Un ritratto da camera

Il ritratto di Gaetano Braga, autore appartenente alla civiltà dell'800 musicale napoletano, è andato in scena in prima moderna ad Atri (TE) con un positivo allestimento, che ha rivelato una partitura pienamente inserita in quella tradizione nell'ambito del semiserio, e caratterizzata da una personale vena cameristica.

Recensione
classica
Stagione lirica Teramana ATRI
Gaetano Braga
29 Novembre 2002
Dopo aver reso giustizia della civiltà teatral-musicale napoletana del XVIII secolo, il recupero e l'allestimento di opere come "Il ritratto" di Gaetano Braga, promosso con coraggio dal progetto Il sorriso sul palcoscenico, farà forse apparire anche quella del secolo successivo in un'altra luce, confermandone probabilmente i tratti crepuscolari ma pure la persistenza sottocutanea di una tradizione che garantiva, di per sé, un certo gusto e stile. Nel catalogo di Braga, nato a Giulianova (TE) nel 1829, apprezzatissimo come violoncellista e perciò come autore di musica da camera salottiera, i numeri di teatro musicale non sono molti, e l'unico semiserio pare sia questo Ritratto (prima a Napoli nel 1858), basato su un libretto e su una drammaturgia alquanto gracile di Achille de Lauzières che, pure, era uomo di teatro, e tradusse varie libretti francesi e tedeschi per le scene italiane: la storia vede il pittore Gernando, nobile d'arte e di cuore ma non di sangue, invaghirsi della fioraia Gelsomina, che è invece una nobile sotto mentite spoglie, ed essere prima aiutato e poi ostacolato (è questo il passaggio drammaturgico più inverosimile) dal Conte, cui dà man forte il gurdaboschi Giannetto. L'intreccio si sciogierà solo quando, naturalmente, la nobile si farà riconoscere per quello che è: dunque, una trama che condivide le concezioni ancien-régime e romantiche della nobiltà, e alla quale il coro partecipa come puro spettatore dei fatti. La partitura, però, è assai piacevole: l'orecchio allenato dal quadrilatero romboidale italiano vi riconosce senz'altro modi e forme soprattutto donizettiani, qualche modulo del Rossini più sperimentale nei giri cadenzali armonici, una linfa belliniana che fluisce soprattutto nel rondò con coro della protagonista a fine opera. Quando si riconosce una squadratura della frase melodica e armonica - in rapporto alla struttura testuale - che presuppone la conoscenza di Verdi, si sobbalza un po', sentendola operare in un genere scollegato (ma solo nella nostra ricezione novecentesca) dal modello. Se il tutto non sembra un collage, lo si deve appunto a quella civiltà e tradizione teatral-musicale, che è il vero DNA della musica, e anche ad una certa personalità cameristica del Braga (il quale, come violoncellista, aveva viaggiato assai), sia nell'impianto stilistico di alcuni pezzi (l'entrata di Gelsomina è chiaramente un pezzo "leggero", popolareggiante, un "pezzo caratteristico" che ricorda, in 16, quelli di Verdi in Trovatore e Rigoletto), sia nella strumentazione. Uno dei pregi maggiori dell'allestimento, nel complesso ottimo per una realtà di provincia, è stato quello di aver fatto suonare l'Orchestra della Stagione Lirica Teramana cameristicamente, sostenendo e colorando bene il canto senza mai sovrastarlo, e in un teatro minuscolo come quello di Atri non è impresa da poco: merito dunque al direttore Marco Moresco, che ha ottenuto ciò senza sacrificare una certa energia nella concertazione, rischiando anche nel battere tempi raggruppati (es. in 1 invece che in 2) per non togliere direzionalità all'esecuzione. Date le dimensioni del teatro, un plauso va fatto anche a regista (Giancarlo Gentilucci) e scenografo (Antonello Santarelli) per la gestione oculata dello spazio. I cantanti erano tutti assai bravi e preparati, perfettibili solo nei particolari: Aldo Di Toro (Gernando) va messo in testa alla lista, nonostante un po' di affaticamento alla fine; Liliana Marzano, dopo qualche incertezza iniziale nell'intonazione, ha cantato tutto benissimo, soprattutto il finale; Denver Smith (Conte) è una voce di ottimo gusto, da migliorare un poco in omogeneità timbrica; Leonardo Galeazzi (basso) è vocalmente inappuntabile, forse ci si poteva aspettare più verve scenica dalla scena della redazione del verbale, un antenato alla lontana della scena della lettera di Totò e Peppino.

Note: prima esecuzione in tempi moderni

Interpreti: Liliana Marzano, Aldo Di Toro, Denver M. Smith, Leonardo Galeazzi

Regia: Giancarlo Gentilucci

Scene: Antonello Santarelli

Costumi: Attilio Carota

Orchestra: Coro e Orchestra della Stagione Lirica Teramana

Direttore: Marco Moresco

Maestro Coro: Paolo Speca

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