Il Teatro di Cagliari va Oltre

Intervista al sovrintendente Andrea Cigni

LS

10 novembre 2025 • 6 minuti di lettura

Andrea Cigni (Foto Francesca Faelutti)
Andrea Cigni (Foto Francesca Faelutti)

Il 25 giugno 2025 Andrea Cigni è subentrato a Nicola Colabianchi come Sovrintendente del Teatro Lirico di Cagliari. Formatosi al DAMS di Bologna e con un ricco curriculum di regista all’attivo, Cigni ha recentemente ricoperto a Cremona il ruolo di Direttore del Conservatorio Claudio Monteverdi (2015-2018) e di Sovrintendente e Direttore artistico del Teatro Amilcare Ponchielli (2021-2025), dove ha curato anche la programmazione del Monteverdi Festival. Lo abbiamo incontrato per parlarci dei progetti in corso al Teatro Lirico di Cagliari.

Che situazione ha trovato al momento dell’arrivo al Teatro Lirico di Cagliari? 

Ho trovato un teatro con una storia importante e preziosa, ricca di qualità, progetti bellissimi e grandi artisti che hanno attraversato un luogo dalla memoria tuttora viva. Al contempo, ho trovato una struttura e delle persone desiderose di rilanciare la propria immagine. Siamo partiti da questo per costruire le basi di un futuro che, speriamo, possa essere ancora più bello. A mio avviso, occorreva lavorare sull’idea di un teatro che fosse da un lato presente e radicato nella comunità locale, e dall’altro proiettato verso l’esterno, o in altre parole che non fosse soltanto patrimonio della città di Cagliari o della Regione Sardegna, ma di tutto il mondo.

Il nuovo brand «Sardinia Opera» va in questa direzione? 

Sì, il rebranding del Teatro in «Sardinia Opera» è fondamentale, perché ci proietta in una dimensione che non è solo localistica. «Sardinia» è un termine internazionale potentissimo, conosciuto in tutto il mondo. Lo si trova ovunque: «Sardinia Tour», «Sardinia Experience», «Sardinia Restaurant»... Lo stesso vale per la parola «Opera», popolare come «pizza» e come «pizza» senza traduzione. Unire i due termini ci permette di avere visibilità e riconoscibilità nel mondo. 

Per quanto riguarda la prospettiva locale, che progetti state portando avanti?

Il nostro è uno dei pochi teatri che ha un’attività di diffusione – o decentramento – di spettacoli dal capoluogo alla regione. Gli obiettivi sono la divulgazione, la formazione e la promozione di quella cultura musicale che rappresentiamo come teatro d’opera, senza tralasciare la componente dell’intrattenimento. Vogliamo organizzare una serie di esperienze che permettano alla cultura lirico-sinfonica di unirsi alla cultura del nostro territorio in quegli spazi che normalmente non sono deputati allo spettacolo, come siti archeologici, borghi, città, spazi naturali e tutti i luoghi che raccontano le tradizioni del popolo sardo.

Come sta andando la rassegna di concerti Rotte Sonore?

Rotte Sonore è un esperimento che abbiamo fatto in attesa di arrivare alla stagione Oltre, che inizierà a dicembre. Non potevamo star fermi per tutti questi mesi: dovevamo fare qualcosa, stare in compagnia del pubblico. Questo “qualcosa” si è tradotto in una serie di concerti al Teatro Carmen Melis. L’esito è stato positivo, in alcuni casi persino dirompente, come il concerto Songs of a Better World, con Alberto Maniaci e Daria Biancardi, dove pubblico e artisti ballavano e cantavano insieme. Tanto per dimostrare che la musica non è soltanto quella sinfonica, classica, colta: ha contaminazioni, interazioni, multidisciplinarietà di linguaggi, e a questo noi vogliamo dare attenzione. Vorremmo replicare «Rotte Sonore» in estate, visto il successo che ha avuto questo primo tentativo di metterci in relazione con il nostro pubblico.

Anche la comunicazione ha una veste nuova. Ora l’estetica è sulla scia di quanto fatto, con successo, a Bergamo con il Donizetti Opera Festival, a Parma con il Festival Verdi, o che lei stesso ha fatto a Cremona con il Monteverdi Festival.

Esatto, è un’estetica che permette di veicolare due concetti fondamentali: primo, che siamo vivi e vitali; secondo, che abbiamo un patrimonio anch’esso vivo e vitale, sempre contemporaneo. Perciò abbiamo usato immagini forti e colori accesi, che riportano all’attualità e ci raccontano in termini di vitalità. Altrimenti i teatri sembrerebbero dei musei chiusi in loro stessi, e non lo sono: sono spazi aperti, spazi di confronto, trasparenti e aperti a tutti. Sono i luoghi del nostro vivere contemporaneo, i luoghi più «social» che si conoscano, perché in teatro puoi incontrare persone e condividere esperienze.

Cosa indica il titolo della stagione, Oltre?

Vuol dire che andiamo oltre rispetto al passato e cerchiamo di vedere più in là di quello che stiamo vedendo qui e ora. Il sottotitolo, Il teatro (si) trasforma, indica che il teatro trasforma se stesso, ma anche le comunità dentro alle quali si inserisce. In quest’ottica, l’istituzione teatrale ha il compito preciso di essere alla portata di tutti. È un patrimonio sociale ed è un servizio, come l’acqua potabile: quando apri il rubinetto ci dev’essere e devi poterla utilizzare facilmente. 

A questo proposito, come sono le politiche di prezzo?

Un nostro punto di forza è di essere uno dei teatri meno cari del mondo. Pensando il teatro come servizio pubblico, ci teniamo a mantenere i prezzi bassi e accessibili, benché l’opera sia uno spettacolo in sé costoso: tra scene, costumi, orchestra, coro, voci bianche, figuranti, attrezzisti, macchinisti, elettricisti, sarti, truccatori, parrucchieri e molte altre figure professionali, abbiamo un mondo dei cui costi chi vede il prodotto finito tende a non rendersi conto. Naturalmente sono costi calmierati da contributi pubblici, il che ci permette di sostenere una policy di prezzi ancora molto bassa. 300 euro per un abbonamento che copre sette titoli d’opera, al turno della prima e nei posti migliori, è davvero una cifra competitiva in confronto agli altri teatri nazionali. Attraverso l’acquisto del biglietto, il pubblico poi contribuisce a sostenere quei costi che permettono l’accessibilità. Ognuno dà il suo: dal costo massimo di 300 euro per un abbonamento si arriva al minimo di 15 euro per un singolo biglietto. I giovani poi hanno ulteriori sconti. Insomma, la nostra è una policy di grande disponibilità verso il pubblico. 

Quali sono i rapporti con gli altri enti che offrono spettacoli lirici in Sardegna?

Personalmente ho un ottimo rapporto con l’Ente de Carolis di Sassari, dove ho anche curato la regia di alcune opere. Abbiamo però un ruolo diverso: noi siamo una delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche italiane e come tale abbiamo per statuto il compito di diffondere la cultura musicale operistica e di formare i complessi artistici. Viceversa, i teatri di tradizione, come l’Ente de Carolis o anche il Teatro Ponchielli di Cremona, da dove sono arrivato, diffondono più capillarmente le loro produzioni musicali nel territorio. La Sardinia Opera, avendo un’orchestra e un coro stabili, può garantire un’offerta alla regione nel corso di tutto l’anno, cosa che i teatri di tradizione non possono fare. La diversità dei ruoli però non esclude collaborazioni. Potremmo fare un concerto a Sassari con la nostra orchestra, ad esempio: perché no? Sarebbe una bella iniziativa.

Per quanto riguarda la visibilità nazionale e internazionale?

Abbiamo dei progetti in corso con la Regione per raccontare la Sardegna attraverso le sue eccellenze, di cui anche il Teatro Lirico fa parte; quindi, nel nostro caso, per raccontare il nostro saper fare musica al resto del mondo. Penso in particolare ai paesi orientali, ma anche al resto d’Europa. Abbiamo uno sguardo verso l’esterno e al contempo siamo aperti a ospitare altre realtà che possono venire in Sardegna a raccontarsi. L’importante è che ci sia scambio tra culture. Da questo punto di vista, siamo avvantaggiati dalla posizione geografica di Cagliari nella culla del Mediterraneo, storicamente un crocevia ideale di linguaggi, culture e contaminazioni.

C’è qualcosa che tiene a dire in chiusura?

Mi piacerebbe semplicemente riportare l’attenzione sul tema del teatro per tutti: non siamo un prodotto elitario, non siamo un prodotto inaccessibile, non siamo un fortino che dice «venite a me». Il teatro deve recuperare la sua dimensione popolare, perché l’opera e la musica sono un prodotto popolare, raccontano quello che siamo, nonostante vengano percepiti a torto come qualcosa di inaccessibile. Dobbiamo essere un teatro per tutti, comprese le persone più fragili, e portare avanti la nostra tradizione melodrammatica pensandola come un servizio per tutti gli utenti, spero numerosissimi, che sceglieranno l’offerta del nostro teatro.