Fabbriciani flauto contemporaneo

Il flautista ha realizzato un cd dedicato a Luigi Nono

FZ

24 novembre 2025 • 10 minuti di lettura

Roberto Fabbriciani
Roberto Fabbriciani

Lo stretto rapporto di vicinanza che il flautista Roberto Fabbriciani ha sempre tenuto con la sperimentazione musicale e sonora ha fatto sì che egli si trovasse, dagli anni ’70 in poi, a stretto contatto con il gotha del mondo dei compositori della cosiddetta Nuova Musica, per il quale al tempo, spesso, venne indicato come ‘erede di Gazzelloni’. Per questo possiamo dire che l’impulso che strumentisti come Severino Gazzelloni e lo stesso Fabbriciani dettero alla scrittura ed ad una letteratura flautistica  del Novecento fu fondamentale. Se il primo, come maestro, stimolò Fabbriciani nel percorso verso la nuova musica, autori come Goffredo Petrassi, Luigi Nono, Sylvano Bussotti, Franco Donatoni, che avevano collaborato e scritto per Severino Gazzelloni, in seguito, affidarono le loro partiture al giovane allievo. Quindi un flautista, poco più che ventenne, si trovò a costruire una carriera musicale fortemente focalizzata ed al centro di un movimento di musicisti che all’epoca rappresentava tout court la contemporaneità. Nel nutrito elenco dei autori che gli dedicarono opere, eseguite in prima assoluta, e con i quali collaborò figurano  nomi come quelli di Luciano Berio, Pierre Boulez, Sylvano Bussotti, John Cage, Elliot Carter, Luis De Pablo, Franco Donatoni, Brian Ferneyhough, György Kurtág, György Ligeti, Bruno Maderna, Giacomo Manzoni, Olivier Messiaen, Ennio Morricone, Luigi Nono, Goffredo Petrassi, Wolfgang Rihm, Nino Rota, Giacinto Scelsi, Salvatore Sciarrino, Karlheinz Stockhausen, Toru Takemitsu.

Possiamo dire che, tra tutti questi, Fabbriciani stabilì un rapporto preferenziale con Luigi Nono, che sfociò, nella realizzazione del monumentale Prometeo, tragedia dell’ascolto, rappresentato per la prima volta a Venezia 25 settembre 1984, nella chiesa di San Lorenzo, nell'ambito della Biennale Musica. 

Ora, assieme a Ulrich Krieger, al clarinetto basso, all’elettronica di Alvise Vidolin e di Alessandro Fiordelmondo, Fabbriciani presenta un cd dedicato interamente a Luigi Nono, registrato per la ‘Mode Records’, dove ripercorre e recupera i frammenti sparsi, di un lavoro di anni di studi e di sperimentazioni, realizzati assieme al compositore veneziano. Con lui ne parliamo perché ci racconti ciò che accadde in quegli anni in quell’ambiente e per cercare di ricostruire la genesi e gli sviluppi che scaturirono dalla sua collaborazione con Nono. 

A quanto pare fu una collaborazione molto proficua per la scrittura flautistica. Mi sembra che tutto partì dagli studi della Südwestfunk di Friburgo. Che cosa avvenne esattamente in quel periodo e che tipo di lavoro avete iniziato a fare?

“Allora, praticamente, eravamo alla fine degli anni 70: esattamente nel 1978 avvenne il nostro incontro. Nono desiderava, cercava, vie nuove: era molto interessato ai nuovi linguaggi musicali, ai nuovi suoni, alle nuove tecniche strumentali. Così abbiamo iniziato la nostra collaborazione con un periodo di studi e riflessioni. Andammo prima a Milano, allo Studio di Fonologia della RAI, diretto allepoca da Marino Zuccheri. Dopo un breve periodo di prove e sperimentazioni, ci trasferimmo allo Studio Sperimentale della Südwestfunk di Friburgo, in Germania. Allepoca non cera un progetto definito: tutto era incentrato sulla ricerca di nuovi suoni e sulle possibilità offerte dalle macchine elettroniche dello studio: un percorso affascinante, una vera avventura verso il non conosciuto”

E come avveniva il lavoro di interazione tra uno strumento acustico come il flauto e la macchina? Su quali aspetti del suono stavate lavorando?

“Siccome andavamo davvero allavanscoperta, non avevamo un progetto preciso. Io improvvisavo: i miei suoni venivano elaborati in tempo reale dalle macchine e dagli ingegneri dello studio, mentre Nono prendeva appunti su tutto ciò che accadeva. Tutto veniva registrato: così potevamo riascoltare e decidere cosa fosse interessante e cosa no. A volte unidea sembrava buona in studio e meno convincente il giorno dopo; altre volte succedeva il contrario. Bisognava cercare, cercare, cercare, senza preconcetti e senza limiti”.

Questa quindi era la ricerca sul suono e sulle sue componenti acustiche. Ascoltando queste musiche si ravvisa come il tentativo di creare una simbiosi, un mimetismo tra il suono acustico e le sonorità elettroniche. Ci sono soffi, armoniche, effetti ottenuti con la tastatura che si in situano e si confondono con sinusoidi, rum ori bianchi…Possiamo dire che nella ricerca timbrica del flauto esistano elementi che possono mimetizzarsi con quelli dellelettroacustica?

“Assolutamente sì. Nello studio abbiamo utilizzato tutta la famiglia dei flauti: dallottavino al flauto contrabbasso. Abbiamo scoperto possibilità inusuali, suoni a volte quasi inudibili, timbri e colori che prima non erano mai stati realmente sentiti. Siamo entrati dentro il suono. Faccio un esempio: anche una nota lunga, apparentemente statica, contiene un universo in movimento che lorecchio non è abituato ad ascoltare. Tutti questi infiniti possibili”, come li chiamava Nono, li abbiamo scoperti, studiati e utilizzati in questi brani, raccolti soprattutto in questo disco. Soprattutto in Das atmende Klarsein, il primo lavoro realizzato insieme”.

Mi viene in mente una tua citazione nel booklet del CD: “Siamo arrivati fino al Post-praeludium n. 3, costruito su una sola nota e su tutti i suoi possibili universi. Dopo lesecuzione alla Filarmonica di Berlino, il 4 settembre 1988, Gigi sorrise e mi disse: La prossima volta scriverò di meno!”’

Il nostro scopo era far emergere la straordinaria possibilità dei possibili del suono… Come dicevamo, dentro il suono esiste un universo. La possibilità di ridurre il materiale e costruire un intero brano su una sola nota è un virtuosismo nuovo: non digitale, non velocistico, ma fatto di timbri, colori, micro-dinamiche appena accennate. Era un modo per dire: ‘con così poco materiale abbiamo fatto così tanto’. E infatti non ci sono due suoni che si somigliano, anche se sono la stessa altezza. Tanto è ricco il mondo sonoro di una singola nota con tutte le sue varianti. E questo costruisce un dialogo tra te e lo spazio. E senza usare nemmeno — in quel caso — il live electronics, perché lì Nono lo considerava superato”.

Parliamo del CD e di quelli che sono gli elementi che ne costituiscono il percorso. Partiamo dagli elementi preparatori di Prometeo?

Esatto. Il processo creativo del primo brano, ‘A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum’ del 1985, nasce proprio intorno al periodo del Prometeo. Ricordo di aver suggerito a Nono di scrivere un brano basato sulla sezione ottava di un frammento da ‘Io, Frammento da Prometeo’, perché ritenevo che il potenziale dellelettronica dellopera non fosse stato sfruttato del tutto. Quindi ‘A Pierre’ si basa su un duetto tra flauto basso e clarinetto contrabbasso, con una spazializzazione completamente diversa da quella di ‘Io, Frammento da Prometeo’: è il brano dedicato a Pierre Boulez per il suo 60º compleanno”.

 Ed anche il secondo brano, Klarsein-Fragment per flauto basso, live electronics e nastro magnetico è strettamente connesso con la genesi del Prometeo

“Esatto, è la versione ridotta dellopera per piccolo coro, flauto basso solista e live electronics (qui senza la parte corale). È la prima composizione degli anni 80 che porterà poi per l’appunto a Prometeo: è il primo vero risultato dellintensa collaborazione tra me e Nono. Nel brano originale, Nono aveva composto due mondi distinti — uno del coro e uno del flauto basso — che non si esibivano mai insieme. La parte del flauto è poi diventata un brano solista a sé”. 

Il terzo brano del disco è Musiche per Manzù, per nastro magnetico (1969), creato per un breve documentario su Giacomo Manzù e le porte bronzee della chiesa di San Francesco a Rotterdam. Guidolin ne ha reinterpretato la versione mono originale, rendendola sorprendentemente attuale grazie a tecnologie moderne”.

In che modo poi nel tuo, Omaggio a Luigi Nono (quarto ed ultimo brano del cd) ti ricolleghi al suo stile, al suo universo compositivo?

“Prima di tutto questo è un mio omaggio alla nostra collaborazione e alla grande amicizia con Luigi. Come Nono, ho impostato il mio lavoro su di una nota sola, il La: è il mio “A”, è una risposta al Postludio costruito sul Si bemolle (B). Il pezzo contiene suoni naturali dell’ottavino; si tratta di un pezzo che è emerso esplorando lo strumento e che riflette una mia propria ricerca sul suono e che, nello stesso tempo, si ispira alla spinta, propria dell’atteggiamento di Nono, verso la riduzione allessenziale. La parte di nastro è stata registrata nello stesso studio sperimentale di Friburgo nel quale avevo lavorato con lui”.

Quindi, con questa operazione intendi recuperare ciò che è rimasto per strada nel percorso elaborativo di Prometeo?

Sì. Tra laltro, questa nuova strada avrebbe portato a un grande lavoro post-Prometeo che purtroppo si è fermata lì”.

Parliamo dellarticolazione compositiva che emerge anche da queste testimonianze. La frammentarietà, il fragment, diventa uno degli elementi portanti di un approccio compositivo che manifestava quasi unallergia nei confronti di qualsivoglia costruzione logica; qualcosa di terrificante” come ebbe a dire Nono. Il frammento diventava l’elemento strutturante di un comporre, come elemento che si formava nell’immediatezza nellevento, nel fare.

“Hai detto benissimo. È attraverso la frammentazione che nascono nuovi percorsi e nuovi linguaggi. Io mi ritengo davvero fortunato ad aver partecipato a questo momento storico e di aver potuto offrire la mia esperienza strumentale a un grande compositore e a una grande persona quale era Luigi Nono”.

 In una delle sue ultime interviste Nono diceva di non dare nessuna importanza alla perennità delle sue opere, e sempre meno importanza alla forma grafica della scrittura, privilegiando lesperienza e il fare. Ti ricordi comera il suo modo di proporre il lavoro? Che rapporto cera tra la partitura e ciò che nasceva direttamente dallesperienza, dallimprovvisazione?

Per Nono, prima di arrivare a una composizione definitiva”, il percorso era lunghissimo. Il work in progress non si chiudeva mai. Si aggiungeva, si toglieva… E anche quando iniziava a essere soddisfatto, ogni esecuzione restava unica e irripetibile. Nessuna staticità nello scritto: la musica vive nello spazio, si muove, cambia continuamente. Questo succede in tutta la musica, certo — sale diverse, acustiche diverse — ma nel suo caso il processo era esaltato. Da un errore poteva nascere una possibilità nuova, alla Wittgenstein. E così ogni volta cera una proposta nuova. Infatti, di tutto quel percorso degli anni 80, nessuna partitura è stata pubblicata nell’immediato”.

 Cera anche un modo particolare di lavorare sulle dinamiche, possiamo dire estremo?

“Sicuramente! Ricordo un concerto a Cagliari, primi anni 80. Suonai con una dinamica inudibile — 19 ‘p’— io stesso facevo fatica a sentirmi, in un grande auditorium. Il pubblico dichiarò di aver sentito benissimo questo suono che vagava nello spazio. Era nato come provocazione. Ad ogni modo avevamo un dettaglio dinamico che andava da 0” a livelli estremi fino a 19 pianissimi, e poi di converso fino ai fortissimi assoluti: il cambiamento di colore tra un pianissimo e un fortissimo era fondamentale. E poi i suoni bianchi, sinusoidali, privi di armoniche, per cui, se chiudi gli occhi, non riconosci più lo strumento. A Friburgo abbiamo scoperto anche questo: il controllo dellemissione su dinamiche inudibili, suoni non riconducibili a un timbro tradizionale”.

Questo modo di lavorare sugli elementi costitutivi del linguaggio musicale colloca Nono accanto ai grandi sperimentatori delle arti contemporanee: nello stesso tempo lui viveva relazioni intense e proficue con il mondo poetico, artistico, pittorico dell’epoca!

“Sicuramente. Anche se bisogna riconoscere che lascolto musicale è di una complessità molto maggiore rispetto alla percezione visiva, esso è astrattismo totale: capire il suono richiede un processo interiore più problematico!”

Oggi Nono sembra quasi scomparso dalla programmazione delle sale da concerto.

“È successo anche con Maderna, e con altri. Quando un compositore scompare, spesso c’è un periodo di silenzio…”

C’è un motivo secondo te? Maderna ogni tanto lo si rivede, lo si riascolta in diverse rassegne, festival…

“Probabilmente Nono ha una complessità diversa. La difficoltà non è nella scrittura, ma nella prassi esecutiva. La carta non canta, come si suol dire: serve una tradizione esecutiva noniana, che vada oltre lo scritto. Ci vuole qualcuno che abbia conosciuto quel mondo, quello stile, quel pensiero”.

Tu come vedi la collocazione di Nono rispetto alla tradizione e alla Nuova Musica? Rispetto a Berio, Stockhausen, Cage?

“Era una complessità diversa. Stockhausen, Boulez… segnano tutto in partitura, in modo dettagliatissimo. Con Nono non è così: lascia molto spazio alla creatività, ma devi conoscere profondamente il suo mondo. La complessità non sta nello scritto: sta nellinterpretazione”.

Secondo te, come si può stabilire una connessione tra il mondo musicale di allora, con le sue atmosfere e le sue utopie, con l’oggi?

“Le impressioni attuali confermano il sentimento di quel tempo. Sicuramente molte cose sono cambiate, in questi anni tutto è aumentato in velocità e in quantità. I ritmi maggiorati ci invitano ad un minore approfondimento. Questo anche nei confronti del segno musicale, quasi non considerando che la scrittura musicale è espressione e testimonianza di un pensiero e della sua cultura. La sua interpretazione non può essere liquidata in maniera omogenea senza unattenta conoscenza del contesto che lha generata. Nel caso della musica di Nono il rapporto di reciproca provocazione e di empatia tra compositore ed interprete è ravvisabile nel segno. Pensa che in alcune delle sue partiture non è notato lo strumento ma il nome dellinterprete!”

Nel mondo cosiddetto postmoderno cosa può venir fuori, cosa può emerge del suo messaggio? Oggi può essere ancora attuale? 

“Sicuramente sì. Con il suo pensiero aperto e possibilista, Nono è attuale, direi anzi futuribile.Il suo mondo sonoro è profondo, senza limiti, e questo lo mantiene sempre avanti”.

Dagli anni 90 in poi il gusto è cambiato: ritorno allo sperimentalismo anche in ambiti non accademici. Io lo vedo vicino a certe esperienze free, alle dilatazioni ambient e minimaliste. Sei daccordo?

“Assolutamente. Allepoca, quando sperimentavamo a Friburgo, venivano ad ascoltarci anche i Pink Floyd, registi come Kubrick…Poi questo interesse si è un po’ affievolito, sempre per la difficoltà esecutiva. Ma quando si esegue, il pubblico arriva: il recente Prometeo a Venezia ha avuto unaffluenza incredibile, come certi eventi rock o pop. Quindi sì: Nono è attuale e futuribile”.