Con 31 produzioni sinfoniche e quattro rassegne collaterali, debutti internazionali e grandi solisti, il Direttore Emmanuel Tjeknavorian presenta la sua prima Stagione nel ruolo di Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Classe 1995, Tjeknavorian impernia la sua carriera di direttore sul precedente percorso di violinista, con il quale ha ottenuto ampia visibilità internazionale. In occasione dell'inaugurazione della Stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano al Teatro alla Scala, avvenuta domenica 15 settembre, abbiamo intervistato il giovane Maestro austriaco di origine armeno.
Maestro, cosa significa per un giovane musicista come lei essere stato nominato Direttore musicale di un'orchestra come la Sinfonica di Milano?
«È un onore immenso, una grande responsabilità e una sfida che accolgo con umiltà. In questa fase della mia carriera, dirigere un'orchestra di tale importanza e prestigio racconta molto dello spirito visionario di Milano. Per me rappresenta un’opportunità incredibile, grazie alla quale poter plasmare il suono dell'orchestra, esplorare nuovi orizzonti artistici e approfondire il dialogo musicale tra l’orchestra e il suo pubblico. Questo ruolo mi spinge a dare il massimo, non solo come direttore ma anche come musicista».
Qual è il suo rapporto con l'Italia?
«L'Italia, per me, è una sinfonia di cultura, storia e bellezza senza pari. Il mio rapporto con questo Paese è radicato nella profonda ammirazione per la ricca tradizione musicale, la passione per le arti e il senso profondo verso il patrimonio culturale. È un luogo in cui la musica non viene solo eseguita, ma vissuta, sentita e celebrata. Nel campo dell’arte, l'Italia è sempre stata un faro e lavorare in questo Paese non può che impreziosire il mio percorso musicale. Lo spirito della cultura italiana, in particolare a Milano, risuona profondamente in me, ispirando il mio lavoro e arricchendo ogni giorno la mia visione artistica».
Ha da poco presentato la sua prima Stagione: quali sono le linee guida?
«Per questa prima Stagione, intendo creare esperienze musicali memorabili che possano entrare in connessione con il nostro pubblico. Il repertorio scelto è vario e abbraccia una selezione di capolavori senza tempo. Puntiamo a promuovere un forte legame tra l'orchestra e la comunità, creando momenti di dialogo. La collaborazione è fondamentale, e ho cercato di portare nuove voci e nuove prospettive per assicurare un certo grado di coinvolgimento alla programmazione».
Molti i musicisti internazionali: con quale criterio sono stati scelti?
«Per quanto riguarda gli interpreti, ho voluto portare a Milano i migliori talenti, artisti che possiedono non solo un’eccezionale padronanza tecnica, ma anche una capacità interpretativa davvero unica. Musicisti in grado di segnare le loro esibizioni con audacia e autenticità, disposti a sfidare le convenzioni e a elevare l'esperienza del concerto. La diversità riflette un mosaico di culture e visioni artistiche, creano un dialogo che trascende i confini e arricchisce la nostra narrazione musicale. L’obiettivo è quello di riuscire a creare uno spazio in cui tradizione e innovazione possano coesistere, ispirandosi a vicenda».
Il debutto nel ruolo di Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica di Milano avverrà al Teatro alla Scala il prossimo 15 settembre. Che significato ha per lei e che effetto le fa tornare su quel palco, ora nella veste di direttore?
«Tornare sul palco della Scala è per me un momento davvero emozionante. In questo teatro ho vissuto dei momenti importanti come violinista, che custodisco gelosamente. Salire sul podio come Direttore principale dell'Orchestra Sinfonica di Milano, in qualche modo chiude il cerchio del mio percorso musicale. Questo concerto apre un nuovo capitolo, che onora il mio passato guardando coraggiosamente al futuro. La Scala è più di un palcoscenico: è un simbolo di eccellenza. Debuttare qui come Direttore principale mi riempie di profonda gratitudine e determinazione».
Solitamente un musicista si dedica alla direzione dopo una lunga carriera da strumentista. Lei invece ha cominciato a dirigere nell'apice della sua carriera violinistica, a soli 25 anni: per quale ragione?
«Avverto la direzione come un'evoluzione naturale del mio percorso artistico. Non si tratta di abbandonare il violino, piuttosto di espandere la mia espressione musicale ad ampio raggio. L'orchestra è diventata un'estensione del mio strumento, un modo per esplorare il repertorio dall'interno, di plasmare la musica direttamente con le mie mani. Ho sentito un bisogno impellente di addentrarmi nel profondo della musica, di entrare in contatto con l'orchestra a un livello intimo, e di condividere questa connessione con il pubblico in un modo nuovo. Non si tratta solo di condurre, ma di partecipare alla creazione di qualcosa di più grande».
Quali obiettivi intende raggiungere a capo dell'Orchestra Sinfonica di Milano?
«La mia visione è quella di costruire un'eredità duratura di eccellenza artistica, di ispirare l'orchestra e il nostro pubblico attraverso una programmazione dinamica. Desidero alimentare un ambiente in cui la creatività fiorisca, in cui i musicisti si sentano autorizzati a correre rischi artistici, dove ogni esibizione non sia soltanto un concerto, ma un'esperienza nuova. Un’altra priorità è promuovere un forte legame tra l'orchestra e la comunità milanese. Non ci esibiamo solo per il pubblico, ci impegniamo nella creazione di un viaggio condiviso attraverso la musica».
Torna ad abbracciare il suo violino negli appuntamenti di musica da camera: in futuro potremmo vederla nella doppia veste di solista e direttore?
«Diciamo che l'idea ha un certo fascino. Dirigere e allo stesso tempo suonare come solista offre una visione davvero unica, capace di fondere due mondi a me molto cari. Ma credo anche che certi percorsi non debbano venire forzati. Come nella musica, il tempo è tutto, e preferisco lasciare che il momento giusto si riveli da solo. Chissà cosa riservirà il futuro».