Caso vuole che in simultanea escano i nuovi lavori di due attrazioni in cartellone nella prossima edizione di C2C: Jenny Hval (Iris Silver Mist, 4AD) e Model/Actriz (Pirouette, True Panther Sounds).
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Se lo show in programma giovedì 30 ottobre alle OGR segna il debutto all’evento torinese dell’eclettica artista norvegese, per lo spigoloso quartetto statunitense – che nel medesimo luogo si esibì nel 2013 – si tratta di un ritorno avvalorato dalla promozione al clou del sabato notte al Lingotto.
Le analogie finiscono qui, siccome siamo ai poli opposti dello spettro musicale: indice di quanto ampio sia il ventaglio di contenuti offerto dal festival. Il canone “avant pop” che lo contraddistingue aderisce perfettamente al profilo di Hval, esposto una volta ancora in Iris Silver Mist: intitolato a una fragranza da profumeria ma derivato dalla performance I Want to Be a Machine, della quale è stata protagonista lo scorso anno, presentando in anticipo molti brani rintracciabili ora su disco.

Fonte d’ispirazione, in tale circostanza, era Die Hamletmaschine: pièce di teatro sperimentale firmata nel 1977 da Heiner Müller rivisitando l’Amleto di Shakespeare attraverso il prisma della DDR. Al drammaturgo tedesco è dedicato esplicitamente un breve interludio che rimarca l’accento letterario tipico dell’autrice, anche romanziera, evidente già nella citazione del celebre poema di Gertrude Stein “Sacred Emily” – “Una rosa è una rosa è una rosa…” – immersa nel languore raffinato di “To Be a Rose”.
Quella canzone racchiude una prima evocazione del palcoscenico, che “sta cadendo letteralmente a pezzi”, mentre in “The Gift” – accattivante apice pop della raccolta – “è stato smontato e rimosso, gli strumenti impacchettati, le luci di scena spente”, nella rarefazione ambient di “A Ballad” fa da sfondo a un dilemma esistenziale (“Non so perché sono qui, voglio dire sul palco”) e in “The Artist Is Absent” è “senza spettacolo, una silhouette sfocata intorno a uno spazio vuoto, un club senza club”.
Benché appesantito in termini narrativi da un eccesso di autoreferenzialità, Iris Silver Mist è prova ulteriore del talento singolare di Jenny Hval: “Mi esibisco alla velocità della luce, più rapida di quanto l’Auto-Tune possa leggere e trasformare una nota, più veloce di quanto un microfono possa captare qualsiasi suono”, canta in “All Night Long”, descrivendo sé stessa.

Di gran lunga più irruente e carnale è l’idea di teatralità espressa da Cole Haden, cantante e punto focale dei Model/Actriz: “Arrogante ma genuino”, si definisce in “Vespers”, ansiogena ouverture di Pirouette. Dal vivo fa l’effetto di un Freddie Mercury preso in ostaggio dagli Shellac: sensazione replicata in questa occasione nel congegno post punk ad aria compressa azionato in “Doves”, episodio in cui la melodia vocale asseconda i movimenti elencati nel testo – “Piroetto, mi metto in posa e m’inchino” – per culminare poi in sfacciati gorgheggi in falsetto.
La scorza sonora della band rimane scabrosa, dalla vibrazione “industriale” di “Poppy” al rumorismo atonale di “Ring Road”, eppure al centro della sequenza troviamo “Acid Rain”: ballata sorretta da una fragile ossatura di chitarra acustica, durante la quale Haden osserva “un altro colibrì andarsene”, riconoscendo “la bellezza nella fragilità”. Del resto, stando ai versi di “Diva”, risucchiato nel gorgo di un oscuro groove funk afferma di sentirsi “intrappolato nel corpo di una diva dell’opera”.
Dichiaratamente “queer” in un habitat musicale ad alto tasso di testosterone, confessa in “Cinderella” di aver provato all’età di cinque anni “il desiderio di avere una festa da Cenerentola”.
Meno cervellotico e claustrofobico del precedente Dogsbody, il secondo album targato Model/Actriz è stuzzicante premessa di concerti ad alta tensione.