio per la strada. Muoio per la Corsica e per il partito. In segno di lutto portate entrambi una bella testa di Moro e un grande garofano rosso". 

“È con un sospiro che me ne andrò, calmo e sereno, a navigare in altri mari, in altri cammini, in altri mondi, a cercare altre prove”, recitano le parole (tutte appositamente scritte da una serie di contemporanei autori corsi, ed espressamente dedicate alle due esemplari vicende biografiche) di uno dei momenti più coinvolgenti dell’album, il “lacrimosa” Per sempre

Formatosi in alta Corsica nel 1978 in epoca di folk revival, su principale impulso del vocalist e compositore Jean-Claude Acquaviva, tutt’oggi leader dell’ensemble, il sestetto A Filetta è espressione profonda della tradizione musicale corale della piccola isola tirrenica, che si vuole francese e italiana, corsa ed europea, mediterranea e mondialista, non certo indifferente. 

Nella loro ultra raffinata arte polifonica per sole voci maschili, complesso intreccio di voci basse, tenorili e a “chitarra”, c’è qualcosa di intensamente “antico”, quasi fervidamente e ieraticamente monastico, tardo medioevale (anche se ovviamente non stiamo parlando di canto monodico e nemmeno religioso in questo caso), e poi certo di rinascimentale, soprattutto di colto e popolare insieme; ed ancora, più in generale, potremmo dire che vi alberga un deciso carattere mediterraneo (nell’ambito di una sofisticata tecnica canora, che in alcuni momenti sfiora il sostenuto melisma, a riecheggiare è anche la pulviscolare Africa araba), tirrenico in specie (oltre che occitano): il trallalero ligure non sembra poi così lontano, così come i più “diseducati” cori provenzali (pensiamo al Corou de Berra), o ancora certi appassionati modi di portare il canto, che hanno contraddistinto e contraddistinguono alcune grandi voci del canto popolare sardo degli ultimi anni (pensiamo ad Andrea Parodi, Elena Ledda, Franca Masu) – ed è forse qui che si innesta alla perfezione il felice connubio con il gallurese, altrettanto isolano ovviamente, Paolo Fresu, jazzista finissimo, musicista a tutto tondo e di mondo, che però non ha mai voluto tagliare, e comprensibilmente, il cordone ombelicale, che lo lega indissolubilmente alla propria amata terra d’origine. 

In una formula, gli A Filetta sono coraggiosi sperimentali innovatori e al contempo rigorosi custodi ed eredi della plurisecolare tradizione della polifonia corsa.

La straordinaria intonazione, la perfetta armonizzazione delle parti in stratificati castelli armonici, l’ordine formale, l’assoluto controllo e l’equilibrio d’assieme che i sei raggiungono, anche in fasi di più accentuata drammaticità, appartengono ad una colta ed antica scuola, che con le loro composizioni, in impeccabile ed intrepido equilibrio tra antichità e modernità, recuperano e reinventano ammirevolmente. 

Una scuola che qui si apre ancor di più al mondo e alle sue tribolate vicissitudini (passate e presenti), armonizzando alla perfezione, nelle loro accezioni più ampie, jazz e polifonia, all’insegna di una cameristica ed elegante musica meticcia, che non è di nessuno, perché appartiene a tutti. “Corsari”.

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