Dedicated to you, but you weren’t reading: un ricordo di Keith Tippett

Keith Tippett è morto a 72 anni: abbiamo chiesto al suo amico Riccardo Bergerone di ricordarlo per noi

Keith Tippett (foto di Tim Dickeson)
Keith Tippett (foto di Tim Dickeson)
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jazz

Keith Tippett è morto lo scorso 14 giugno, all’età di 72 anni. Abbiamo chiesto a Riccardo Bergerone – amico di lunga data del musicista – un suo ricordo personale.

Non è per nulla facile scrivere un ricordo di un amico fraterno per 41 anni, in cui abbiamo condiviso insieme centinaia di momenti: concerti, risate, telefonate, abbracci, confidenze, emozioni… Ma glielo devo e allora mi faccio coraggio, groppo in gola e dita sulle tastiere… vai con i ricordi.

Agli inizi degli anni Settanta come tanti giovanissimi coetanei mi affacciai alle sterminate praterie del British Progressive Rock che allora pennellava di strani suoni e nuovi orizzonti la musica rock. E anche io mi imbattei nel Re Cremisi, la magica macchina di Robert Fripp. E come una magia entrai nei suoni ora vorticosi e incandescenti, ora sognanti e ammalianti del pianoforte di un biondo pianista che si chiamava Keith Tippett, di dieci anni più vecchio di me, ma la cui fama dopo i tre dischi con i King Crimson divenne leggendaria.

Keith Tippett

E la curiosità del ragazzino torinese assetato di scoperte e nuovi suoni planò d’incanto nello straordinario doppio LP Septober Energy dei suoi Centipede, l’incredibile macchina sonora dalle 50 api musicali che scrissero una pagina storica e memorabile della musica del Novecento.

Li iniziò l’amore vero, quello passionale e indelebile che non ti lascia più. Una meravigliosa utopia in cui confluivano le fonti più disparate: il rock, e il jazz, i King Crimson e il jazz inglese di Paul Rutherford e Alan Skidmore, i Soft Machine di Robert Wyatt ed Elton Dean e i Nucleus di Karl Jenkins e Ian Carr, il rock di Mike Patto e i sudafricani Mongezi Feza e Dudu Pukwana, gli archi classici e la meravigliosa voce della neo moglie di Tippett, Julie Tippetts (già star dell’epoca come Julie Driscoll). La puntina del mio giradischi solcò come un aratro sulla quattro facciate del capolavoro degli anni Settanta (che per un pelo non vide partecipe anche David Bowie…).

Pochi anni e finalmente San Tippett in carne e ossa si materializzò davanti ai miei occhi come una divinità al festival svizzero di Willisau. Era il 1976, avevo 19 anni ed entravo in Paradiso. La chioma bionda fluente sedeva proprio di fronte a me. Un bellissimo sestetto del suo compare bassista Harry Miller che si chiamava Isipingo. Una serata da sogno. Se ricordo bene mi avvicinai anche di qualche metro alla divinità.

Passarono due anni e lo ritrovai in un concerto solo al Riverside Studio di Londra dove le sue note magnetiche e ipnotiche mi ubriacarono di sonorità nuove e indefinibili.

E mi arrivò dopo una lettera…. dalla Ogun, la casa discografica fondata da Harry Miller e sua moglie Hazel, che era la sua etichetta dell’epoca dopo i fasti della Polydor e dell’RCA.

Mi chiedevano se volevo organizzare un tour in Italia del quartetto di Elton Dean, con Keith Tippett, Harry Miller e Louis Moholo. Avevo 22 anni, nessuna esperienza e tanta incoscienza. Non so come, fu un successo clamoroso con due sold out a Milano, uno a Bologna e uno a Torino. Senza accorgermene ero diventato un “promoter”, vendevo gli LP al banchetto dei concerti (pesavano una tonnellata, lo ricordo bene) ed ero seduto in treno vicino a lui, mangiavo con lui, gli davo le chiavi della camera dell’hotel ma soprattutto lo ascoltavo tutte le sere da vicino, ipnotizzato dalle sue meravigliose cascate di note sulla tastiera. Ero felice come un bimbo nel paese dei balocchi e non capivo come dalla puntina del mio giradischi mi ero trovato a vivere con Keith per quasi una settimana. 

Ero felice come un bimbo nel paese dei balocchi e non capivo come dalla puntina del mio giradischi mi ero trovato a vivere con Keith per quasi una settimana. 

Lui fu gentilissimo. Facevo finta di capire tutto quello che diceva ma ovviamente ne coglievo la minima parte. Mi trattava con semplicità e schiettezza: parlammo di tante cose, lo bombardavo con le mie domande sui suoi dischi, sui progetti, sulla sua vita… ero un’ape sul miele. Cosa volere di più a 22 anni?

Per cinque anni lo feci venire in Italia in diverse occasioni. Viaggiavamo insieme ovunque: club e teatri, palazzetti e festival su e giù per la Penisola. Se ne innamorò: non smetteva di decantarmi la simpatia degli italiani, il calore, la curiosità musicale, il rispetto. Firmava con pazienza decine di dischi, sempre con il sorriso e pronto alla battuta (per fortuna i selfie non c’erano ancora).

Iniziò a conoscere suonare con i primi musicisti italiani. Il suo grande amico Roberto Ottaviano e poi Enrico Fazio e Fiorenzo Sordini. Seguiti anni dopo da decine di nuovi amici e colleghi della nostra scena, in primis Roberto Bellatalla e Fulvio Sigurtà a Londra, e poi Gianluigi Trovesi, Pino Minafra (con Viva La Black e Canto General), Stefano Maltese, Giovanni Maier, l’Artchipel Orchestra, Antonello Salis

– Leggi anche: Viva il sud. Louis Moholo, Keith e Julie Tippett e la MinAfric Orchestra a Torino

La nostra amicizia si è nel tempo rafforzata e consolidata. La visita nel suo cottage nel Gloucestershire fu un momento di grande gioia e affetto, dove conobbi e frequentai i genitori e la sua meravigliosa famiglia.

Keith era sì un grande musicista, pianista geniale e compositore meraviglioso. Ma era un uomo di grande generosità, sincero, aperto e solare, allegro e gioviale ogni qualvolta trovava attorno a sé amici sinceri vecchi e nuovi, ai quali confidava gioie e timori, delusioni e avventure in giro per il mondo.

Spesso mi telefonava semplicemente per raccontarmi una sua tournée in Giappone o un suo viaggio in Canada o in giro per l’Europa, e sempre alla fine il finale era scontato: «…but Italy is my best country in the world!». Lo diceva sempre quando sbarcava dalle nostre parti. Era sincero, non capiva gli italiani e il loro modo di vivere ma ci adorava proprio perché eravamo così lontani dalla sua vita e dalle sue abitudini.

– Leggi anche: Keith Tippett, gigante del piano solo

Non ho mai conosciuto nella mia vita una coppia che si amasse più di Keith e Julie. Ovunque fossimo, in qualsiasi momento sprizzavano dolcezza e tenerezza in ogni loro azione e sguardo. L’amore più vero, profondo e bello che si possa immaginare e ognuno voglia vivere è stato il loro, non ho dubbi. Ieri Julie mi ha scritto «I miss Keith so much and will always love him… We had such a wonderful colourful, full life together. 50 years full of cherished memories».

È una enorme perdita per tutto il mondo della musica, per i suoi tantissimi fan, i suoi studenti, i suoi colleghi e gli amici che hanno riempito le pagine dei social con le parole più belle ed emozionanti che si potessero leggere. Keith Tippett Ci ha lasciato un patrimonio musicale e discografico di straordinaria bellezza e quantità. Il suo ricordo sarà indelebile per chi lo ha conosciuto amato, ascoltato.

Per me resta un vuoto incolmabile, ma la consapevolezza di avere avuto in lui un amico vero, con cui ho diviso centinaia di momenti musicali e non, che hanno arricchito la mia anima e il mio cuore. Di questo, Keith, non smetterò di ringraziarti.  E quando ci incontreremo di nuovo, mi aspetto di vederti con la tua solita camicia bianca, il tweed con panciotto e orologio a cipolla, il tuo sorriso indimenticabile che mi abbraccia con il solito «Ciao Ricardo!».

Torino, 21 giugno 2020

Keith Tippett e Riccardo Bergerone (foto di Raffaele Puce)
Keith Tippett e Riccardo Bergerone (foto di Raffaele Puce)

P.S. Ho letto in questi giorni fiumi di parole su Keith da parte di amici, fan, colleghi di tutto il momento. Alcune frasi mi hanno colpito e voglio condividerle con voi sperando di emozionarvi, come è capitato a me.

Roberto Bellatalla: «Gli siamo infinitamente grati per la sua generosità, per la visione, per l’ispirazione, pe l’umanità. Tutti noi gli dobbiamo molto, è stato un grandissimo musicista. Ora il suo viaggio continua altrove, e qui tra noi vive per sempre nella memoria, per la musica sublime che ci ha regalato, per l’uomo che è stato… Posso sentirlo dire, con il suo marcato accento dei west countries «Everybody loves music, no one loves musicians». Keith we love you.

Robert Fripp: «Keith Tippett is one of the three musicians of my generation who continues to influence and guide my musical thinking. Keith’s music speaks for itself. Perhaps less well-known is Keith’s stature as an ethical musician, a good man. Fly well, Brother Keith! My gratitude to you».

Roberto Ottaviano: «Con questo saluto Keith mi tocca davvero staccare una spina, custodire gelosamente questo dono che mi ha fatto della sua amicizia, della sua stima, preservarne tutto l’amore e guardare avanti consapevole che per gli anni che mi restano, sarà tutto diverso. Ciao Keith and Thank You for the Smile».

Pau Dunmall: «Keith was a totally outstanding pianist, musician and composer. I saw several of his solo concerts over the years and they were full of truly spiritual music from the soul and heart, which inspired and uplifted so many people. He was unique and irreplaceable; a soul who came to enrich us with his gift of music and has returned when this Earthly life came to an end. It’s a soul’s journey. Peace to you».

 

I miei 10 dischi di Keith Tippett da ascoltare 

1. Keith Tippett Group, Dedicated to You But You Weren’t Listening (1970)

2. Centipede, Septober Energy (1971)

3. Keith Tippett’s Ark, Frames – Music for an Imaginary Film (1978)

4. Keith Tippett/ Larry Stabbins/ Louis Moholo, Tern (1982)

5. Keith Tippett Septet, A Loose Kite in a Gentle Wind Floating with Only My Will for an Anchor (1984)

6. Keith & Julie Tippetts, Louis Moholo-Moholo & Canto General, Viva La Black Live at Ruvo (2004)

7. Mujician, There’s No Going Back Now (2006)

8. Keith Tippett’s Tapestry Orchestra, Live in Le Mans (2007)

9. Keith Tippett & Julie Tippetts, Couple in Spirits – Live at the Purcell Room (2011)

10. Keith Tippett Solo, Muijician Solo IV (2016)

 

 

 

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