Dischi dall’Italia

Per chi non riesce a stare dietro alle ultime uscite, qualche disco italiano interessante che potreste esservi persi

Mai Mai Mai dischi italiani 2022-23
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Cosa ci siamo persi, nelle nostre panoramiche di musica italiana dello scorso anno? Un mucchio di cose, ovviamente. E anche con questi recuperi decisamente tardivi (sorry…) non riusciremo mai a colmare la lacuna, perché come ben si sa il numero di uscite è tale che invece di fare una mezza dozzina di rassegne all’anno bisognerebbe farne altrettante ogni 15 giorni.

Quindi lasciamo perdere ogni ambizione di completezza, provando comunque a segnalare alcuni nomi che ancora non abbiamo considerato tra quelli usciti nelle ultime settimane del 2022.

Iniziamo da un nome storico dell’underground più sperimentale: i Larsen. Il loro Golden Leaf, che esce in associazione con Alessandro Sciaraffa, è addirittura il diciannovesimo disco della loro carriera. Sciaraffa, solo l’ultimo di una lunghissima serie di collaborazioni esterne, contribuisce alle composizioni a mezzo di totem sonori interattivi che nel corso di una live performance hanno assimilato e rimbalzato il suono della band, ricomponendolo in modalità diverse.

Ne consegue un sound in cui il rumore trova strane discipline di riformazione (e le chitarre noise di un tempo sono solo un ricordo), ulteriormente arricchite dall’editing di Paul Beauchamp. Gruppo in continua evoluzione, i Larsen sono peraltro pronti per il passo successivo: un live insieme ai Rema Rema nell’ambito dell’imminente festival del See You Sound – ma ci ritorneremo.

Passando ad atmosfere un po’ più accessibili, va segnalato assolutamente l’esordio di Marco Frattini. Frattini nasce come batterista (suona tra gli altri nei C’Mon Tigre), ma la scintilla per questo disco nasce dopo aver ascoltato le composizioni per piano solo di Chilly Gonzales. È infatti il pianoforte, suonato magistralmente da Claudio Vignali, a dominare Empty Music, un album che potremmo definire di “jazz romantico”, togliendo a questo aggettivo tutti i connotati di sdolcineria che si porta dietro. In realtà le atmosfere qui presenti sono estremamente emotive, a tratti anche molto easy, ma sempre raffinate e di eleganza innata, grazie anche al supporto dello stesso Marco alla batteria e di Gabriele Evangelista al contrabbasso. È un disco che mantiene grande ascoltabilità senza mai scadere nel banale, e nel suo genere è tra le cose migliori sentite nell’anno passato.

È un batterista anche Andrea Ruggeri, e anche la sua è un’idea piuttosto originale: mettere in musica le Città invisibili di Italo Calvino (lo scorso dicembre se n’è celebrato il cinquantenario) in un disco chiamato Musiche invisibili. Qui la formazione è decisamente nutrita (è un’orchestra di 13 elementi), ma la musica mantiene una lievità invidiabile, preferendo il registro dell’insinuazione a quello della potenza sonora. In queste 7 tracce, ognuna dedicata a una città, il suono ricorda tanto l’acustica bucolica della Penguin Café Orchestra quanto le sezioni più morbide e orchestrali dei Soft Machine, con un’occasionale voce femminile anch’essa molto canterburiana.

Dopo alcune segnalazioni di nicchia, benché decisamente meritevoli, passiamo ora a un disco che è stato al contrario molto chiacchierato: Rimorso, disco di Mai Mai Mai, alias di Toni Cutrone, comparso in varie playlist del 2022. L’idea, quella di contestualizzare il folk mediterraneo in un panorama sonoro iper-moderno, non è certamente nuova, visto che già 40 anni fa la sperimentavano i Tuxedomoon di Suite en sous-sol e in tempi recenti lo hanno fatto (con esiti peraltro eccellenti) gente come Alfio Antico o i C’Mon Tigre. Cutrone spinge però la sua ricerca in modo estremo, mescolando soprattutto voci ma anche altri suoni della tradizione con effetti sonori di ultima generazione – droni oscuri, beat digitali ossessivi, bassi pompatissimi – ottenendo come risultato una sorta di dubstep folk: relativamente originale, questo sì, ma più che l’integrazione di due culture musicali diverse noi abbiamo l’impressione di una giustapposizione un po’ forzata che a tratti funziona, ma in altri momenti crea uno stridore fine a se stesso. Un disco quindi sufficiente, ma non così spettacolare come dicono in tanti.

In ambito cantautorale ci va di menzionare Barberini, una ragazza romana che pubblica il secondo disco dopo l’esordio omonimo del 2018. La cosa interessante di Giorni d’oro (il titolo viene dalla “Gold Day” di Sparklehorse, qui tradotta e coverizzata) è la sua collocazione a metà tra il cantautorato indie (del quale prende mood malinconico e tematiche) e la nuova canzone italiana dal sound in bilico tra post trap e neo Sanremo. La cartella stampa parla di dream pop in italiano e la definizione ci potrebbe anche stare; l’impressione complessiva è di avere a che fare con un’autrice dalla finta ingenuità, un po’ ammiccante alle sonorità trendy ma anche sufficientemente smaliziata dal punto di vista compositivo per non apparire una meteora tra le tante.

Non abbiamo ancora citato un disco con le chitarre, ma provvediamo subito recuperando Quanto dei Gazebo Penguins, il loro quinto album (il tour non è ancora terminato). Anche se non c’è nessuna reale sorpresa in queste sette tracce, il loro impatto è comunque ragguardevole: muro di suono saturo e aggressivo, testi declamati con convinzione (e anche di contenuto non scontato), ritmiche potenti e straordinariamente solide. Per chi ancora è affezionato al buon vecchio rock’n’roll, questo è il disco che non deluderà le aspettative.

E per chi invece dalle chitarre cerca soluzioni più originali, ecco il ritorno degli Sterbus, che già dovrebbero essere noti ai lettori di questa rubrica, che con Solar Barbecue fanno un passo laterale rispetto al formato canzone al quale ci eravamo abituati. In questo disco infatti la coppia romana omaggia alcune sue specifiche influenze musicali, che la portano a sviluppare idee già presenti in album precedenti in veste essenzialmente strumentale, e con un atteggiamento che privilegia la composizione sofisticata (in particolare dal punto di vista ritmico) e una musicalità coraggiosa e inusuale. Echeggiano in questa mezz’oretta di musica il solito Frank Zappa, certo prog d’avanguardia anni ’70, qualche deriva di metal evoluto, ma anche la new wave più sbilenca e originale (e qui il riferimento ai Cardiacs è inevitabile). 

A chi ha avuto modo di apprezzare gli Sterbus per la freschezza delle loro pop songs questo disco potrà risultare enigmatico, ma per conto nostro è una delle loro prove migliori.

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