Complete Mountain Almanac, canzoni sul cambiamento climatico

Il folk da camera di Rebekka Karijord e Jessica Dessner

Complete Mountain Almanac
Disco
pop
Complete Mountain Almanac
Complete Mountain Almanac
Bella Union
2023

In attesa del nuovo lavoro dei National (First Two Pages of Frankenstein, annunciato per fine aprile), ecco i gemelli Dessner, Aaron e Bryce, coppia motrice dalla band statunitense, affaccendati qui in uno dei numerosi progetti nei quali sono a vario titolo implicati: affiancano la sorella maggiore Jessica Dessner (pittrice, poeta, danzatrice e “aspirante italiana” in Piemonte, fra Torino e le Langhe) e la compositrice e cantante scandinava – nata in Norvegia, vive in Svezia – Rebekka Karijord nella compilazione dell’"Almanacco Completo della Montagna", Complete Mountain Almanac, per il primo album con questo nome.

Le due si erano conosciute a Brooklyn una quindicina di anni fa e si sono ritrovate tempo dopo, quando la seconda – intenzionata a creare un album a tema sul cambiamento climatico – si è rivolta alla prima per dotare l’opera di senso narrativo.

Alle musiche concepite da lei (affermata autrice di colonne sonore, dal documentario I Am Greta al film La cena delle spie) si abbinano così i testi dell’altra, influenzati dal concomitante processo di guarigione da una grave malattia. “Siamo persone diverse con storie differenti, eppure intrecciate per mezzo della fiducia”, ha detto Karijord, spiegando l’indole complementare del loro rapporto.

Da tali premesse scaturisce una dozzina di canzoni in forma di calendario: ciascuna associata a un mese, seguendo l’ordine cronologico. Bisogna arrivare a “November”, volendo risalire al movente: “Ho sentito il bisogno di un almanacco per cercare adesso i segni di ciò che ci aspetta”, confessano i versi conclusivi, incalzati dall’arpeggio di chitarra. L’ambientazione musicale rimanda ai canoni classici del folk angloamericano sin dall’iniziale “January”, brumosa ballata dal carattere esistenzialista (“Sto lasciando il corpo terreno, stretto intorno al famigerato vuoto, una sensazione in cui vivo”), e dalla successiva “February”, sviluppata in punta di plettro su uno scalpiccio di percussioni, mentre aleggiano sullo sfondo gli archi della Malmö Symphony Orchestra arrangiati da Bryce Dessner, che conferiscono portamento cameristico all’intero disco, registrato negli studi St. Germain di Parigi.

Dato il soggetto, le immagini evocate celebrano la Natura: “Una passeggiata nel bosco, il nome di ogni pianta, quali sono resistenti e quali le più alte in pieno sole”, nell’incanto idilliaco di “April”, ad esempio. Oppure: “Le nuvole se ne vanno, ma la Luna deve restare nell’oscurità, piena come nient’altro, il colore di un volto e luci”, si canta in “June” su un fraseggio in minore di pianoforte che soccombe poi a un crescendo orchestrale carico di pathos. Il nostro satellite era comparso già durante il rasserenante madrigale intonato in “May”: “La Luna ha dieci giorni, chiarore proiettato da un’ombra più scura, il fiume in un corso antico, il mio corpo attende la consegna dell’anima”.

L’estate scorre viceversa nell’inquietudine, fra lo spleen di “July” (“Se la valle ha un segreto, chi dice oggi la verità?”) e i presagi enigmatici (“Sporcizia tropicale, innumerevoli posti di blocco, cercatori di sole ignari degli avversari”) pronunciati su cadenza country in “August”, dove si percepisce nelle retrovie un’eco di fiati.

A tirare le somme arriva infine l’elegia autunnale di “December” (“Nascita, vecchiaia, malattia, morte, quattro stagioni, vivile tutt’e quattro e potrai dire di aver vissuto”), epilogo zen di un album sommesso ma prezioso.

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