Un elisir per carnevale

Tra tutte le tinte di cui l'opera di Donizetti è portatrice, si è calcato soprattutto, se non esclusivamente, sull'aspetto comico, buffonesco, tralasciando in secondo piano quelle finestre sul sentimentale, il lirico, il passionale, che sono rimaste episodi, quasi occasionali, poco integrati.

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Gaetano Donizetti
23 Febbraio 2003
Per comprendere a pieno "l'Elisir d'amore", andato in scena quest'oggi al Malibran, è necessario ricordare il contenitore che lo ha accolto: la Venezia travestita per l'inaugurazione del carnevale con calli intasate di maschere, coriandoli, goliardia anche spaccona. E così tra tutte le tinte di cui l'opera di Donizetti è portatrice, si è calcato soprattutto, se non esclusivamente, sull'aspetto comico, buffonesco, tralasciando in secondo piano quelle finestre sul sentimentale, il lirico, il passionale, che sono rimaste episodi, quasi occasionali, poco integrati. Ogni componente dello spettacolo ha, dunque, richiamato a pieno gli aspetti più appariscenti del carnevale: la parodia, la maschera, la finzione, a partire dalle scene. Gian Maurizio Fercioni ha infatti realizzato una scenografia che, paradossalmente, rappresenta la finzione del teatro: sono evidentemente dipinte tutte le vedute campestri, altrettanto in vista sono i legacci che tengono appesi i fondali, ancora più evidenti i cambi di scena, in cui i teli sono letteralmente arrotolati e srotolati. Scelte, indubbiamente, coraggiose, queste: in più di qualche occasione l'essenzialità si è tramutata in povertà di poco gusto. Anche la regia, comunque piuttosto prevedibile, ha enfatizzato l'aspetto comico, sforzando sulla smorfia, sottolineando la ritmica con movimenti dalle simmetrie semplicistiche; i personaggi, infine, hanno invaso la platea, richiamando una facile similitudine con quello che, nel frattempo, stava succedendo fuori il teatro. Come per l'allestimento, così anche nel cast grande rilievo ha assunto il "buffo" Dulcamara, restituito da un Bruno Praticò in bella forma, agghindato per l'occasione, quasi icona carnevalesca, con un parruccone rosso, vestito settecentesco di seta gialla e panciotto con catena dorata: convincente padrone del ruolo è, nell'ultima scena, sceso tra il pubblico sponsorizzando il suo elisir. Buona anche l'interpretazione di Cinzia Forte (Adina) che, nonostante i suoi preziosi mezzi vocali, ha mostrato una certa freddezza e distanza. Inizialmente affidato a Filianoti, il ruolo di Nemorino avrebbe dovuto essere interpretato da Octavio Arévalo, la cui indisposizione ha, quindi, favorito il triestino Riccardo Botta, il quale, forse perché inserito all'ultimo minuto, è apparso poco immedesimato nella parte. Vocalmente sfocato Franco Vassallo. La direzione di Rizzi Brignoli non ha sempre messo in rilievo tutte le sfumature della partitura. Grande successo di pubblico.

Note: nuovo allestimento

Interpreti: Botta, Forte, Vassallo, Praticò

Regia: Bepi Morassi

Scene: Fercioni

Costumi: Fercioni

Orchestra: Orchestra del Teatro La Fenice

Direttore: Rizzi Brignoli

Coro: Coro del Teatro La Fenice

Maestro Coro: Piero Monti

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