Frisell al cinema

Intervista al chitarrista americano, che ha appena pubblicato un disco dedicato alla musica da film che più ama

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È sempre una buona occasione per chiacchierare con Bill Frisell, chitarrista che da oltre 35 anni è tra i più influenti chitarristi di un mondo in cui jazz, ricerca, tradizione folk americana, popular music convergono in modo sempre intenso.

A maggior ragione è una buona occasione se c’è un disco in uscita e il disco in questione si chiama When You Wish Upon A Star, che esce in questi giorni per la Okeh e che è interamente dedicato a musiche per il cinema e la televisione. Con Frisell ci sono Petra Haden alla voce, Eyvind Kang alla viola, Thomas Morgan al contrabbasso e Rudy Royston alla batteria.

Tra i temi celebri che compongono la scaletta del disco troviamo alcuni classici di Morricone e di Bernard Herrman, il tema da Il Padrino e “Moon River”, solo per citarne alcuni, in una evidente dichiarazione d’amore per la cultura cinematografica e televisiva della seconda metà del Novecento.

Vorrei incominciare la nostra chiacchierata proprio da When You Wish Upon A Star. Come hai scelto i pezzi?
«Ricordi, associazioni. Tutta la musica di questo disco ha un ruolo speciale per me. Una parte di essa la suono da tantissimo tempo, ma una parte l’ho suonata solo ora, per la prima volta, e sto imparando un sacco di cose. Sono spesso canzoni che sono bellissime già così come sono, ma quando ci aggiungi l’esperienza della visione del film emergono tutti quei ricordi e quelle associazioni… che era quello che mi succedeva e che credo succeda a chiunque in ogni parte del mondo. C’è così tanta ispirazione in quei pezzi, così tante cosa da cui partire, una densità emozionale unica.
Mi torna alla mente una delle prime volte che sono uscito con una ragazza, mentre guido da neopatentato per il centro con la macchina dei miei genitori dopo aver visto un film di James Bond. Io che guido attraverso una luce rossa verso casa.
Mi torna alla mente quando sono andato con la mia famiglia a vedere Il buio oltre la siepe nello stesso periodo in cui avevo visto Martin Luther King parlare nella nostra chiesa.
Sono nato nel 1951 e sono cresciuto con la televisione e il cinema. Non poteva essere altrimenti. Quei suoni e quelle immagini e quella musica straordinaria è quello che ha contribuito a formare la mia immaginazione. Ed è un pozzo senza fine di possibilità…»

Un paio di temi erano già presenti nel tuo disco con Petra Haden del 2003. Raccontami un po’ di lei, del suo apporto a questo disco.
«È stato Paul Motian a presentarmi Petra Haden e nel momento stesso in cui l’ho conosciuta è scattato qualcosa di speciale. È una delizia suonare con lei, perché c’è un modo in cui fraseggiamo, in cui siamo assieme nella musica che non può essere spiegato o insegnato o trovato a tavolino. È qualcosa di intuitivo, naturale. Sa cantare la melodia. Ed è così forte che posso affidarmi a lei in questo, ci affidiamo reciprocamente come fossimo una famiglia.



La band è completata da musicisti con cui collabori da tempo come Eyvind Kang o Rudy Royston, così come dal contrabbassista Thomas Morgan. Penso valga la pena spendere qualche parola su di loro.
«Tutti i musicisti coinvolti in questo disco sono artisti con cui ho un rapporto molto profondo e consolidato. Avevo suonato con loro in tante situazioni e tante volte, ma mai tutti insieme. Un paio di anni fa al San Francisco Jazz Festival abbiamo suonato per la prima volta tutti insieme come gruppo ed è stato fantastico. Poco dopo ho avuto l’opportunità di suonare musiche per il cinema e la televisione al Lincoln Center di New York e la band mi è sembrata ideale. Ecco come è nato tutto. Sono così felice che la OKeh Records fosse lì in quel momento e che ci abbia dato modo di registrare, un tempismo perfetto».

Tre temi sono di Ennio Morricone, compositore che continua a affascinare non solo i cineasti (penso alla recente colonna sonora per il film di Quentin Tarantino), ma anche molti musicisti che lavorano con altre pratiche e stili. Può forse sembrare un po’ strano che un compositore italiano sia stato in grado di dipingere così bene dei paesaggi sonori "americani". Qual è il tuo rapporto con la sua musica?
«Ricordo molto nettamente la prima volta che sono andato a vedere quei film di Sergio Leone, penso che il primo che ho visto fosse Per qualche dollaro in più. La musica è così potente! Non riesco a separarla dalle immagini, sono una cosa unica, un’atmosfera. E ovviamente, da chitarrista, quella musica ha avuto un’influenza molto forte su quello che potevo fare con lo strumento. Come sonorità, contesto, etc. Un compositore davvero unico!
Tra l’altro recentemente mi è capitato di ascoltare delle cose più legate all’improvvisazione che ha fatto negli anni Sessanta e le ho trovate straordinarie, è un artista unico».



"Americana" è la parola che di solito si usa per definire quell genere di musica di oggi che sintetizza e include molti spunti stilistici emersi dalla tradizione folk, country, blues, R&B, rock&roll degli Stati Uniti. I tuoi lavori della seconda metà degli anni Ottanta e dei primi Novanta avevano un carattere certamente più inquieto e sperimentale di quelli più recenti, nei quali sento un lato del tuo lavoro più rasserenato e anche giocoso. Com’è cambiato il tuo approccio nei decenni?
«Sai che non saprei davvero come rispondere a questa domanda? Essendo nato e cresciuto negli Stati Uniti credo non ci fosse verso di sfuggire all’etichetta "Americana". In realtà, pur essendo americano, viaggio molto in ogni parte del mondo e credo di venire influenzato da molte cose che ascolto. Devo anche dirti che pur suonando ormai da più di cinquant’anni ormai, mi sento sempre un po’ come un principiante, comunque come un artista all’inizio di qualcosa. Cerco sempre di muovermi per avvicinarmi al punto, alla verità, di liberarmi di tutto quello che è di troppo, di non nascondermi. È un processo molto lento, ma faccio del mio meglio».

Anche dopo l’esperienza dei Naked City hai continuato a collaborare con John Zorn. Stavo ripensando a Silent Comedy, un disco che trovo molto interessante e probabilmente sottovalutato. Che tipo di emozioni o sentimenti ti hanno portato a quelle improvvisazioni?
«È stato un grande piacere registrare Silent Comedy con un amico come John Zorn. Sono entrato in studio senza essermi preparato e senza un’idea prefissata (anche se possiamo dire che tutta la memoria e l’esperienza era lì con me come sempre) eppure… Ho suonato per un po’ e poi in poche ore abbiamo registrato, mixato, montato e intitolato il tutto. È stato molto differente da altri miei progetti. Per esempio, tornando a When You Wish Upon A Star, la registrazione è stata anche abbastanza rapida, ma avevo impiegato diversi mesi nella preparazione di tutto e nell’ideazione del progetto prima di entrare in studio».

Che stai ascoltando in questi giorni?
«Come molti, mi sono imbattuto nel video in cui Aretha Franklin canta la canzone di Carole King "(You Make Me Feel Like) A Natural Woman". Che cosa pazzesca è? Ma sto ascoltando anche Frank Sinatra, trovo che gli arrangiamenti di Nelson Riddle fossero straordinari».

Chiudiamo la nostra chiacchierata con la classica domanda sui tuoi prossimi progetti.
«Suonerò con Charles Lloyd, che è uno dei miei miti. È in uscita un album a breve. Ma in arrivo ci sono anche dischi con Lucinda Williams e Carrie Rodriguez, non vedo l’ora. Ovviamente poi supporteremo il progetto When You Wish Upon A Star con una serie di concerti e sarò anche in giro in duo solamente con Thomas Morgan.

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