Jazz nei Licei: nessuna soluzione e guerra tra poveri

Il Coordinamento nazionale per il ripristino dei corsi jazz nei licei musicali contro l'«incompetenza» del Ministro Bussetti

Allievi del Liceo Musicale Lucio Dalla di Bologna
Allievi del Liceo Musicale Lucio Dalla di Bologna (Foto dal sito del Liceo)
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Una delle conseguenze positive della riforma Gelmini (tra le non molte, in verità) era stata l’apertura all’insegnamento del jazz nei martoriatissimi Licei musicali. La novità, però, si è arenata quasi subito nelle secche della burocrazia e dei decreti: con la Buona Scuola, la nuova semplificazione delle discipline “lascia fuori” il jazz, scatenando – come è prevedibile – una piccola grande confusione nei licei musicali (sono circa 150 in Italia).

I docenti che posseggono un Diploma accademico nelle materie jazzistiche sono esclusi dalle graduatorie d’istituto, e – semplicemente – lasciati a casa. Gli studenti che avevano scelto di studiare jazz si ritrovano costretti a passare su un curriculum classico. Le classi esistenti o vengono eliminate – come hanno fatto molti presidi – o vanno in esaurimento.

Nelle scorse settimane, circa un migliaio di docenti e musicisti hanno sottoscritto un appello per “salvare il jazz” nei Licei – appello che, a giudicare dalle risposte date dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Marco Bussetti nel corso del question time al Senato del 17 gennaio, è rimasto inascoltato, lasciando più che aperta la questione. A oggi, non sono state proposte né soluzioni immediate per tutti quei docenti e allievi "cancellati" nelle zone grigie dei decreti, né si intravede una linea di possibile soluzione a lungo termine.

Si dice «profondamente deluso», infatti, il Coordinamento nazionale per il ripristino dei corsi jazz nei licei musicali. Attraverso la sua pagina Facebook, il Coordinamento accusa il Ministro di «grande incompetenza in materia», dal momento che sarebbe partito, nelle sue risposte, «dal presupposto che il jazz sia un percorso specialistico e che al liceo si insegnino gli strumenti nella loro genericità». 

Il Ministro avrebbe infatti affermato, come riportato dal sito Orizzonte Scuola, che «l’ordinamento dei licei musicali non prevede sezioni o corsi di musica jazz, in quanto la preparazione degli studenti non può riguardare una sola tecnica musicale»; dunque – secondo il Coordinamento – ledendo «la dignità di entrambi gli insegnamenti», quelli classici e quelli jazz, «con conseguenze irreparabili sulla qualità dei percorsi e sulla formazione degli studenti italiani (coloro che pagheranno il prezzo maggiore)».

«Per fare un paragone – continua il Coordinamento – è come se Bussetti avesse proposto di accorpare tutti gli insegnanti di lingue insieme nella stessa classe di concorso a prescindere che insegnino inglese o francese... Un’unica classe di concorso denominata "Lingue” […] Ve lo immaginate un cantante jazz che deve essere valutato per come canta un'aria d'opera?».

In conclusione, «il Ministro, confermando la sua desolante ignoranza in materia ,e mescola tutti i docenti nella stessa classe di concorso. Dunque, abbiamo capito che il prossimo anno scolastico, i ragazzi non potranno, per la seconda volta, iscriversi agli strumenti jazz». 

Dal Ministro arriva la promessa che «attenzionerà la questione degli strumenti jazz», in virtù dell’importanza di «fenomeni musicali come il jazz», ma il Coordinamento si dice convinto che si tratti di una «promessa di Pulcinella». Si tratta di una scelta che avrà come conseguenza più immediata la riduzione degli iscritti ai corsi di jazz in Conservatorio, in quanto «solo chi potrà permettersi un insegnante privato potrà avere la preparazione adeguata per accedere all'esame di ammissione».

La questione, più in generale, riguarda tanto le specificità del linguaggio del jazz – che il Ministro di fatto riduce a una questione di repertorio – quanto una incoerente distinzione tra diplomi Afam in discipline “classiche” e “jazz”: «I diplomati classici potranno insegnare in molti ordini e gradi della scuola, mentre i jazzisti solo al Conservatorio dove per altro non serve una laurea per insegnare, ma altri parametri come i titoli artistici».

In conclusione, tra i docenti di musica si prospetta un’altra «guerra tra poveri», non certo la prima nella storia recente della scuola italiana. Né, all'orizzonte, sembra intravedersi una soluzione.

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