Il jazz va a scuola, finalmente

Un'associazione per promuovere il linguaggio delle musiche improvvisate a bambini e ragazzi: parla Ada Montellanico, presidente di Il Jazz va a scuola

Il jazz va a scuola
Il Jazz va a scuola: foto di gruppo dell'associazione
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 Nel recente e benvenuto percorso di strutturazione strategica dei mondi del jazz in Italia (gli ultimi anni hanno visto le azioni di associazionismo e federazione delle varie componenti premiate – pur con molta strada ancora da fare – da una maggior consapevolezza istituzionale), nel febbraio 2019 si è costituita l’associazione Il Jazz va a scuola, che si pone la finalità di promuovere, sviluppare, diffondere e valorizzare nella scuola il linguaggio del jazz, le pratiche dell’improvvisazione e dell’invenzione musicale.

Il Jazz va a scuola si pone la finalità di promuovere, sviluppare, diffondere e valorizzare nella scuola il linguaggio del jazz, le pratiche dell’improvvisazione e dell’invenzione musicale.

L’attenzione al mondo dell’infanzia e della scuola, momento fertile e fondamentale per lo sviluppo di interesse e partecipazione è particolarmente sentita in tutta Europa e il raccordo delle esperienze è un importante momento, come ci racconta la presidente di Il Jazz va a scuola, la cantante Ada Montellanico, in questa intervista.

Inizierei questa breve chiacchierata domandandoti un rapido bilancio di questo primo anno de Il Jazz va a scuola. Quali sono stati i principali obiettivi e le principali azioni su cui l’associazione ha lavorato?

«Direi un bilancio ottimo. Appena si è costituita l’associazione la reazione a livello nazionale è stata inaspettata, con interesse, grandissima curiosità e molte proposte di collaborazione. Siamo consci di esserci posti traguardi ambiziosi, ma a noi piace la sfida. Uno dei nostri principali obiettivi è mettere in rete le varie esperienze esistenti sul territorio, stimolando attività anche nei luoghi in cui non sono presenti iniziative per i bambini legate al jazz come scuole, festival o jazz club». 

«L’altro è provare a costruire un nuovo paradigma che dovrebbe nascere dal confronto tra le varie componenti di Il Jazz va a scuola, quella legata a didatti, pedagogisti e quella più espressamente jazzistica dei musicisti che da anni svolgono laboratori musicali: creare una strada nuova che raccolga e unisca le varie esperienze e i vari metodi».

Posto che le carenze del sistema scolastico italiano in ambito di educazione musicale tout court sono evidenti e note, con quali strumenti le azioni de Il Jazz va a scuola prova a stimolare ragazze e ragazzi verso i linguaggi del jazz e dell’improvvisazione?

«Il jazz oltre a essere un linguaggio, è una scuola di vita e una scuola di pensiero, un particolare rapporto con la musica. L’improvvisazione, l’interplay, l’ ascolto, l’immediatezza nel raccogliere e reagire allo stimolo dell’altro (principali caratteristiche del jazz) sono prerogative molto presenti nei bambini. Giocare con i suoni stimola la creatività e lascia loro liberi di esprimere ciò che hanno dentro, la loro fantasia».

«L’improvvisazione, l’interplay, l’ ascolto, l’immediatezza nel raccogliere e reagire allo stimolo dell’altro (principali caratteristiche del jazz) sono prerogative molto presenti nei bambini».

«E poi c’è l’esperienza di suonare in gruppo che è estremamente formativa, per non parlare del fatto che anche attraverso il racconto delle storie dei grandi del jazz, essendo questa una musica che nasce nell’incontro tra culture diverse, passano concetti importanti come integrazione, uguaglianza tra gli esseri umani, accettazione del diverso». 

«Ho assistito a laboratori molto emozionanti che mi hanno commosso per la loro intensità. I bambini sono prodigiosi e poetici, dovremmo tutti ritrovare quella dimensione di stupore, spontaneità e curiosità che purtroppo crescendo tendiamo a perdere. I veri docenti sono loro».

Il tema del jazz nel periodo formativo di un individuo è molto sentito anche a livello europeo. Per esempio Europe Jazz Network sostiene le attività di Jazz For Young People. Come procede il dialogo con le migliori pratiche internazionali sull’argomento e quali le principali differenze?

«Ci siamo affacciati da pochi mesi sul panorama nazionale, ma la curiosità su ciò che succede all’ estero è molta. Attraverso l’associazione dei festival I-Jazz stiamo provando a trovare delle possibilità di scambio su metodi e pratiche proprio all’interno del network EJN. Sappiamo perfettamente che anche sulla didattica siamo molto distanti dagli standard europei, ma solo per ciò che concerne l’attenzione delle istituzioni a questo tema, non sulla validità o innovatività dei metodi e del pensiero che li sottende». 

«Sappiamo quanto poco in Italia si investa sull’istruzione a causa di una miopia istituzionale: la musica in questo ambito dovrebbe avere lo stesso posto e importanza della studio della storia o dell’italiano».

«Sappiamo quanto poco in Italia si investa sull’istruzione a causa di una miopia istituzionale che dovrebbe invece mettere al primo posto questa voce nelle leggi di bilancio, perché è da lì che proviene la crescita culturale e sociale, e la musica in questo ambito dovrebbe avere lo stesso posto e importanza della studio della storia o dell’italiano. Discorso ampio e complesso da affrontare in altra sede, ma su questi problemi si basa il gap con le altre nazioni». 

«Per tornare a noi, mi è capitato di vedere alcuni filmati di laboratori del nord europea o della Francia, ma immagino ci siano altre e differenti realtà. Molto interessanti sotto vari profili, ma la cosa che mi ha colpito di più è che i bambini erano spettatori del laboratorio, interagivano ma non direttamente. Per noi il bambino è al centro dell’esperienza, è lui il vero protagonista. Sarebbe molto interessante aprire un confronto e sicuramente nella nostra prossima assemblea inviteremo qualche musicista didatta estero».

Si parla spesso di difficoltà nel ricambio generazionale del pubblico del jazz. Certamente abituare sin dalla scuola i ragazzi a familiarizzare con queste pratiche e linguaggi è un indispensabile punto di partenza, ma in che modo le azioni di Il Jazz va a scuola provano a riflettere anche sulla futura fruizione del jazz da parte di questo potenziale pubblico che, crescendo in un contesto socio culturale profondamente influenzato dalla digitalità, con più fatica potrebbero avere voglia di accedere a ritualità distanti tra loro come quella del “concerto”?

«Tutto molto vero, ma non ci dimentichiamo che coinvolgere i bambini significa coinvolgere i genitori. In molte attività soprattutto con i più piccoli viene espressamente richiesto l’obbligo a partecipare del genitore, che io allargherei anche ai più grandi. Questo è molto importante se pensiamo anche che per quanto il jazz sia sempre più conosciuto e apprezzato, accade che per la nostra assenza sulla stampa e sui media molte persone abbiano una scarsa conoscenza di questo linguaggio, se non addirittura una percezione distorta. Quando accade che per un motivo qualsiasi ne vengono a contatto può capitare, come succede spesso, che ne rimangano affascinati e colpiti positivamente».

«Per tornare al problema della digitalità, non possiamo fermare la storia ma dobbiamo poter incidere sul processo socio-culturale stimolando come dicevo prima l’interesse dei ragazzi alla musica, che deve essere sentita come cosa viva, come espressione personale in rapporto con gli altri. Questo non significa che poi questi bambini diventeranno musicisti ma saranno di certo sensibili a questa arte e ne potranno essere appassionati fruitori. Il palco deve essere per loro un luogo “amico”, un luogo familiare, come il jazz club o il festival. In questo senso una delle nostre principali attività è mettere in connessione le scuole con i jazz festival o i jazz club del territorio, sia per creare delle attività musicali in collaborazione, ma anche per far assistere i bambini a dei concerti come accade per esempio nelle scuole che organizzano mattinate al teatro o al museo. Il processo è lungo ma va iniziato e ribadisco l’importanza del coinvolgimento dei genitori e degli insegnanti».

Quali sono le prossime tappe di questo stimolante percorso di Il Jazz va a scuola?

«Stiamo preparando un nuovo convegno a Bologna in primavera, continuiamo il lavoro di monitoraggio dei progetti e delle attività didattiche nazionali: ne esistono ancora molte di cui non siamo a conoscenza. Quest'anno vorremmo che l’International Jazz Day fosse un giorno significativo anche per il settore educational. Lo scorso anno in poco tempo abbiamo coinvolto 35 scuole, speriamo questo anno di moltiplicare le attività».

«Vorremmo creare una scuola nazionale di formazione legata al jazz e alle musiche improvvisate per insegnanti e musicisti».

«Abbiamo poi come Il Jazz va a scuola già inviti a creare laboratori all’interno di jazz festival importanti come Time in Jazz, Umbria jazz, Pescara jazz, Una Striscia di Terra Feconda e altri che ci hanno contattato. Vorremmo poi creare una scuola nazionale di formazione legata al jazz e alle musiche improvvisate per insegnanti e musicisti».

Sul fronte istituzionale?

«Stiamo aspettando una risposta, spero positiva, da parte del MIUR a cui abbiamo proposto un protocollo di intesa. Ho richiesto nell’incontro degli inizi di dicembre che abbiamo avuto insieme a Fresu e agli altri componenti della Federazione IJI con il ministro Franceschini, che si aprisse un tavolo di lavoro tra MIBACT e MIUR che è stato accolto con interesse dal ministro».

«Tanto lavoro, ma anche tanto entusiasmo e voglia di portare, insieme alla altre associazioni della federazione IJI di cui facciamo parte, il nostro contributo per lo sviluppo culturale italiano».

«Tanto lavoro, ma anche tanto entusiasmo e voglia di portare, insieme alla altre associazioni della federazione IJI di cui facciamo parte, il nostro contributo per lo sviluppo culturale italiano».

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