Tormenti e danze per Eugene Oneghin

Recensione
classica
Festival d'Aix-en-Provence Aix-en-Provence
Pëtr Ilic Cajkovskij
06 Luglio 2002
Il Festival di Aix-en-Provence, che di anno in anno sottrae quote di mercato ai grandi santuari musicali dell'estate, da Bayreuth a Salisburgo, ha trovato un suo punto di forza in spettacoli operistici rigorosi musicalmente, sempre frutto di un duro lavoro di preparazione, ma dai tratti giovanili, anticonformisti, capaci di puntare su nuovi talenti piuttosto che sui grandi nomi. Una delle nuove produzioni di questa ultima edizione è stato l'Eugene Onegin messo in scena da Irina Brook, figlia di Peter Brook. Spettacolo di grande impatto teatrale, innanzitutto per la vitalità dei movimenti scenici, che non avevano nulla dei cliché del teatro d'opera; spettacolo che ha incantato per la perfezione della parte musicale, ma che è parso soprattutto cogliere una perfetta corrispondenza tra gesto e canto. Una corrispondenza che sarebbe molto piaciuta a Caikovskij che per quest'opera non chiedeva cantanti dotati di voci potenti, ma molto precisi e sicuri sulla scena. Un ruolo fondamentale lo ha avuto il coro, l'Europa-Chor-Akademie diretto da Joshard Daus, che si è ammirato non solo per la precisione e la grande nitidezza di suono, ma anche per l'abilità (e l'agilità fisica) nel realizzare le coreografie create da Cécile Bon. Coreografie leggere, anche un po' ironiche, ma non prive di figure complesse, e di danze assai animate, che hanno contribuito alla freschezza dello spettacolo. Le scene e i costumi di Noëlle Ginefri, e le luci di Zerlina Hugues, creavano una ambientazione scenica essenziale, non originalissima ma molto efficace: un fondale chiaro, luminosissimo, che modulava tra colori pastello; pannelli rettangolari e mobili che ritagliavano spazi diversi; pochi oggetti: il letto di Tatiana (nella seconda scena del primo atto), fronde d'alberi e luminarie colorate (per la festa di compleanno all'inizio del secondo atto), un grande lampadario intravisto dietro i pannelli rettangolari (nella scena del ballo del terzo atto); una pioggia di petali rossi che cadeva sul corpo di Lenski ucciso nel duello, e che disegnava una striscia di sangue, lunghissima, indelebile, come i fantasmi che perseguiteranno Onegin. La parte del protagonista era affidata al baritono svedese Peter Mattei (che è anche il Don Giovanni del celebre e fortunatissimo spettacolo di Peter Brook), dalla voce imponente, e dalla figura nobile, e insieme disinvolta e scattante. Bellissima la Tatiana di Olga Guryakova, impeccabile musicalmente, dotata di un bel colore vocale e di grande espressività, capace di muoversi sulla scena con grande naturalezza, come una adolescente innamorata (non trasformata da Irina Brook in una altera nobildonna nell'ultimo atto). Daniil Shtoda era una Lenski fremente, carico di energia, ma dal carattere sensibile piuttosto che roso dalla gelosia (nel momento del duello abbassa la pistola come preso dal rimorso o spinto al suicidio); Ekaterina Semenchuk un'Olga sprizzante gioia di vivere: E non disturbavano i piccoli difetti vocali dei personaggi anziani: alcune approssimazioni ritmiche e eccessi di vibrato di Menai Davies (balia) e Jaqueline van Quaille (Larina), o le disomogeneità nel registro grave del basso Martin Snell (Gremin). Daniel Harding ha diretto la Mahler Chamber Orchestra estraendo dalla partitura di Caikovskij una limpida trama di colori, mettendo in evidenza i ritmi di danza che la permeano, sottolineando con esattezza tutti i culmini emozionali.

Interpreti: Olga Guryakova, Peter Mattei / Vladimir Moroz

Regia: Irina Brook

Scene: Noëlle Ginefri

Costumi: Noëlle Ginefri

Coreografo: Cécile Bon

Orchestra: Mahler Chamber Orchestra

Direttore: Daniel Harding

Coro: Europa-Chor-Akademie

Maestro Coro: Joshard Daus

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