The Dark Side of the Moon, fatto dagli altri

Le migliori cover integrali di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, per i suoi 50 anni

Dark Side of the Moon Cover
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pop

Un classico, secondo un’efficace definizione, è qualcosa che riesce ad abitare il proprio tempo con facilità, perfettamente riconoscibile ed apprezzabile, mette in conto buona provvista di intuizioni che arrivano dal passato, a saperle riconoscere, ed allo stesso tempo proietta ife curiose nel futuro: e ci sono pochi dubbi che The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd – uscito esattamente 50 fa, il 1 marzo del 1973 – sia un classico. 

Anzi: assieme a un’assortita pattuglia di altri dischi, più esigua di quanto si potrebbe supporre, è davvero un classico dei classici.

l mondo della popular music, per come si è manifestata nei consumi del pianeta almeno a far data da un centinaio d’anni fa, e con un picco quantitativo e qualitativo dal secondo dopoguerra del ’900, con l'invenzione dei  “giovani” come consumatori primari, ha conosciuto molti “classici”.

Per diventare tale, un disco deve avere parecchie caratteristiche in combinato disposto. Elencando alla rinfusa: avere un aspetto iconico a partire dalla confezione che contiene il supporto fisico della musica; un certo grado di mistero annunciato; lasciare, al primo impatto, più d’un punto interrogativo a chi ascolta – oltre a certi tratti di immediata riconoscibilità; e suscitare il desiderio di tornare subito all'ascolto, quasi che si sia stabilito un patto d'approfondimento tra chi ha seminato e chi raccoglie il frutto finale.

The Dark Side of the Moon ha fatto versare fiumi d'inchiostro. La potenza iconica del prisma che scompone la luce nello spettro cromatico continua ad essere ipnotica, la centralità in una discografia oggettivamente complessa, stratificata, altalenante come quella di un gruppo disgregato da una monumentale zuffa di ego è incontestabile.

Dark Side of the Moon è, per dirla parafrasando i Wu Ming, un oggetto sonoro e narrativo non classificabile, un affondo così vertiginoso (suo malgrado!) nelle pieghe di concetti quali il tempo, l'alienazione, la violenza, la follia del nostro vivere, la solitudine che riesce difficile pensare che sia stato composto e suonato da gente sotto la soglia dei trent’anni.

Non tratteremo dunque qui di quel disco-monstre: su carta e in rete troverete ben oltre il necessario. Ma il nostro omaggio sarà andare a ripercorrere le tracce di quei musicisti coraggiosi – alcuni fra i molti – che si sono cimentati in cover, riletture complete e monografiche di Dark Side of The Moon.

Manovra perfettamente legittima: è a questo che servono i classici.

The Flaming Lips & Stardeath and White Dwarfs, The Dark Side Of The MoonWarner 2009

Dark Side of The Moon - Flaming Lips

Ai Flaming Lips non è mai mancata la capacità di rovesciare il tavolo di laboratorio ordinato della popular music con tutti i suoi flaconcini innescando furiose reazioni chimiche che mettono in conto squarciate aperture psichedeliche, post punk rabbioso, incastri ossessivi e robotici, bizzarre melodie sorgive che spuntano dove meno te l'aspetti.

Qui, forse consci della posta in gioco, le “labbra in fiamme” cercano e trovano aiuto in una bella masnada di guastatori sonici vari: la “Morte della stella & i Nani bianchi”, che poi sono Dennis Coyne, Matt Duthwork, Casey Joseph, James Young, in più ci sono Henry Rollins dei Black Flag e Peaches, al secolo Merrill Beth Nisker, la canadese regina dell’elettroclash.

Rilettura nevrotica, spazzante, disturbante: in una parola, riuscita, e totalmente rigettata da chi cerca copie conformi.

Savoldelli Casarano Bardoscio, The Great Jazz Gig in The Sky, MoonJune Records 2016

Savoldelli Casarano Bardoscio, The Great Jazz Gig in The Sky, MoonJune Records 2016

L’etichetta fondata da Leonardo Pavkovic ha piazzato alcuni dei più bei colpi neoprog degli ultimi anni: senza velleità citazionistiche di un mondo che si può evocare, certo, ma solo trasversalmente. Sennò è nostalgia canaglia e basta.

Boris Savoldelli è qui voce spericolata, un Demetrio Stratos del terzo millennio, e maneggia elettronica e rumori, Raffaele Casarano usa sassofoni ed elettronica, Marco Bardoscia è al contrabbasso e con dose supplementare di elettronica.

Ospite il funambolico chitarrista indonesiano Dewa Budjana, signore dei cromatismi, Maurizio Nobili voce recitante, UK559 a manipolare il tutto sui cursori. Una scomposizione e ri-composizione di Dark Side of The Moon da cubismo prog che apre varchi creativi da tutte le parti: loro lo definiscono un “trialogo”, ma è anche di più.

Greenwall, The Green Side Of The Moon, Filibusta 2017

Greenwall, The Green Side Of The Moon, Filibusta 2017

Un doppio cd (e doppio vinile) molto floydiano, da un gruppo storico del neoprog della Penisola, attivo dal 1999, che contiene nel primo disco una rilettura completa (ma secondo una scaletta completamente rimaneggiata: bella idea) del classico.

Le parti vocali sono affidate a una voce esperta  e ironica come quella di Michela Botti, formatasi al Conservatorio di Santa Cecilia. Equilibrio molto classico, sottolineato da continui interventi di un’orchestra d'archi virtuale, proficuamente forzato da inserti spiazzanti: ad esempio in "Time", dove a un certo punto l'atmosfera è sospesa tra lasciva honky tonk music e vaudeville.

"The Great Gig in the Sky" rinuncia ai celeberrimi picchi vocali in favore delle volute di un sax, "Money" è una virata jazzy e doo wop felicemente inaspettata, con schiocchi di dita swing e coretti a sorreggere una voce da streghetta qui di felice osservanza katebushiana.

Mandol’in Progress, The Dark Side of the Mandolin, Felmay 2017

Mandol’in Progress, The Dark Side of the Mandolin, Felmay 2017

Il mandolino, prima del successo planetario come strumento d’uso della chitarra, è stato il primo strumento globalizzato e globalizzante. Effetto primario e secondario delle migrazioni. In Brasile come negli Usa, in Giappone come in Finlandia. Attivare ricerche per credere, scettici a oltranza.

Il mandolino può fare qualsiasi cosa, in musica: in questo caso, rileggere Dark Side dalla prima croma all'ultima. Mauro Squillante con mandoloncello a cinque cori, Gaio Ariani al mandolino, Valerio Fusillo alla mandola in un tour de force che non ha confronti possibili. Restituendo sulle corde e sui corpi degli strumenti la palette timbrica, melodica, ritmica, elettronica costruita agli Abbey Road Studios dai Pink Floyd. Bisogna ascoltare per crederci davvero, come dei San Tommaso della musica.

Easy Stars All-Stars, The Dub Side of the MoonEasy Star Records 2003

Secondo premio per l’originalità della rilettura, dopo il trio delle piccole corde, o primo, a seconda dei vostri gusti. La rilettura in levare e in dub di tutto l'album floydiano da parte di un collettivo con radici ben affondate nella Giamaica e nel terreno di coltura della ganja è impresa che solo a sentirla nominare fa impressione.

the dub side of the moon

Il punto è che, come per il jazz, il mandolino, i derapage stilistici testé citati, ed altro ancora che potrete scovare, funziona. Lo dicevamo, all’inizio: un classico devi poterlo usare, sennò ti porti a casa solo la polvere e la muffa. Così invece vince la musica.

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