Un circo onirico e colorato firmato Savary per Offenbach

Racconti di Hoffmann musicalmente vecchia maniera screziati di surrealismo e magia circense da Jerome Savary. Eccellenti le prestazioni di Vincenzo La Scola e Mariella Devia

Recensione
classica
Teatro Massimo Palermo
Jacques Offenbach
23 Gennaio 2002
Inaugurazione della nuova stagione del Teatro Massimo con Les contes d'Hoffmann di Offenbach. Forse. Perché - ad onta di nuove edizioni critiche, si è scelta non solo la vecchia versione Choudens 1887 (con qualche ritocco dalla versione Alkor), e quindi un'inversione nell'ordine degli atti (Olympia, Giulietta, Antonia), con la presenza di due dichiarati apocrifi come l'aria Scintille, diamant e il Settimino, ma anche una abbondante sforbiciata ai recitativi e l'aggiunta, dopo l'Epilogo - di una ingiustificata ripresa della Barcarola per sola orchestra, mentre sulla scena sfila in processione l'intero Magic Circus di Savary. Perché Savary, regista assoluto di questi Contes - coprodotti dal teatro palermitano con Marsiglia, Avignone, Buenos Aires e Orange, dove lo spettacolo è andato in prima nel luglio del 2000 - ha mescolato poesia e trash, genialità e banalità con rara maestria. Ecco allora acrobati sui trampoli, una sfilata di testoni che neppure a Viareggio per Carnevale, due lesbiche che portano al guinzaglio due gondole stile souvenir de Venise (ma ad Orange c'era un mini canale con l'acqua per davvero! e lì Olympia faceva i suoi bravi pediluvi...), uccelli del malaugurio che sembravano scendere direttamente dai grattacieli di Gostbusters, bambole giganti a metà tra la Cenerentola di Maguy Marin ed un B-movie anni '50, uno strepitoso gioco di (finti) riflessi su specchi inesistenti... insomma il Savary di sempre (e talvolta persino scontato). E pure, nel moltiplicarsi di idee ( o semplici trovate), grande impatto avevano i palloni a forma di occhi di bambole, ma ingessato l'assieme degli studenti nella taverna di Luther; troppe le bambole (cloni di Olympia) e modestissime le coreografie di Silvie Laligne; imponente la mano che impugna un violino nell'atto di Antonia, ma più adatta ad Orange che ad un palcoscenico tradizionale. Ma lo spettacolo funziona, grazie anche ad un cast di eccellente livello; a partire dall'Hoffmann di Vincenzo La Scola, generoso e screziato di una struggente malinconia (onore al tenore palermitano di avere affrontato la recita a poche ore da un gravissmo lutto familiare). Le figure diaboliche sono state affrontate da Alfonso Antoniozzi in stato di grazia, mellifluo, morbido, capace di eccellenti sfumature; Antonia è resa in tutto il suo tormento esistenziale da una magnifica Mariella Devia, ed elegante è il Nicklausse di Francesca Franci. Meno convincente la legnosa Giulietta di Patrizia Orciani; stratosferici i sovracuti sciorinati dalla palermitana Desiré Rancatore quale Olympia, ma col tempo imparerà che non sono tutto (e chi ricorda, ad Orange, Natalie Dessay, con timbro più rotondo e impressionanti qualità attoriali, comprenderà). Ottimi tutti gli altri protagonisti. Stefan Anton Reck ha attraversato la difficilissima partitura senza alcun cedimento, ma prestandosi troppo alle esigenze registiche (com'erano fastidiosi e rumorosi i ballerini all'apertura dell'atto di Olympia!), Barcarola finale inclusa. Ampio e meritato successo, bene accolto da un pubblico comunque caduto più volte tra le braccia di Morfeo nel corso dell'opera...

Interpreti: La Scola / Mihailov, Devia / Dragan, Franci / Minarelli, Orciani / Reduglia, Rancatore / Valente, Dessay, Antoniozzi

Regia: Jerome Savary

Scene: Michel Lebois

Costumi: Michel Dusserrat

Orchestra: Orchestra del Teatro Massimo di Palermo

Direttore: Stefan Anton Reck

Coro: Coro del Teatro Massimo di Palermo

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