Sandinista! 40 anni dopo

Compie quarant'anni Sandinista! dei Clash: qualche ricordo dalla Londra del 1980

Sandinista the clash 40 anni
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Compresso tra London Calling, l’album del riconoscimento universale da parte della critica, e Combat Rock, quello del successo commerciale dei Clash grazie ai singoli “Rock the Casbah” e “Should I Stay or should I Go?”, Sandinista! – continua a dividere gli ascoltatori, anche a causa del suo formato: tre album – proprio come i gruppi prog di cui il punk accelerò la dipartita – con tanta carne al fuoco e un suono che si discostava ulteriormente da quello delle origini. Occasione persa, tracimazione dell’ego dei quattro musicisti o ennesimo capolavoro? Quarant’anni dopo il monolite è ancora qui, con le sue trentasei tracce che, riascoltate, scatenano ricordi e riflessioni.

– Leggi anche: London Calling, un richiamo che dura da 40 anni 

Questo disco esce il 12 dicembre 1980 ma non lo compro subito: pochi giorni dopo sarò a Londra, dove il disco è venduto al prezzo politico di £ 3,29. Manca poco a Natale e dopo un viaggio eterno in treno e traghetto arrivo a Victoria Station: potete immaginare la sorpresa quando, una volta uscito, vedo i muri tappezzati di manifesti con i Clash davanti a un muro in mattoni e la scritta in rosso Sandinista!.

Sandinista

Bene, l’appuntamento è per la mattina seguente da Virgin in Oxford Street e poi via, verso un freddo squat di Hackney. Giusto il tempo per uno sguardo a The Armagideon Times no. 3, una sorta di fanzine che riporta tutti i testi scritti a mano, sorridere alla vista del numero di catalogo FSNL1 (Frente Sandinista de Liberación Nacional 1) ed ecco che arriva uno dei più grandi giri di basso della storia del rock sul quale Strummer racconta la storia di un poveraccio costretto ad alzarsi tutte le mattine per un lavoro di merda: «Sveglia, sono le sette! Datti una mossa, acqua fresca sulla faccia per tornare in quel posto orrendo». Rap, hip-hop beat, dub: i quasi sei minuti di “The Magnificent Seven” fanno capire da subito che questo non è un tipico album dei Clash e loro non sono più lo stesso gruppo che ha fatto una cover di un brano di Vince Taylor nel disco precedente.

Se London Calling era una manifestazione di forza e l’affermazione dello “stile Clash”, Sandinista! è un sonoro vaffanculo a quello stile, «ehi, guardatevi intorno, c’è tutto un mondo fuori», ancora una volta «come out of the cupboard, you boys and girls».

L’ambizione dichiarata di London Calling era quella di ripercorrere la storia – in larga parte americana – del rock’n’roll, mentre Sandinista! va oltre, vuole ritagliarsi un posto nella storia culturale del mondo.

«Quando cominciammo a registrare Sandinista! eravamo stati in tour in larghe porzioni del mondo e questo si riflette nei testi delle canzoni» – Topper Headon

«Penso che ciò che facemmo e vedemmo ci avesse cambiati: siamo andati in quei posti e abbiamo provato quelle cose, e tutto ciò ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo» – Mick Jones

Il gruppo ha terminato un massacrante tour europeo – con tappe italiane a Bologna e Torino – e americano, è a New York e invece di riposarsi vuole andare in studio di registrazione; dopo lunghe discussioni riesce a ottenere dalla CBS la possibilità di utilizzare per tre settimane l’Electric Ladyland.

Inizia un periodo frenetico, i quattro non lasciano lo studio neanche per andare al bar, Strummer dorme sotto un pianoforte, chi è a New York passa a trovarli e a dare il proprio contributo musicale. Molti brani sono composti seguendo l’ispirazione del momento, alcuni completi e altri solo abbozzati. Al termine delle tre settimane i brani sono trentasei, quasi due ore e mezza di musica: l’idea di pubblicare un singolo LP non viene neanche presa in esame. La proposta di pubblicare un triplo al prezzo di un singolo – come è facile immaginare – non entusiasma la CBS, che alla fine accetta in cambio della rinuncia alle royalty da parte dei quattro. «Se pensate con questa proposta di smascherare il nostro bluff, OK, lo faremo» è la risposta di Strummer.

In sei facciate il gruppo esplora ogni genere, dal pop in stile Motown di "Hitsville U.K." al gospel di "The Sound of Sinners," dal dub al reggae, dal funk grezzo al nascente hip-hop fino al rock grintoso, tutto trova il suo posto in questo lavoro. C’è ancora spazio per il suono più tradizionale dei Clash in pezzi  divenuti classici del loro repertorio dal vivo come "Somebody Got Murdered" e la cover di una canzone del 1967 degli Equals, "Police on My Back."

La sesta facciata è quella più strana e caotica: “Living in Fame” è dub psichedelico con la voce di Mikey Dread, “Silicone on Sapphire” è un remix in chiave dub di “Washington Bullets”, l’unica canzone del disco in cui compare la parola “sandinista” nonché prova generale per “Straight to Hell”, capolavoro presente nel successivo Combat Rock, “Version Pardner” è un remix ancora una volta in chiave dub di “Version Partner,” “Shepherds Delight” è un viaggio della mente strumentale e trova spazio anche una curiosa versione di un classico dal primo album del gruppo, “Career Opportunities”, cantato da dei bambini e che  all’epoca fu oggetto di critiche; riascoltata adesso suona premonitrice di un’epoca in cui le opportunità lavorative sono davvero scarse e magari quei bambini, che adesso avranno più o meno quarantacinque anni, si sentono offrire gli stessi lavori elencati nella canzone: preparare il tè alla BBC, poliziotto, autista di bus, barelliere del pronto soccorso o controllore sui mezzi pubblici.

Sandinista! è un disco lungo – alcuni potrebbero dire “troppo lungo” – che mette insieme molti generi – alcuni potrebbero dire “troppi generi” – ma è la fotografia di ciò che i Clash stavamo facendo in quel momento: l’esplorazione musicale e politica del mondo. Come già scritto, non è un tipico disco dei Clash ma è proprio questo il punto: se già prima erano atipici, con questo disco lo sono ancora di più. Col senno di poi bisogna riconoscere che questo triplo album segna la fine della solidarietà all’interno del gruppo: la forza (e che forza!) dei Clash sul palcoscenico ha come componente essenziale i cori all’unisono, quasi totalmente assenti nelle nuove canzoni, scritte più per lo studio che per il palco. Il segnale che qualcosa si è spezzato è racchiuso nel testo di “Kingston Advice”: «in questi giorni il beat è militante, bisogna essere un Clash, non ci sono alternative», ma poco dopo «in questi giorni non so cosa cantare, più ne so e meno la mia canzone riesce a suonare un buon ritmo».

Ve lo ricordate quel ragazzo di vent’anni che abbiamo lasciato mentre stava battendo i denti in uno squat di Hackney? Mi sembra giusto lasciare a lui il compito di chiudere quest’articolo, in fondo se l’è guadagnato: «in una palude devastata dalla guerra ferma un mercenario qualunque e cerca le pallottole britanniche nel suo arsenale. Cosa? Sandinista!». Speriamo che ci abbia dato dentro senza esagerare, che abbia continuato ad avanzare con passo leggero e che sia rimasto libero.

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