Il punto sul pop italiano 2023 (#1)

Il meglio delle novità italiane del primo semestre 2023, da Madame ai Fiumi

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Con colpevole ritardo torna, a grande richiesta, la rubrica che segnala, a insindacabile giudizio di chi scrive, le migliori uscite italiane degli ultimi mesi.

– Leggi anche: Un autunno italiano / parte prima: Sperimentatori

– Leggi anche: Un autunno italiano / parte seconda: Pop

Visto che il programma a questo giro è particolarmente denso, poiché copre un periodo di sei mesi, saltiamo i preamboli e iniziamo subito con le segnalazioni.

Non saremo particolarmente originali, ma è difficile aprire questa rassegna senza citare in primis il disco di Madame, uno dei più chiacchierati dell’anno. L’amore, il secondo album per la giovane cantautrice, la conferma come uno dei personaggi più originali e moderni del panorama nazionale.

La cosa più difficile da credere è che Madame riesca a mettere d’accordo sia la generazione dei giovanissimi, che sono suoi coetanei, che quella nostalgica del cantautorato tradizionale, che le ha addirittura fatto vincere una Targa Tenco come migliore esordio due anni fa.

Tanto più che la sua musica non è un frullato ecumenico fatto per accontentare tutti, ma mantiene una precisa identità pur accostando elementi all’apparenza antitetici: elettronica e autotune da una parte, intimismo cantautorale dall’altra, niente più rap ma una spruzzata di funk qui e là: di fatto, Madame è in qualche modo la versione femminile di Venerus.

Quel che impressiona è che l’insieme mostra un equilibrio assolutamente credibile; certo, i testi sono ancora estremamente spontanei e la scelta di un registro molto esplicito ne ridimensiona forse la poetica, ma per crescere c’è tempo. Tutta una vita, in realtà.

Per provocazione, passiamo dagli streaming da un milione di passaggi al mese di Madame a quelli di un artista che ne farà se va bene qualche centinaio: Deian, che magari qualcuno ricorderà per aver fatto parte di una generazione di cantautori “strani” che a inizio secolo sembrava dovesse fare sfracelli ma non ha mantenuto le promesse.

A dirla tutta, a nostro parere Deian suona decisamente meglio ora di vent’anni fa: nel nuovo disco Figure le canzoni sono più mature, hanno un mood classico ma non sono affatto nostalgiche, sono piene di idee brillanti sia nelle melodie che negli arrangiamenti, e il valore aggiunto è quel profumo di psichedelia alla Syd Barrett (un eroe dichiarato dell’autore) che le stranisce quanto basta senza che ne perda l’ascoltabilità.

Ora: pur essendo prodotte molto più artigianalmente e non avendo suoni modaioli, c’è da chiedersi: davvero il livello qualitativo è di qualche ordine di grandezza inferiore a quello di Madame? Ovviamente no. Per dire di come il mercato discografico sia oggi completamente fuori controllo.

Ma chi se ne frega, dopo tutto. Se comunque riusciamo a sentire prodotti di nicchia di popolarità modesta ma di grande fascino: è il caso, ad esempio, di Suono in un tempo trasfigurato, album che esce a nome Bono/Burattini.

Vittoria Burattini è un nome ben noto a chi segue l’indie italiano in quanto batterista storica dei Massimo Volume; Francesca Bono invece è conosciuta per essere la cantante degli Ofeliadorme, band il cui nome non vi dirà molto ma è invece una bellissima realtà dell’underground bolognese. La sfida di questo disco è stata quella di comporre poco più di mezz’ora di musica con il solo sound della tastiera Juno 60, suonata da Francesca, e delle percussioni di Vittoria.

Esito strano e sfuggente, a metà tra l’elettronica analogica degli anni Settanta e certe atmosfere della prima ambient; ma sicuramente qualcosa di originale, di grande impatto evocativo e dal forte potere onirico.

Francesca Bono si è vista recentemente anche come musicista aggiunta della band che accompagnava Emidio Clementi e Corrado Nuccini nel tour promozionale dell’ultimo album, Motel Chronicles.

Un album che non rivoluziona lo stile di Mimì: testi declamati col suo classico andamento, che col tempo si è fatto meno enfatico ma anche più espressivo, e basi che spaziano da un minimalismo elettronico essenziale ad atmosfere molto più ricche, sconfinanti in un mood orchestrale non lontano da quello di Serge Gainsbourg.

I testi, tratti dall’opera di Sam Shepard, che raccontano della desolazione di un’America rurale e desertica tanto nel paesaggio quanto nelle emozioni, sono ideali per la voce di Clementi, tanto che questo album risulta essere il migliore della trilogia che comprendeva anche Notturno americano e I quattro quartetti. Dosatissimo, elegante e perfettamente funzionale il lavoro di Nuccini sulle basi, per un disco che senza essere così innovativo, e sicuramente non “alla moda”, risulta però di qualità davvero impeccabile.

Ma volete qualcosa più in linea coi trend imperanti? Che ne dite di una puntata nel famigerato revival post punk? Perché un buon esempio in quel filone ci sarebbe: si chiamano CRM, sono al secondo disco (si chiama My Lunch), e hanno tutte le caratteristiche per contribuire come tanti altri alla glorificazione di quel periodo: melodie nervose e ben nascoste, elettronica insinuante, basso pulsante spesso in primo piano, chitarre aggressive quanto basta…

Il risultato è uno stranissimo ibrido che cerca un punto di confluenza tra Wire, Jane’s Addiction e Cabaret Voltaire. Intendiamoci: questa band non ha nessuna possibilità di rivaleggiare con l’immediatezza chitarristica di Idles o Fontaines DC; al limite può collocarsi sullo stesso piano delle stramberie degli Squid. Ma proprio per quello ha un’originalità fuori dal comune, e per un gruppo italiano è una qualità inconsueta che va giustamente valorizzata. Ascolto non immediato, ma molte belle sorprese in prospettiva.

Se volete, sempre in ambito rock, qualcosa di più lineare e accessibile, potete dare un ascolto all’omonimo esordio de I Fiumi. Sulla carta la band è molto intrigante, poiché è composta da nomi che singolarmente hanno tutti un background di tutto rispetto: Sarah Stride, Xabier Iriondo, Andrea Lombardini e Diego Galeri.

L’esito tuttavia lascia un po’ la sensazione di un’occasione parzialmente mancata: ci sono riff incisivi, testi interessanti e la sezione ritmica è impeccabile. Peccato che non ci sia un maggiore atteggiamento di ricerca, che l’accento sia messo quasi solo sulla potenza espressiva e non sulla sperimentazione sonora; se fosse stato un po’ più avventuroso, I Fiumi avrebbe lasciato un segno più marcato, invece di apparire semplicemente come un onesto disco di rock italiano.

Rivedibili (presumibilmente dal vivo faranno sfracelli), ma in Italia, onestamente, in questo periodo abbiamo sentito cose migliori. Ne presenteremo alcune altre a breve, nella seconda puntata di questa rassegna…

 

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