Ricordando Abbado

Roma: un convegno nel decennale della scomparsa

Dirigere il futuro
Dirigere il futuro
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classica

“Gli occhi che ridono”: questa suggestiva immagine suggerita da Andrea Zietzschmann, sovrintendente dei Berliner Philharmoniker, con i quali Claudio Abbado aveva intrecciato un legame di affinità elettiva, sintetizza in modo esemplare il lascito umano e artistico di un direttore visionario ma al tempo stesso concreto, operativo, generosamente impegnato a migliorare il presente per avviare la costruzione di un mondo più umano e sostenibile, da consegnare in eredità alle nuove generazioni.

Impressionano ancor oggi la vastità di intuizioni e la lungimiranza che hanno guidato il suo instancabile disseminare entusiasmo, la sua fiducia incrollabile nella potenza creatrice e trasformatrice dell’arte.

C’è ancora molto da scoprire sulla modernità di questo modo di concepire la funzione dell’interprete nella società e l’anniversario dei dieci anni dalla scomparsa offre lo spunto alle numerose iniziative volte a rendere omaggio al direttore milanese, suggerendo percorsi da esplorare e nuovi orizzonti da costruire grazie alla forza del suo esempio e al nostro impegno solidale.

Un’importante occasione per addentrarci nel suo mondo è stato il convegno “Dirigere il futuro. Claudio Abbado tra utopia e realtà”, organizzato in questi giorni dall'Accademia di S. Cecilia in collaborazione con la Fondazione Claudio Abbado al Parco della Musica di Roma, a conclusione di un progetto che, ricorda il Sovrintendente Dall’Ongaro, ha richiesto tre lunghi anni di lavoro, una  paziente tessitura e la realizzazione di quattro tavoli di confronto interdisciplinare, realizzati a porte chiuse lo scorso ottobre, dedicati ad alcuni temi chiave che hanno segnato la vita umana e artistica del direttore milanese (arte e ambiente; arte e cura; formazione musicale; costruire ponti).

Un percorso di ricerca variegato e complesso che a breve sarà accessibile anche al grande pubblico televisivo, come ha annunciato Francesca Nesler di Rai Cultura. Dopo gli spazi quotidiani di Rai – Radio 3, trasmessi dal 15 al 20 gennaio, Rai Cultura manderà infatti in onda a partire dal 15 febbraio, con cadenza settimanale, lo speciale “Abbado artista di progetto” (regia di Roberto Giannarelli e a cura di Francesca Nesler), in una serie di quattro puntate di 30 minuti l’una.

Brevi clip di questi video hanno interpuntato la varietà emozionante dei contributi proposti dal vivo in Sala Petrassi dai vari relatori, abilmente coordinati dal filosofo e conduttore radiofonico Pietro Del Soldà.

Da un lato si è posta in luce la ricerca approfondita che caratterizza l’eccellenza del lavoro musicale sulle partiture - testimonianze preziose che verranno interamente digitalizzate a Berlino entro il 2025, insieme al patrimonio inestimabile di informazioni racchiuso nelle numerose lettere scritte durante il corso della sua esistenza -; dall’altro, come ha sottolineato Daniele Abbado, si è richiamata l’importanza cruciale che hanno rivestito nella sua esistenza i principi dell’ascolto e del silenzio, idee che valicano il contesto strettamente musicale per porsi come fondamento di una comunità umana aperta al dialogo, al confronto, alla tensione dialettica e al rispetto dell’altro da sé. 

Non era un semplice performer, Abbado, ricorda Dall’Ongaro, ma soprattutto “un artista da progetto”, un uomo “attuale”, dotato della rara capacità di ridisegnare il futuro.

Aiuta a ricostruire l’ampiezza del suo profilo l’avvincente documentario “Claudio Abbado, Artista di progetto”, a cura di Daniele Abbado e Luca Scarzella, realizzato dallo Studio Vertov e prodotto dalla Fondazione Claudio Abbado.

La sua capacità di “pensare in grande” e di “volare con l’orchestra verso un altro livello di esistenza”, osserva Andrea Zietzschmann, erano inscindibilmente unite al coraggio nella ricerca dell’incognito e alla disponibilità all’esplorazione dell’incertezza, talenti indispensabili per aprire nuove avventure, ricorda Michael Haefliger, sovrintendente del Festival di Lucerna.

Vi è una sorta di leggerezza in questo abbandonarsi all’ignoto per potere “restituire” il tratto più inafferrabile dell’arte musicale, concepita da Abbado come un patrimonio ricevuto in dono e come tale da diffondere con generosità non solo nei teatri ma anche nei contesti più marginali, nei luoghi di degrado e sofferenza, oltre che nelle scuole, per educare le nuove generazioni. Angelo Foletto ha richiamato, a tale proposito, il rapporto di amicizia che legava il direttore a Luigi Berlinguer, presidente del comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica.

Maria Majno, presidente di Song, ha sottolineato la stima e l’aiuto concreto apportato dal musicista ad José Antonio Abreu, fondatore in Venezuela de El Sistema, progetto di educazione musicale ad accesso gratuito. Abreu era infatti convinto, come Abbado, che la bellezza estetica non andasse dissociata dalla morale e in questa “scuola di vita”, come la definisce Gustavo Dudamel, tra gli allievi prediletti del Maestro, come nel suo proporre la musica colta anche al pubblico meno alfabetizzato, non vi era celata alcuna sorta di razzismo: tutti infatti meritavano, per il Maestro, il massimo dall’arte, e non solo dalla musica, puntualizza il sociologo Luigi Manconi.

L’abilità nel costruire ponti tra le culture e tra le diverse discipline artistiche, per Thomas Angyan, Sovrintendente del Musikverein di Vienna, si intreccia al suo sostegno alle sperimentazioni   dell’arte contemporanea, attività che lo hanno reso un protagonista della storia della musica e dell’arte del ‘900. Ne sono testimonianza, tra le tante, le amicizie con Luigi Nono, Maurizio Pollini, Emilio Vedova e Massimo Cacciari. 

In chiunque lo abbia avvicinato è rimasto “un po’ di Claudio Abbado”, osserva Renzo Piano. Per lui la musica era infatti uno strumento di dialogo e speranza, in grado di alleviare le sofferenze psicologiche e fisiche.

Da questa profonda convinzione sorgono le collaborazioni con Dorella Scarponi, psicologa nel reparto di Oncologia ed Ematologia pediatrica del S.Orsola a Bologna.

Si viene così a ricostruire, poco per volta, il profilo di un utopista pragmatico, politicamente e socialmente impegnato ma senza arroccamenti ideologici, osserva la Nesler, un fondatore inesausto di orchestre giovanili, empatico verso le nuove generazioni che richiamava a una condivisione di responsabilità. “Dava lo spazio, non il tempo” e, insieme a questo spazio, “la libertà”, afferma la violinista Lorenza Borrani.

Per quest’uomo “tutto era possibile”, in virtù dell’impegno comune e del lavoro strenuo, racconta Massimo Teoldi, ed è forse questo ottimismo travolgente il segreto dell’energia che ancora oggi scaturisce dalle sue interpretazioni.

Era “sempre spostato verso qualcosa d’altro”, osserva Daniel Baremboim, e soprattutto sapeva ascoltare, Abbado, convinto, come Levinas, che l’epifania del volto umano costituisca “un varco nella crosta dell’essere”, una significazione di infinito, “un pensiero per”, capace di rispondere all’appello che silenziosamente ci viene rivolto. 

In un mondo che spesso si rivela incapace di chinarsi e accogliere la preziosità della differenza, la massima attenzione alla concertazione che il Maestro prodigava nella sua attività artistica diventa allora, secondo Antonio Pappano, la metafora di una predisposizione esistenziale, l’essenza stessa di una rara capacità di protendersi e proteggere la vertigine del tremore che l’umanità manifesta nelle condizioni di violenza e sofferenza.

Un esempio cui si è ispirato Nigel Osborne, compositore inglese tra gli ospiti dell’incontro romano, che ha lavorato in Libano, portando la musica ai bambini rifugiati siriani dei campi profughi, in Bosnia, alleviando i traumi delle donne vittime di violenza, e, più recentemente, in Ucraina, cercando di alleviare le tragedie vissute dagli orfani di guerra. 

Il suono ripara il tempo interiore violentato e insieme all’anima ricostruisce anche il corpo. 

Ne è convinto Ramzi Aburedwan, violinista e fondatore, a Ramallah, della Scuola di Musica Al Kamandjati (il violinista), autore de “Il potere della musica. Figli delle pietre in una terra difficile”. “La musica ha un ruolo da svolgere” e il violino può diventare un’arma per educare i bambini alla pace, una forma di resistenza e salvaguardia degli ideali di libertà e umanità, come si coglie dall’emozionante video girato nel 2012 al check point di Qalandia.

Anche un luogo di negazione della libertà come la prigione, allora, può diventare, grazie all’arte, un luogo di ripensamento dell’identità personale. Ne è convinto il fondatore della Compagnia della fortezza nel carcere di Volterra, Armando Punzo, il cui impegno per tessere i fili della speranza invocata da Ernst Bloch si tramuta in una preziosa possibilità di reinventarci, di essere altro da ciò che siamo, immaginando e lavorando per ciò che sta davanti a noi.

Il volto sociale e politico di Abbado, cui ha richiamato nel suo intervento introduttivo Sandro Cappelletto, si screzia così nei rivoli di queste tante storie umane incrinando i fantasmi adorniani del direttore Führer per restituire invece lo spirito profondo di un interprete che si fa strumento di coesione e dialogo tra la musica, il tempo storico e il contesto politico e civile delle nazioni.

Ne scaturisce un modello diverso di trasmissione del sapere, capace di “spezzare il pane della conoscenza”, cui si richiamano anche le scuole Penny Wirton fondate da Eraldo Affinati e Anna Luce Lenzi. Strutture, ricorda Affinati, ove l’insegnamento viene elargito gratuitamente agli immigrati i quali, senza la padronanza della lingua, rimarrebbero altrimenti degli “invalidi spirituali”.

Ma Abbado era anche consapevole, come Goethe, che l’uomo non può scindersi dallo spazio naturale che lo circonda, e questa convinzione ispira il suo impegno per la salvaguardia dell’ambiente.

Marco Motta, di Radio 3 Scienza, ha richiamato, a tale proposito, le prese di posizione del Maestro  in Sardegna, contro la speculazione edilizia, e la richiesta di piantare novantamila alberi in centro a Milano come cachet per il suo concerto alla Scala. “Abbado sarebbe stato un sostenitore appassionato delle comunità energetiche”, suggerisce Motta, “e con il suo esempio ha contribuito all’idea di una transizione ecologica socialmente desiderabile teorizzata da Alexander Langer". L’invito a entrare nel ritmo e nella temporalità della natura per espandere il nostro immaginario rende possibili i progetti di Giacomo D’Amelio in Puglia e di Giacomo Bianchi con Arte Sella in Trentino: un passo dopo l’altro scopriamo quanto il turbine innescato da Abbado abbia saputo attrarre e incoraggiare le esperienze più diverse che in lui trovano, direttamente o indirettamente, un mentore e una fonte di ispirazione, dimostrando come la musica possa davvero diventare, suggerisce Pietro del Soldà, “un linguaggio capace di sciogliere le incrostazioni del nostro pensiero per potere recuperare il dialogo e la capacità di andare verso l’altro”. 

Tutto ciò avviene attraverso l’irradiazione che promana dal nucleo originario dell’esperienza abbadiana, ovvero il rapporto intenso e profondo con l’opera musicale in grado di non fissare l’interpretazione in schemi rigidi ma di mantenersi sempre mobile, come un work in progress., aperta al diverso, all’incontro, allo scambio, alla creazione che si realizza insieme. 

Non era mai appagato, Abbado, non si smarriva nell’istante e non si lasciava mai vincere dagli ostacoli e dalle delusioni. 

Questa sua perseveranza, richiamata con forza da Cappelletto, racchiude in sintesi il lascito autentico di un artista che ci invita ad avere sempre gli “occhi che ridono”, a non avere paura di ricevere e di contribuire a nostra volta al cambiamento del mondo, facendo cadere i muri che ci separano per potere lavorare insieme nel presente in direzione futuro.

 

 

 

 

 

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