La musica antica che gira intorno PARTE II

Parlano Robert Hollingworth, Thomas Forrest Kelly, Fabio Lombardo, Renato Meucci, Paolo Pandolfo

PS

22 ottobre 2025 • 18 minuti di lettura

Paolo Pandolfo
Paolo Pandolfo


I quaranta anni secondo Robert Hollingworth tra college e colleghi vegetariani

Robert Hollingworth (Foto Frances Marshall)
Robert Hollingworth (Foto Frances Marshall)

Come è nata l’idea del nome del tuo ensemble?

«Ero nella mia stanza all'università, nel 1986, e avevamo già fatto la maggior parte delle prove e stavano per andare in stampa con il programma del concerto, e ci siamo detti cosa faremo, come chiameremo il nostro gruppo? Dovete sapere che a quel tempo all'Università di Oxford la musica antica era associata nella nostra mente al vegetarianismo, perché tutti i musicisti professionisti, per esempio quelli dell'English Concert o dell'Academy of Ancient Music che venivano a Oxford per fare concerti allo Sheldonian Theatre, al New College o nella Christ Church, io ero al New College, sembrano avere, almeno nella nostra mente studentesca, un forte legame con  uno stile di vita alternativo. Era in parte frutto della nostra immaginazione, ma c’era un certo fondo di verità. Lo so perché quando con mia moglie, che è una clavicembalista francese, ho condiviso la scelta del nome, che associavamo anche al muesli, ai cereali della colazione... Per sembrare sofisticati, doveva essere un nome francese o italiano, e Fagiolini suona benissimo, vero? Solo più tardi, quando siamo andati in Italia per la prima volta nel 1992, abbiamo scoperto che aveva strane connotazioni. Non era pensato per durare a lungo, ma è un nome piace alla gente, e da noi anche oggi sono in pochi a sapere cosa significa, e  poi sono successe molte cose nel frattempo» risponde Robert Hollingworth

Quali per esempio? Anche voi state per compiere quaranta anni di attività.

«Sì, l'anno prossimo compiremo quaranta anni. Credo che la prima cosa da dire è che la musica antica è divenuta mainstream, ma solo per un certo periodo nel quale la gente è rimasta affascinata dall'ascolto di tanta nuova musica antica. Ma poi, molto rapidamente, è diventato tutto un altro discorso: vogliamo ascoltare la stessa musica di sempre, ma con strumenti d'epoca. Quindi alla gente piace il suono e non solo ma anche l'approccio musicale, la pulizia stilistica dell'immagine del XVIII secolo, per esempio. Ma questo non significa che vogliano ascoltare una messa del 1650 appena scoperta. Preferirebbero continuare ad ascoltare Mozart, Bach e Brahms. Io non l'avevo mai fatto, ma la settimana scorsa ho diretto il Requiem di Brahms qui all'Università di York, e l'ho trovato assolutamente affascinante. Ho sempre apprezzato molte  musiche diverse, ma sono soprattutto un musicista d'ensemble e mi entusiasma la spinta comunicativa di gruppo. Trovo che il gioco di una parte contro l'altra in polifonia sia intrigante e infinitamente affascinante. Ma penso che la polifonia sia più difficile da ascoltare dell'omofonia. E la maggior parte delle persone preferisce Tallis a Byrd, e ama Bach, ma preferisce un grande coro in si minore a una fuga». Non sei il solo specialista di musica antica che dirige musica “moderna”, e anche altri  tuoi colleghi vengono chiamati a farlo.

«È una specie di novità, qualcosa di nuovo o no. Penso sia giusto dire che è nuovo, ma l'idea è la stessa. Per esempio qualcuno come Paul McCreesh che è infinitamente curioso, quando registra il suo Elgar, vuole sapere che tipo di corni francesi erano stati usanti originariamente. Io ho eseguito un po' di Haydn recentemente e adoro suonare con quegli archi e quei fiati. Ma c'è una differenza tra la musica e l'esecuzione stilistica. E credo ci sia anche una grande differenza tra strumentisti e cantanti. La maggior parte dei cantanti, a meno che non siano stati  formati a Basilea, sono meno interessati allo stile di esecuzione. Cercano di imparare qualcosa per  qualche esibizione, ma è raro che qualcuno dica: "Voglio rimanere sulla musica del Seicento". Certo qui nel Regno Unito, dove devi pagare l'istruzione universitaria contraendo enormi debiti, puoi solo dire "Se avessi tre anni liberi, andrei a Basilea e studierei con gente del posto, sono sicuro che mi piacerebbe". Ma si devono fare i conti con quello che il mercato offre e passano dal cantare assoli del Messiah un giorno, poi che so, Brahms e Rachmaninoff in un piccolo coro il giorno seguente, a fare un po' di Monteverdi con me il giorno prima. A proposito di Monteverdi sto per registrare i Vespri del 1610, cosa che non ho fatto per tutta la mia carriera, perché pensavo che se ne fosse già parlato abbastanza. Ma lo farò con cantanti di una particolare abilità tecnica ed emotiva, che saranno considerati leggermente poco britannici. E ho anche alcune cose da dire sull'intonazione e altre cose. Penso che alla fine, come regalo per il nostro quarantesimo compleanno registreremo questo. Ricapitolando credo che il punto sia che c'è una differenza tra lo spirito storico, che potrebbe applicarsi a qualsiasi periodo musicale, anche se è più difficile andare indietro nel tempo, e l'amore per la musica in sé. Non potremo mai comprendere fino in fondo, e non avremo mai un pubblico storicamente informato allo stesso modo. Non è quello del XVI secolo, e come dice sempre Peter Phillips dei Tallis Scholars, è possibile che se sentissimo come cantavano nei cori del XVI secolo, lo detesteremmo. Quindi non possiamo fingere, e stiamo lavorando nel XXI secolo...»

Quaranta anni secondo Thomas Forrest Kelly dalla prospettiva del Nuovo Mondo

Thomas Forrest Kelly
Thomas Forrest Kelly

 

La definizione di musica antica cambia a seconda della prospettiva dalla quale si osserva.

«Io sono così vecchio che ho sperimentato questo movimento da quasi cinquanta anni, anche di più, quindi ho visto diversi cambiamenti. Io direi che all'inizio era un movimento, ma poi si è diviso in due parti. La prima parte che si chiama musica antica, è quella della ricerca di musiche sconosciute e piuttosto antiche, poi è arrivata la ricerca dell'esecuzione storica di musiche già conosciute, rispetto a quella tradizionale delle orchestre moderne.

La prima parte era costituita soprattutto da amatori, con musica medievale e rinascimentale, l'altra da musica barocca ma con l’esecuzione di brani già molto conosciuti, come il Messia di Handel, o le Passioni di Bach, eccetera, in modo che fosse riconoscibile la differenza  tra una esecuzione convenzionale ed una storica. Per me questa divisione rimane ed è per questo che molti programmi nelle università e nei conservatori  hanno cambiato il  loro nome.

Quello che era l’Early Music Institute si chiama ora Historical Performance Institute, e in certo senso sono due aspetti opposti. Ma quaranta anni fa quando si sapeva poco o nulla c'erano molti amanti della musica che volevano cimentarsi con flauto dolce, o la viola da gamba. C'era una grandi società, come la società di flauto dolce in Italia, la American Recorder Society e  la American Viola Da Gamba Society, dove si svolgevano i corsi come in quelli estivi di Urbino in Italia.

Si andava a fare lezione per suonare insieme, ed era un movimento vicino a quello antimilitarista, nel nostro caso contro la guerra del Vietnam, e c’era la controcultura hippie.

Era qualcosa di amatoriale nel senso che per  per imparare il flauto dolce o la viola da gamba si andava al conservatorio o all'università, ma si cercava un maestro e ci si riuniva per formare un piccolo gruppo». Risponde Thomas Forrest Kelly

Quindi in origine il movimento della musica antica era legato a quella che si chiamava allora controcultura.

«Sì, infatti, counter-culture, noi diciamo esattamente la stessa cosa. Questo aspetto forse è rimasto, ma l'altro è diventato molto più grande, e oggi forse non possiamo più parlare di una controcultura, e si suonano molto meno i flauti dolci e le viole da gamba...».

Nel tempo sono cambiate molte cose.

«Si il mondo è cambiato. Quasi nessuno suonava il violino barocco all'inizio. Tutti erano violinisti professionali che volevano sperimentare  però si sapeva poco o nulla su come suonare, e lo stesso per altri strumenti antichi, e poi non erano al livello odierno. Ora abbiamo costruttori  eccellenti.

Facendo musica, si impara a fare la musica, e il livello professionale era  alto, ma adesso gli strumenti e la tecnica sono ad un livello  molto più alto di prima. 

Ma mi sembra che la musica medievale e rinascimentale sia  molto meno presente rispetto a quella barocca. Non so perché, ma forse questa musica più antica piace meno al pubblico...

Ma è vero che il problema di questa musica e che spesso si utilizza una concezione che si è formata nell'Ottocento. Quella delle grandi sale, con qualcuno che dirige, ma la maggior parte non veniva eseguita e ascoltata in questo tipo di luoghi.

Ci vorrebbe un duca mecenate  con pochi ascoltatori in una situazione di intimità...e non qualcosa simile a un salone parigino della seconda metà dell’Ottocento.

Questo è il problema dell'autenticità, una parola che forse non dovremmo più usare, ma in un certo senso sarebbe più autentico trovare un mecenate piuttosto che vendere i biglietti...».

Ricapitolando è aumentato il livello professionale, ma è diminuita la partecipazione dal basso e il senso di comunità.

«Il fare musica amatoriale mi sembra sia diminuito, che invece è qualcosa di molto bello e potrebbe contribuite a creare un mondo migliore, un mondo più armonioso. All'inizio tutto era in un certo senso amatoriale, perché anche i professionisti non sapevano veramente suonare lo strumento. Hanno imparato man mano, facendo errori. Oggi è diverso è lo studio assomiglia molto di più all'educazione tradizionale musicale nei conservatori, che prima erano nemici non solo della musica antica, ma del modo di impararla che si faceva insieme e da soli».

I quaranta anni secondo Fabio Lombardo alla ricerca di spazi sonori

Fabio Lombardo
Fabio Lombardo


Il tuo ensemble vocale è nato nei primi anni Ottanta.

«In effetti anche per noi quaranta è un numero importante perché  nel 2023 con l’Homme Armé abbiamo compiuto lo stesso numero di anni di attività, e a proposito di  questa ricorrenza ho seguito assiduamente per tanti anni il Giornale della Musica, e ho donato le prime annate che avevo messo da parte alla Biblioteca del Conservatorio di La Spezia. É un arco temporale che inevitabilmente ti porta a compiere delle riflessioni in corso d’opera, e a dei bilanci, considerando che la distanza temporale è uno dei temi principali che la musica antica ha posto in modo diverso rispetto a quello del repertorio classico. Quindi è inevitabile pensare a cos'era la musica antica negli anni Ottanta, per esempio in Italia, periodo di grande fermento culturale nel quale ha trovato terreno fertile da vari punti di vista, anche quello della opposizione ad un certo sistema della musica classica. Mi ricordo che ero giovanissimo quando andai a Urbino negli anni Settanta, e tra le persone che seguivano i corsi c'era che si occupava anche di danze e di musiche  popolari.

Inizialmente mi aveva stupito e non l’avevo capito, ma poi mi sono accorto che  c'era molta prossimità tra chi si occupava di tradizioni popolari e chi di musica antica. Così come un'altra prossimità è legata alla nascita di tanti gruppi tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, come in altri ambiti musicali come il rock e il pop. E poi non dimentichiamo che era l'epoca degli sperimentalismi sul fronte della musica contemporanea, con la sua ricerca di sonorità nuove, e la musica antica è stata per quegli anni, rispetto al repertorio dell'ambito classico, un modello di sonorità nuove. Questo è quello che mi viene in mente ripensando a tutti questi anni. Certo, nel frattempo poi sono successe tante cose, e la musica antica ha avuto un boom notevole, anche molto rapido, e la presenza del mercato con tutto quello che ha comportato è stata determinante». Risponde Fabio Lombardo

Il clima culturale di quegli anni era molto diverso da quello di oggi.

«Mi rattrista pensare a quello spirito cooperativo [comunitario] che vivevamo in passato e che si è perso perché il mercato ha imposto altre regole, che poi sono regole simili a quelle che c'erano già nel mondo della musica classica, con le  figure leader dei direttori solisti.

Mi piace ricordare che nel nostro gruppo è rimasto un po' questo carattere anche se travagliato e mutato, mentre in altri casi il gruppo è soltanto un'etichetta che fa capo a un solista, un leader, ed è una cosa diversa. E c'è un'altra cosa che mi lascia perplesso sempre parlando dell’influenza del mercato.

Mi verrebbe da dire quello di una certa ipertrofia discografica. Si registra una grande quantità di materiale, che tra l'altro non corrisponde alla diffusione, perché si vendono e ascoltano sempre meno dischi. Questa cosa mi sembra strana nell'ambito della musica antica, perché una delle acquisizioni del lavoro  sulle prassi consecutive dei secoli passati, è  che questa idea che non esiste una prassi che ci possa dare la certezza che certe musiche si eseguivano in un unico modo. Tutto dipendeva dalle condizioni del contesto, dall'area geografica e da latri fattori. Abbiamo imparato questa cosa e poi alla fine rifacciamo sempre la stessa cosa, ma anche qui penso che sia da una parte inevitabile l'influenza del mercato, dall'altro tutto quello che poi questo comporta a livello individuale, per ognuno di noi musicisti che ci sentiamo, come dire, forse appagati da questo oggetto disco.

Per me è inevitabile, quando ritorno su partiture che ho eseguito tanti anni fa, cioè nel frattempo c'è stato un lavoro, ma anche la consapevolezza che quelle partiture si possono eseguire in tanti modi diversi e quindi questa fissare in questa infinita quantità di registrazioni mi sembra un po' curioso».

Per il vostro anniversario avevi organizzato anche una riflessione a più voci  intitolata  “40 anni vissuti polifonicamente: È ancora antica la musica antica?”

«Era la domanda che avevo posto nell’era digitale agli invitati quando abbiamo festeggiato i quaranta anni, considerando tutta l'incidenza delle tecniche di riproduzione, a differenza dell’epoca nella quale era difficile trovare le registrazioni di musiche che ci interessavano, e considerando che la tecnica di registrazione è entrata nel fissare delle sonorità. C’è un aspetto che secondo me è veramente molto importante, cioè la dimensione dello spazio sonoro nel quale si fa e si ascolta la musica. Confesso che provo un po’ di d'imbarazzo a fare i concerti nelle sale che spesso non sono adatte alla musica antica.

Naturalmente in disco tutto questo si risolve perché con le tecnologie si possono costruire tutti gli spazi sonori che si vogliono, ma oggi viviamo in un'epoca in cui il suono è riprodotto con dispositivi elettronici. Quasi tutti ascoltano la musica con le cuffie, con il computer e quindi ci stiamo disabituando completamente a questo aspetto così importante. Nel mio piccolo, nella mia attività, cerco il più possibile invece di fare attenzione allo spazio sonoro del luogo in cui suoniamo, ed è rarissimo che io faccia un concerto senza essere andato giorni o settimane prima nel posto dove devo fare il concerto. 

E poi c’è ancora un altro aspetto di prossimità, l'oralità. Nella musica antica sappiamo che c'è uno spazio enorme per quella che chiamiamo improvvisazione, legata sia all'ambiente che alla situazione, e questo viene in gran parte perso nella riproduzione fonografica.

Certa musica polifonica basata sulla dimensione spaziale su disco perde molte delle sue qualità».

 I quaranta anni secondo Renato Meucci tra flauti dolci e filologie

Renato Meucci
Renato Meucci


Quando parliamo di musica antica, non si può non parlare di Urbino.

«In quaranta anni sì, diciamo che è cambiato l'approccio dal punto di vista sia della prassi esecutiva, sia degli strumenti musicali. Nella prima parte, vale a dire alla fine degli anni Ottanta, con l'ingresso di corsi di strumenti antichi e di musica antica nei conservatori, c’è stato un cambiamento di prospettiva. Dal mio punto d'osservazione privilegiato, che è stato Urbino, dove ho diretto dal 1993 per circa sedici anni i corsi, è stato evidente il progressivo trasformarsi di quella che era una manifestazione giocosa, ludica, in qualche modo un assembramento di appassionati, soprattutto del flauto dolce, che erano arrivati a cifre esorbitanti negli anni precedenti, a una riduzione di questo concetto un po' amatoriale, e l'avviarsi verso una più evidente professionalizzazione con l'introduzione di strumenti che prima non c'erano, a partire dal violino,  molti strumenti ad arco e altri strumenti a fiato, e persino il clarinetto storico, che era impensabile nella prima fase. Risponde Renato Meucci

Ho assistito a una solidificazione della prassi esecutiva, storicamente informata come si definisce oggi. Inizialmente si parlava di filologia, che tanto filologica non era, e io nella mia carriera di docente ho ironizzato su certe scelte come quella della musica antica fatta magari con le corde di budello montate su un violino ammodernato, oppure i fori della tromba, che non c'erano praticamente mai stati nelle trombe barocche, e via discorrendo, cioè una serie di necessari compromessi perché, come diceva Edward Tarr, che era stato un grandissimo trombettista e protagonista di questo fenomeno per decenni, “dobbiamo anche campare, no?”. Un clavicembalista non potrebbe portarsi dietro tutti i modelli di un suo collega del Sei Settecento, e viviamo in altro mondo. Come ho detto tante volte, non ci vestiamo più con le livree, e le parrucche, se Dio vuole c'è la luce, e soprattutto non ci sono più i castrati, ma abbiamo i controtenori e i sopranisti. Mi sembra piacevole pensare a un'esecuzione storicamente informata che sia però il frutto dell'intelligenza umana, cioè sia una immersione in un contesto che è quello barocco, ma fatta da chi è consapevole che sta facendo un viaggio su una Bugatti tipo 43.

È una esperienza diversa e c’è un aspetto poco sottolineato, mi pare, quello del diapason più basso, generalmente mezzo tono sotto che è una convenzione di pura comodità, a fronte di tanti diapason diversi, e siamo andati a scegliere quello che ci consente, con una tastiera traspositrice, di passare da 440 a 415, e al di là della standardizzazione e uniformazione è un effetto notevole, cioè c'è un rilassamento sonoro che consente di godere la musica in una maniera decisamente diversa. Tra gli altri compromessi direi che quello più evidente è che molti gruppi e orchestre di musica antica suonano con un vero e proprio direttore d'orchestra, che è un fenomeno anacronistico, che prima non esisteva. Tra le polemiche teoriche vedo la futilità di certi argomenti, per esempio quello dei trilli e i mordenti, perché chi ne ha parlato all'epoca, come Quantz, in sostanza diceva fai come vuoi, purché tu faccia della buona musica». 

Hai curato la traduzione italiana di un libro del 1989 che a proposito di prassi esecutiva è e rimane fondamentale.

 «Chiunque voglia immedesimarsi e comunque suonare e cantare in una maniera storicamente informata, deve raccogliere tante informazioni, e da questo punto di vista i due volumi di Performance practice di Sadie e Brown, sono ancora molto utili. Si tratta di due testi molto diversi per tanti aspetti, e non a caso è stata scelta la data d'inizio dell'epoca cosiddetta del basso continuo, diciamo l'epoca barocca, che come  Riemann aveva ben inquadrato quel modo di scrivere e realizzare la musica era un tratto distintivo di tutta quest'epoca.

I due musicologi nella loro prefazione ricordano l’osservazione di Tinctoris sulla musica del suo tempo scritta più di quaranta anni fa, ma per noi vale la pena d'ascoltarla sia prima che dopo, ed di eseguirla con uno spirito pieno di informazioni.

Sul Giornale della Musica, si è certo già riflettuto sul fenomeno della musica antica,  ma credo sia cambiato il rapporto con l'utilizzazione delle fonti storiche, a partire dalle notazioni originali. Questo è un cambiamento  forse menzionato per la prima volta da Laura Alvini, quando sosteneva che la lettura delle toccate di Frescobaldi fatta sugli originali era stata per lei una fonte di ispirazione e aveva deciso così di mettere da parte le trascrizioni, come poi hanno fatto altri musicisti.

L'ispirazione che viene dall'utilizzare la musica così come è scritta, spesso senza per esempio le articolazioni, con pochissime legature,  rivela un modo diverso di concepirla. Noi siamo abituati con i sistemi moderni e tanto più con i software di scrittura a fare una divisione delle note che a volte è antitetica rispetto a quella antica. Potrei continuare a dire quanto è cambiata l'esecuzione della musica antica, ma è importante magari solo di passaggio pensare agli strumenti musicali.

La storia degli strumenti utilizzati è una sorta di lente di ingrandimento del cambiamento occorso in questi decenni. Si era partiti da strumenti molto diversi dagli originali, con copie che erano un tentativo di imitazione, e quarant'anni significano una presa di coscienza e anche una diffusione capillare della musica antica anche in Italia, anche se il nostro paese non è in prima linea per quanto riguarda l'offerta concertistica, e sappiamo le difficoltà che hanno i nostri gruppi, che peraltro sono comunque molto presenti all'estero in un circuito più vario.

Comunque credo che il fenomeno  della musica antica, storicamente informata e degli  strumenti musicali antichi,  continuerà ad andare avanti tranquillamente nel futuro, e di quaranta anni in quarant’anni nuove generazioni di musicisti contribuiranno a tenere vivo questo patrimonio».

I quaranta anni secondo Paolo Pandolfo tra scoperte e contestazioni

l movimento, se così si può definire, della musica antica ha rinnovato la scena musicale europea.

«Un discorso un po' generale è forse quello di come la musica antica è stata percepita all'inizio e di come via via, nello sviluppo degli anni, la percezione sia dei operatori, dei musicisti, sia degli studenti, del pubblico, eccetera, sia andata gradualmente cambiando. Quando io iniziai a studiare e a suonare, la musica antica aveva un suo coefficiente di rottura, era una corrente musicale che andava a scuotere le fondamenta di un ordine costituito che sembrava non si potesse in nessun modo scuotere e cambiare. E in parte sull'onda delle contestazioni della fine degli anni Sessanta, aveva questo contenuto diciamo rivoluzionario, perché andava a mettere in dubbio modi di fare la musica acquisiti, ma non giustificabili dal punto di vista di chi voleva andare più a fondo sul discorso interpretativo di prassi esecutiva e di strumenti storici. 

Quindi questo manipolo di contestatori rivoluzionari entrò in conflitto con il mondo della musica classica, diciamo normale, perché volevano fare qualcosa di strano, cioè suonare strumenti che non si sapevano più suonare, ricostruirli, reinventare tecniche, mettendo in dubbio una cosa fondamentale che invece veniva insegnata anche nelle lezioni di storia della musica dei conservatori all'epoca, cioè che via via che la storia della musica andava avanti, gli strumenti andavano migliorando e quindi che l'ultimo strumento, l'ultimo esemplare di strumento di violino, di oboe, di pianoforte, eccetera, che eravamo in grado di costruire era il migliore possibile. Veniva messo in dubbio questo assioma  cercando di andare indietro nel tempo con un'attitudine molto più da ricercatore e da restauratore di opera d'arte, andando a cercare gli strumenti, i colori originali e non i colori sintetici moderni». Risponde Paolo Pandolfo

Tutto questo in un periodo di grandi passioni artistiche, sociali, politiche...

«In quel periodo la musica antica andava a scuotere le basi di una parte della musica classica, quindi c'era un contenuto rivoluzionario con una carica ideale molto forte, e c'era una grande passione in questo, una passione quasi un fuoco, un fuoco che faceva ardere tantissime persone, dei musicisti miei coetanei di quell'epoca. Che è successo? Che poi andando via via avanti negli anni, imparando sempre meglio a suonare questi strumenti, aumentando tantissimo il livello quindi di controllo tecnico, di approfondimento stilistico, il contenuto iniziale rivoluzionario che aveva acceso il processo è diventato via via molto meno disturbante e rivoluzionario, anzi è andato via via cercando di essere assimilato in quel mondo della musica classica che all'inizio era proprio quello che stava cercando di destabilizzare. Quindi quello che io ho visto proprio da un'ottica molto distante, come da un altro pianeta o come da un satellite in orbita intorno a un altro pianeta, la musica antica piano piano è diventata anche lei parte dell'establishment che all'inizio voleva scuotere e destabilizzare».

Nonostante la perdita di questa carica “rivoluzionaria” oggi c’è una maggiore diffusione della musica del passato.

 «Quindi quello che io vedo adesso diciamo andando all'altro capo dell'arco temporale è che c'è molto meno interesse da parte di chi opera nella musica antica per andare a fondo nella comprensione di come effettivamente la musica era fatta negli anni in cui veniva composta, soprattutto nel mio ambito, il Sei e il Settecento,  anche per come si è sviluppato il mercato musicale con le innovazioni, la digitalizzazione, la diffusione tramite social media, e il passaggio dal disco che si ascolta al video che si guarda e forse un po' si ascolta, ma soprattutto si guarda. Ecco, queste cose hanno portato alla perdita chiarissima di focalizzazione su quello che era l'elemento centrale della ricerca della musica antica di quaranta  anni fa, quando si andava in biblioteca, si aprivano manoscritti, si approfondiva, si cercava di comprendere a fondo in maniera il più scientifico possibile il messaggio contenuto nelle note che leggevamo. Oggi ci si fida di quello che si è sentito dire e non si va a verificare,  ed è tutto molto più dipendente da quanto l'immagine che sto proiettando nel mio video sui social media, e se mi porta ascolti o meno, visualizzazioni o meno. 

Nel campo della musica antica c’è ancora chi continua a fare questo lavoro di approfondimento, ma io lo vedo anche come insegnante qui a Basilea, che c'è molto meno interesse verso questo, perché per avere quel minimo di successo che ti garantisce anche in maniera molto banale di essere un musicista che vive della propria professione, le priorità sono diverse, e conta molto di più quelle di come i social media ci fanno apparire.

Il mio è il discorso di qualcuno che venendo da lontano rimane un pochino sgomento rispetto a quello che vede muoversi intorno a sé ora, e intorno soprattutto ai giovani musicisti che ricevono una formazione il più approfondita possibile, ma che poi si devono confrontare con un mondo della musica che di quella formazione che loro hanno ricevuto, diciamo, se ne infischia altamente».