À Versailles comme à Versailles

L’Opéra Royal selon Laurent Brunner

Opéra Royal Versailles (foto Thomas Garnier)
Opéra Royal Versailles (foto Thomas Garnier)
Articolo
classica

Con un centinaio di spettacoli l’anno e una lunga serie di edizioni discografiche, realizzate nel giro di poco tempo, l’Opéra Royal di Versailles rappresenta un interessante e importante punto di riferimento della scena musicale europea e internazionale. La musica barocca è al centro delle sue attività, con una predilezione per opere e composizioni dimenticate o poco note. Questa dimensione innovativa è frutto della dinamica politica culturale di Laurent Brunner, direttore del Château de Versailles Spectacles. Lo abbiamo incontrato tra una rappresentazione di Didon et Enée di Purcell eseguita dall’ensemble Les Arts Florissants diretto da William Christie, con Helen Charlston e Renato Dolcini nel ruolo di protagonisti, il recital Sopranista di uno sgargiante Samuel Mariño accompagnato dalla Orchestre de l’Opéra Royal diretta da Stefan Plewniak, e le prove dell’ensemble Il Groviglio diretto da Marco Angioloni per  l’opera Poro, re delle Indie di Handel. In questa intervista Brunner racconta la storia di questa sala scintillante, della sua attuale gestione e del cosmopolitismo della musica barocca.

Laurent Brunner (foto François Berthier)
Laurent Brunner (foto François Berthier)

Questa sala regale in origine non era soltanto al servizio della musica

«L’unicità dell’Opera Royal di Versailles, che è fra i teatri più belli del mondo, è dovuta al fatto che è stata concepita per qualcosa di molto particolare. Questa sala storicamente era utilizzata esclusivamente per i matrimoni principeschi, a differenza dei teatri di corte di altri palazzi o castelli, come per esempio Caserta che è grande quasi quanto Versailles. Un tempo gli spettacoli erano allestiti in luoghi diversi come scalinate o piccole sale, per un pubblico di circa un centinaio di persone, mentre i festeggiamenti nuziali duravano tre giorni, con una serata dedicata all’opera, una ai banchetti e una alla danza, con un pubblico ben più numeroso. Prima della costruzione dell’Opéra Royal si utilizzava lo spazio della Grande Ecurié, la scuderia, o la Salle du Jeu de paume destinata al gioco della pallacorda, e poi Luigi XV in previsione dei matrimoni dei suoi nipoti su proposta dell’architetto Ange-Jacques Gabriel fece costruire una sala adatta a ospitare le opere, i balli e i banchetti. Luigi XIV aveva pensato di creare una sala permanente per gli spettacoli,  perché gli allestimenti erano effimeri e venivano scartati e distrutti ogni volta, ma alla fine non venne realizzata, mentre il suo successore riuscì a farla edificare in appena diciotto mesi. L’Opéra Royal venne inaugurata in occasione del matrimonio del futuro Luigi XVI con Maria Antonietta, con un’opera, e poi nel giorno seguente un banchetto del re e della famiglia reale servito di fronte al pubblico e accompagnato dalla musica, e infine la terza sera con la platea svuotata delle panche e sollevata a livello della scena, sulla quale venivano collocate altre tribune, per eseguire il ballo al centro della sala con una ventina di danzatori tra i quali si esibiva anche il sovrano. Dunque ecco a cosa era destinato questo magnifico teatro».

Opéra Royal Versailles
Opéra Royal Versailles

Tutto questo fino a quando?

«Con la Rivoluzione tutto questo è terminato. Non c’era più la corte, dunque neanche i matrimoni principeschi, e l’Opéra non è più servita. È stata utilizzata qualche volta nel corso dell’Ottocento, per l’inaugurazione del Museo, per un concerto di Berlioz, e per un ricevimento in onore della regina Vittoria. Poi è divenuta la sala per accogliere il Senato, e dopo la guerra franco-prussiana il potere della Repubblica si è installato a Versailles, e non a Parigi per paura dei comunisti, e per circa ottant’anni è stata di proprietà del Senato. Dall’altra parte del Castello è stata costruita una sala per l’Assemblea Nazionale, l’altro ramo del parlamento, che esiste tutt’ora e che è divenuta la sala del Congresso, che è l’unico luogo nel quale il presidente può parlare a senatori e deputati, ma questo accade molto di rado per qualche modifica della costituzione. Dunque per circa trent’anni il Senato pur essendosi spostato a Parigi ha conservato la sua prerogativa sull’Opéra. Finalmente verso il 1950 si è cominciato a pensare di ripristinarla come luogo di spettacolo, ma non c’era un budget perché il Museo non lo prevedeva. La sala era stata restaurata ma non veniva quasi mai utilizzata, se non in modo sporadico e quasi casuale. Solo dagli anni Ottanta ha ricominciato a funzionare ma ancora parzialmente per la mancanza di fondi».

Poi è stato chiamato lei…

«Sono arrivato qui nel 2007. Attualmente la struttura che gestisce l’Opéra gestisce anche gli altri spettacoli che si svolgono nel Castello, per esempio quelli acquatici estivi nelle fontane dei giardini, le “Grandes Eaux Musicales”. Mi avevano chiamato per curare questi, e io ho detto al Presidente della Reggia “va bene ma datemi anche l’Opéra”, che era solo una delle sale del Museo, e la risposta è stata “d’accordo ma non deve costare nulla!” Dopo essermi assicurato di poter utilizzare i fondi che sarei riuscito a reperire liberamente per le attività musica, abbiamo iniziato a lavorare al progetto e così oggi facciamo almeno un centinaio di rappresentazioni all’anno, tra l’Opéra e la Chapelle Royale. Si tratta sia di produzioni nostre che altrui, e talvolta di  coproduzioni».

Se queste non gravano sul bilancio del Museo come si sostengono i costi degli spettacoli?

«Il mio mestiere è trovare i soldi, trovare gli artisti e poi fare gli spettacoli. Gli incassi della biglietteria, compresi quelli delle attività nei giardini, e il sostegno dei mecenati ci consentono di sviluppare le attività musicali senza il ricorso a fondi pubblici statali, regionali, comunali o del Museo, al quale invece siamo noi a versare delle somme di locazione. In alcuni casi se la sala è piena gli incassi coprono esattamente il costo vivo dello spettacolo».

Quante persone lavorano con lei per il funzionamento dell’Opéra?

«Siamo una piccola struttura che organizza molti spettacoli e siamo relativamente pochi. È una equipe giovane fatta di una decina di persone e poi ci sono i cosiddetti “intermittents du spectacle”, il personale che lavora ogni volta che viene allestito un evento. Direi in totale una trentina di persone. Naturalmente non abbiamo musicisti o ballerini che fanno parte della struttura in modo permanente...».

Ma c’è l’Orchestre de l’Opéra Royal…

«Si tratta di un’orchestra fatta di musicisti che suonano anche con altre formazioni e che si riuniscono per realizzare un progetto quando è necessario. Ma questo è un dato comune che riguarda anche gli ensemble di musica antica più famosi, che si riuniscono solo quando ci sono concerti da fare. Ho creato l’orchestra spinto dal desiderio di far eseguire l’opera Les Fantômes de Versailles di John Corigliano, commissionata al compositore per celebrare il centenario della Metropolitan Opera di New York. Dopo aver consultato varie orchestre francesi senza riuscire a coinvolgerle nel progetto alla fine ho cercato e scelto i musicisti più adatti e finalmente abbiamo potuto mettere in scena The Ghosts of Versailles. Noi a differenza degli altri teatri ci occupiamo di musiche e opere che non vanno oltre la data della Rivoluzione Francese, e in particolare piuttosto di autori del Sei e  Settecento, come Francesca Caccini, Monteverdi, Cavalli, Rossi, e così via fino a Mozart. Si tratta di un’orchestra speciale così come lo è questo luogo, ed è un’orchestra che gli assomiglia. Non credo a chi dice che le cose non si possono fare perché non ci sono più i soldi. Contano i progetti e una parte di questi li porteremo in tournée perché abbiamo in calendario concerti in Corea, in Cina, nel sud della Francia, in Spagna».

Orchestra dell'Opéra Royal Versailles
Orchestra dell'Opéra Royal Versailles

Non dev’essere stato facile creare questo circolo virtuoso che ha portato anche alla creazione di una etichetta discografica che lo scorso anno ha ricevuto l’International Classical Music Award di “Label of the Year”.

«Mi avevano detto che non sarei mai riuscito a fare quello che ho fatto, ma alla fine ecco i risultati. Quello che conta sono i progetti, che naturalmente sono diversi a seconda dei luoghi nei quali si opera. Non esiste più un mercato discografico per la musica classica, ma una volta che si allestisce uno spettacolo che richiede molte prove e poi un certo numero di rappresentazioni vale la pena aggiungere due o tre giorni di lavoro in più per registrare un disco e eventualmente un video, in modo da raggiungere molte più persone rispetto a quelle che posso assistere all’evento dal vivo. È vero che questo fa aumentare i costi, ma sono solo aggiuntivi, e così il progetto diviene completo.

A differenza di altri teatri a volte ci capita di riproporre dopo un paio d’anni una nostra produzione operistica, perché c’è anche chi può avere voglia di rivederla. Penso ad esempio alla tragédie biblique David et Jonathas di Charpentier che abbiamo presentato a novembre scorso, un allestimento sontuoso realizzato in coproduzione con il Musikfestspiele Potsdam Sanssouci dove verrà presentato a giugno, e che riprenderemo tra due anni. L’abbiamo registrata e verrà pubblicata prossimamente. È chiaro che con i dischi non guadagniamo, ma questo ci consente di perfezionare un progetto e di far scoprire molta musica che si ascolta di rado, come per esempio il Dies Irae di Lully. Si tratta di una delle più belle musiche di Versailles e abbiamo registrato tutta la produzione sacra del compositore di origine italiana. A proposito di musica poco nota posso citare un’opera interessante di Handel, Poro, re delle Indie, e abbiamo anche presentato le opere di due compositrici francesi, che sono le prime scritte in Francia da due donne. Una di queste è Les Génies ou les Caractères de l’Amour di Mademoiselle Duval del 1736. Fare un disco non è la stessa cosa rispetto alla singola esecuzione di un concerto, che  può presentare pregi e difetti, ma quando si registra si cerca di ottenere il miglior risultato possibile».

 

Giulietta e Romeo

Nel giro di pochi anni l’Opéra Royal ha ritrovato la sua ragion d’essere

«Qui a Versailles Luigi XIV ha pensato questo palazzo, e tutto il suo regno, in funzione delle arti e degli artisti. Non c’è mai stato un periodo artisticamente altrettanto florido come quello del suo regno. Il sovrano si occupava personalmente delle cose artistiche, visitava spesso i cantieri delle costruzioni, sceglieva i programmi dei dipinti, ha promosso un concorso per scegliere il maestro della Chapelle Royale ascoltando una quarantina di interpretazioni dei mottetti per scegliere il miglior musicista. Anche Napoleone era un grande amante delle arti, e la sua opera preferita era Giulietta e Romeo di Zingarelli. Mi piace raccontare le storie di queste opere, sono appassionanti e fanno venire voglia di ascoltarle. Sapere che Napoleone piangeva quando  ascoltava le arie di Romeo intonate dal castrato Girolamo Crescentini è incredibile. Il pubblico è partecipe di questa avventura e ha voglia di scoprire tutto questo».

Dunque molte opere da scoprire o riscoprire...

«Sì. Per esempio a proposito di Italia c’è un opera di Respighi. All’inizio degli Anni Dieci il compositore ricevette l’incarico dall’Opera di Roma e scelse un libretto francese per la sua Marie Victoire che a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale non venne mai rappresentata. Racconta la storia di una nobildonna all’epoca della Rivoluzione Francese accusata prima di essere una aristocratica, poi una rivoluzionaria e infine filonapoleonica. La storia è quella della pièce di Edmond Guiraud e spero di riuscire a presentare quest’opera che riguarda la storia francese ma  che non è mai stata ascoltata nel nostro paese. Penso che sarà molto interessante  invitare il pubblico a scoprirla».

Chapelle Royale
Chapelle Royale

E poi ci sono i concerti nella Chapelle Royal...

«Sì, a Versailles bisogna fare Versailles e far ascoltare le musiche che sono risuonate  qui, come il Te Deum di Lully che richiede un grande numero di esecutori, tra cantanti e strumentisti... Ma a questo proposito vorrei parlare del magnifico organo del 1710, che era stato trasformato, ma che una ventina di anni fa si è deciso di ricostruirlo integralmente come era in origine, mantenendo solo il suo buffet. Pur essendo nuovo e pur non avendo la patina della storia, rispetta la sua prima concezione. Abbiamo già pubblicato una decina di dischi della serie “L'Âge d'or de l'orgue français” e continueremo con altri dieci titoli. Ho chiesto a Bernard Foccroulle di poter registrare un disco e quando mi ha risposto che la sua specialità era la musica tedesca, gli ho proposto di eseguire Muffat, che era un compositore nato in Savoia  che ha viaggiato in Italia e operato in Austria e in Germania e che è stato influenzato da Lully. Dopo aver provato quest’organo ha detto che era perfetto per quella  musica».

Un compositore europeo...

«Bisogna sempre ricordare che l’Europa è la nostra casa comune e bisogna ricordarlo anche ai politici. Io mi sento parte di Napoli e Venezia come tu lo sei di Versailles. È la storia che non si può fermare. Luigi XIV parlava spagnolo e sua moglie era spagnola, Mazarino era italiano e questa è la Francia: Lully, Picasso…Dobbiamo dire tutto il tempo che questo melange è la nostra forza. Abbiamo dei valori culturali comuni. Per un italiano un libro è una cosa sacra, e lo è una biblioteca o una chiesa. Lo stesso vale per gli spagnoli, i tedeschi, gli inglesi… Sono i nostri beni comuni che dobbiamo difendere e Muffat ne è un buon esempio. L’opera francese non si è diffusa negli altri paesi, ma ci sono stati scambi continui. La musica italiana ha influenzato quella francese, che non si permetteva venisse intonata dai castrati, ma per esempio dall’epoca di Luigi XIV sino alla Rivoluzione Francese ce n’erano due che cantavano nella Chapelle Royal. Come dire, proibito ma possibile. Sono stati due castrati che avevano portato la partitura da Napoli ad aver fatto ascoltare per la prima volta qui lo Stabat mater di Pergolesi. Il Barocco non è una cultura nazionale. Handel ha trionfato in Inghilterra con il suo stile italiano nel quale vi è anche un influenza francese...».

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