I canti di viaggio di Henze

Esce per il Saggiatore una nuova edizione dell'autobiografia del compositore Hans Werner Henze

Articolo
classica

Hans W. Henze
Canti di viaggio. Una vita
Il Saggiatore 2016, 718 pp.

“Smettevano di mangiare, di bere e di amare, per poter cantare senza sosta. Perché le cicale erano uomini, una volta”.

Così Ingeborg Bachmann descrive le sue Cicale, radiodramma realizzato nel 1955 con musiche di Hans Werner Henze (Gütersloh, Vestfalia, 1926 – Dresda 2012), compositore tra i principali del Novecento con il quale la scrittrice austriaca ha avuto un’intensa relazione professionale e personale. L’immagine evocata di quest’opera – in parte autobiografica per l’ipotetico richiamo al soggiorno sull’isola di Ischia trascorso dall’autrice con un gruppo di intellettuali tra i quali lo stesso Henze – può consegnarci una prima suggestione relativa al profilo del musicista tedesco, così come emerge dalla nuova edizione de Canti di viaggio. Una vita, autobiografia riproposta per i tipi de il Saggiatore nel novantesimo anniversario dalla nascita del compositore e che racconta “la vita di un uomo posseduto dalla musica”, come si legge nel commento introduttivo di questa pubblicazione curata da Gastón Fournier-Facio, Michael Kerstan ed Elena Minetti.

Rispetto all’edizione precedente, uscita nel 2005 sempre per la stessa casa editrice e curata da Lidia Bramani, qui troviamo una “Cronologia” riveduta e integrata, una selezione fotografica che ripercorre con immagini l’intera vita del compositore, una recente videointervista accessibile con password sul sito web dell’editore, un prezioso “Catalogo ragionato delle principali composizioni” e la sezione “Testi sparsi”, cinque scritti del musicista qui tradotti e pubblicati per la prima volta in italiano.

E proprio nel primo di questi testi, “Musica Nuova” del 1955, scopriamo un rimando che chiarifica il pensiero del compositore nei confronti della propria opera rispetto al panorama della musica contemporanea: “A che scopo si costituiscono i gruppi? Per cosa si è troppo deboli da soli? Per cosa o contro cosa ci si vuole rendere più forti? La libertà, un suono nuovo, bello, incontaminato, può nascere solo dal sentimento della solitudine e della libertà”.

Suggestioni nette, che riportano alla memoria le esperienze di Henze nei confronti della “scuola di Darmstadt” e che lo stesso compositore ripercorre in più parti dei suoi Canti di viaggio. A pagina 145, infatti, possiamo rintracciare questo ricordo:

“Fu durante […] l’inizio d’estate del 1955 che mi recai a Darmstadt per condurre, insieme con Boulez e Maderna, un corso di composizione […] e non fu affatto divertente: giovani compositori che preferivano esprimersi con un linguaggio musicale che risaliva al periodo prima di Webern non venivano nemmeno accettati. Maderna e io dovemmo consolare e calmare gli studenti, e io mi annoiai senza fine. Con tutto quello che dovetti vedere e sentire quell’estate, tra cui anche la persona di Stockhausen, mi resi conto della differenza, della mia enorme distanza dalla scena musicale nazionale”.

Una presa di consapevolezza che viene ribadita in maniera definitiva solo un paio d’anno dopo, in occasione della prima esecuzione di Nachtstücke und Arien, lavoro realizzato su testi della stessa Bachmann: “Con questa musica avevo probabilmente raggiunto la contrapposizione più estrema rispetto alla cosiddetta Scuola di Darmstadt e quindi non c’è da meravigliarsi che, in occasione della prima rappresentazione a Donaueschingen, in data 20 ottobre 1957, cantata da Gloria Davy e diretta brillantemente da Hans Rosbaud, tre rappresentanti dell’altra corrente estrema – Boulez, Nono (il mio amico, quel Gigi!) e Stockhausen – subito dopo le prime battute siano saltati sui dai loro posti per abbandonare la sala in modo provocatorio” (pp. 157-158).

Una contrapposizione che non ha impedito a Henze di sviluppare il proprio percorso artistico in maniera feconda e consapevole, percorso segnato da un successo raro che ha completato il quadro di una vita densa di interessi. Un panorama che emerge in maniera compiuta dalle pagine di questo volume, nel quale all'istanza memoriale si mescola incessantemente la riflessione musicale e politica.

Henze si racconta con ironia e passione: dall'infanzia insofferente in Vestfalia alle ferite del nazismo, dalla caduta delle Torri Gemelle allo sdegno per le atrocità di Guantanamo, dall'amore mai pago per l'Italia ai lunghi soggiorni nella Cuba degli anni Sessanta. Un impegno che ha permesso a quest’artista di coltivare confronti con personalità quali, tra gli altri, Wystan Hugh Auden, Luchino Visconti, Elsa Morante, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, in un percorso di vita nel quale cha trovato spazio anche l’esperienza – per certi versi anche controversa (vedi a pp. 591-592) – rappresentata tra il ’76 e l’80 dal Cantiere d'Arte di Montepulciano.

Una vita intensa, quella di un Henze compositore e abitante del proprio tempo, che è bello riscoprire in queste pagine specie quando tra le righe percepiamo emergere lo spirito appassionato di un artista che è anche – e soprattutto – un uomo che continua a guardare al futuro. Un afflato, questo, che ispira per esempio lo scritto “Una lettera ai giovani artisti” del 1981: “vi chiedo di armarvi di scetticismo, pazienza e ironia, di fidarvi della vostra intraprendenza e immaginazione – queste saranno le vostre guide più salde – perché la vostra arte svolga il suo ruolo fondamentale nella formazione di una società nuova e migliore”.

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